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Una storia kafkiana

Creato il 16 ottobre 2012 da Ilpescatorediperle
Una grande disputa si sta consumando attorno a Kafka. Una serie di manoscritti che l'autore consegnò all'amico di sempre Max Brod, passati alla segretaria di questi, Esther Hoffe, sono stati detenuti fino ad oggi da sua figlia, Eva Hoffe. È di questi giorni la notizia che la Corte di Tel Aviv ha ingiunto alla donna di consegnarli alla Biblioteca Nazionale dello stato d'Israele. La ragione sta in una legge del 1955, secondo la quale "tutti i documenti riguardanti la storia o la cultura di Israele e del popolo ebraico appartengono al patrimonio nazionale." La disputa riguarda, in primo luogo, la legittimità del trasferimento forzoso. Kafka fa parte della storia di Israele? E perché i suoi testi dovrebbero far parte del patrimonio nazionale israeliano? Ma qui ci impelaghiamo in una questione troppo complessa.Certo, sembra che i preziosi fogli si trovassero in pessime condizioni. La signora Hoffe è una gattara che a quanto pare non va molto per il sottile nella conservazione dei manoscritti. Il vecchio principio di Indiana Jones, "dovrebbero stare in un museo", non è dunque fuori luogo in questa storia. Ciò che risulta interessante viene semmai da un'altra storia legata a Kafka. Lo stato d'Israele, infatti, non si accontenta, e vuole anche il manoscritto de Il processo, conservato presso l'importante archivio di Marbach, in Germania. Il Nouvel Observateur riporta gli estremi di questo contenzioso tramite le parole di due studiosi:
per la ricercatrice Nurit Pagi, che scrive una tesi su Max Brod all'università di Haifa, ciò che è kafkiano è consegnare Kafka ai "crucchi". «Se fosse stato vivo nel 1939, che cosa credete che avrebbero fatto i tedeschi dei suoi scritti?» Per Ulrich Raulff, direttore dell'Archivio di Marbach, «ciò che è kafkiano è la discussione sull'appartenenza dell'autore a una nazione (austriaca, israeliana, tedesca ecc. )» Kafka, documenti prego?
Ora, non solo a nessuno viene in mente che Kafka fosse uno scrittore ceco, ma che fosse uno scrittore ceco che scriveva in tedesco ed era nato in una famiglia ebraica, cioè qualcuno per cui, forse, una disputa nazionale ha poco senso e ripete, semmai, la tragica serie di guai "del 1939". I libri trasformati in bandiere non sembrano molto diversi dai libri proibiti o bruciati. Essi ci mostrano che l'ultimo punto all'ordine del giorno è la qualità più propria di quei libri. Max Brod, che è all'origine di tutto questo battibecco, è colui che rifiutò di adempiere all'ultima volontà del suo amico, cioè alla distruzione dei suoi scritti. Da quella peculiare forma di infedeltà che è propria dell'autentica amicizia, è scaturito forse un tratto emblematico: gli scritti di Kafka, ormai fuori dal controllo del loro autore, appartengono a tutti.Il caso Hoffe (che in tedesco allude alla speranza), mi fa venire in mente un commento di Theodor Adorno (che non amava Kafka): "Se l'opera di Kafka conosce la speranza, è [...] nella sua capacità di resistere al peggio trasformandolo in linguaggio." La speranza che viene da questa storia è che il linguaggio della letteratura, della letteratura di Kafka, sia più forte del peggio delle recriminazioni nazionalistiche.da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com

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