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Per anni ha vissuto come un fantasma. Non poteva aprire un conto in banca, non poteva intestarsi una linea telefonica, non poteva iscrivere la figlia a scuola. Non poteva neanche curarsi perché non aveva un codice fiscale. Una vita da fantasma, una vita da testimone di giustizia. È la vita di Piera Aiello, moglie di Nicola Atria, nuora di don Vito Atria, boss di Cosa Nostra di Partanna, piccolo paese della Valle del Belice, in provincia di Trapani.
Oggi Piera Aiello esiste solo nei tribunali, per il resto della sua vita ha finalmente ottenuto una nuova identità, può aprire un conto in banca, può liberamente viaggiare, può votare. Si è anche risposata. Rinata una seconda volta, Piera ha deciso di raccontare questa sua doppia vita in un libro in uscita in questi giorni per le edizioni San Paolo, scritto a quattro mani con il giornalista Umberto Lucentini, con una postfazione di don Luigi Ciotti.
E nel titolo del libro è contenuta tutta la rabbia per ciò che ha rovinato la vita di Piera, quella “Maledetta Mafia” che ha ucciso prima il suocero, poi il marito e che l'ha posta davanti a un bivio: continuare a essere per tutta la vita la vedova di un mafioso, rimanendo a Partanna e continuando una vita “normale”, oppure gettarsi tutto alle spalle, raccontare tutto ciò che negli anni in cui era stata “la moglie di” aveva visto e sentito, prendere la figlia di tre anni e andare via, per sempre. Piera non ha impiegato molto tempo a decidere: lei non apparteneva a una famiglia mafiosa, non ne condivideva la mentalità, non ne capiva le dinamiche.
Nelle appassionate pagine di racconto in prima persona, Piera spiega molto bene come una persona completamente estranea a Cosa Nostra possa ritrovarsi invischiata in meccanismi di cui fatica a rendersi conto. Piera è una ragazzina come tante, ancora adolescente viene corteggiata con insistenza da questo bel ragazzo partannese, che sembra proprio innamorato. Il ragazzo appartiene a una “buona famiglia”, molto rispettata in paese. Ma Piera e i suoi genitori non conoscono i veri motivi di questo rispetto.
È così che a diciotto anni Piera si ritrova ad essere la nuora del boss del paese, e passa presto dall'abito bianco a quello nero: mentre i due sposini sono in viaggio di nozze, don Vito Atria viene ammazzato. Da quel momento il marito entra nel vortice della vendetta, diventa violento con la moglie, tenta di uccidere il presunto assassino del padre, viene a sua volta ammazzato, proprio sotto gli occhi di Piera. E per lei inizia la vita da fantasma. Una vita in cui incontra tanti rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell'ordine che le consentono di andare avanti, che allestiscono dei veri e propri parchi gioco per la figlia mentre lei di fronte ai magistrati mette a verbale le sue testimonianze. Una vita di grandi sacrifici, anche economici (Piera non può lavorare, deve vivere con quel poco che le passa lo Stato) e di insensati grovigli burocratici. Una vita in cui incontra anche persone come Paolo Borsellino, lo “zio Paolo” come lo chiamano affettuosamente Piera e la giovanissima cognata Rita Atria, che l'aveva seguita nella sua scelta di rottura e che dopo la strage di via d'Amelio si ucciderà.
Una testimonianza preziosa, quella di Piera, che purtroppo non ci parla di una Sicilia d'altri tempi: basti pensare che alle commemorazioni di Rita Atria che si svolgono ogni anno nel suo paese d'origine i partannesi si contano sulle dita delle mani. Sarà ancora per quel malinteso senso “rispetto”.
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