Inferno, l’ultimo libro di Dan Brown ha toccato, seppur secondo lo stile apprezzabile o meno dell’autore, un tema estremamente attuale, la problematica della sovrappopolazione mondiale.
La sovrappopolazione, è una questione profonda (i dati mostrano che nel 2010 siamo arrivati a quota 7 miliardi di individui sulla Terra) su cui tutti dovremmo interrogarci ma che non sembra invece interessare l’opinione pubblica. Una sensibilizzazione in tal senso è stata forse raggiunta in minima parte grazie all’elevata tiratura e diffusione del bestseller di Brown. Chiunque lo abbia letto si sarà posto la domanda almeno per un instante: siamo davvero così in tanti su questo mondo?
Ripercorriamo la storia umana con un approccio puramente numerico. Dati alla mano si può osservare come la crescita della nostra specie abbia subito un’accelerazione a partire dai secoli XIX e XX. Dalla comparsa del genere umano fino al 1804, il numero di individui è cresciuto in 250000 fino alla cifra tonda di 1 miliardo.
A partire dal XIX secolo, con le conquiste mediche che hanno portato alla diminuzione dei tassi di mortalità e all’aumento dell’arco di vita della popolazione, con miglioramento delle condizioni dell’igiene, della sanità e della vita quotidiana, affiancate alle conquiste tecnologiche e sociali, che hanno determinato l’incremento della popolazione urbana rispetto a quella rurale, l’intensificarsi dei flussi migratori dai paesi più poveri e popolati della Terra alle aree più sviluppate dell’Occidente, la nostra espansione su questo pianeta ha subito un’accelerazione e non accenna a fermarsi.
In un solo secolo abbiamo raggiunto quota 2 miliardi (1927), nel 1959 (32 anni) siamo saliti a 3 miliardi ed in 40 anni (1999) il numero di individui è raddoppiato finché nel 2010 sono stati conteggiati 7 miliardi di persone. Le stime parlano di un attuale tasso di crescita di 10.000 individui all’ora che porterebbe quasi alla doppia cifra entro la metà del secolo (9.3 miliardi previsti).
Un’applicazione della BBC inglese consente un primo semplice e divertente approccio alla problematica permettendo di conoscere il proprio “numero” nel complesso, semplicemente inserendo la propria data di nascita (http://www.bbc.co.uk/news/world-15391515). Provando questo piccolo giochino, forse ci si rende conto meglio dei numeri di cui stiamo parlando, numeri che fanno girare la testa soprattutto se relazionati alla risorse non infinite che il nostro pianeta ha da offrirci.
Infatti, una crescita demografica a tempo indeterminato è fisicamente impossibile su un pianeta finito. Continuando a servirsi dello strumento matematico e statistico, possiamo puntare i riflettori su alcune verità alquanto preoccupanti. Attualmente, ci appropriamo di una percentuale della produzione fotosintetica (ossigeno) compresa tra il 24 e il 40 e di più del 50% dell’acqua dolce disponibile.
Il problema però non risiede solo nella quantità di materie che sfruttiamo ma anche, e soprattutto, dell’utilizzo che ne facciamo. Per esempio, dal 1961, la superficie di terra coltivata nel mondo è cresciuta del 13% mentre la popolazione umana è più che raddoppiata.
Perché questa disparità? La maggior parte del suolo disponibile viene destinato ad attività urbanistiche ed industriali. In più, non ricicliamo praticamente nulla dei minerali e dei materiali estratti, pur essendo consapevoli che i giacimenti sono in via di esaurimento, così come la quasi totalità della nostra energia, proveniente da fonti non rinnovabili, va quotidianamente sprecata.
Nel 2050, quando raggiungeremo la quota di 9.3 miliardi di individui, ci servirà il doppio dell’acqua e secondo la Nasa metà della capacità produttiva della Terra sarà al servizio delle nostre attività. Stiamo alterando gli equilibri naturali sfruttando le risorse idriche e il suolo ed inoltre, tutto questo porta alla produzione di enormi quantità di rifiuti che devono essere smaltiti regolarmente.
Più siamo e, di conseguenza, più produciamo e consumiamo tanto che, secondo molti, già oggi si possono imputare all’aumento demografico le grandi emergenze ambientali mondiali, quali le alterazioni climatiche dovute al disboscamento, l’erosione dei suoli per effetto delle coltivazioni su terreni sub-aridi, la salinizzazione delle terre coltivate e la desertificazione per eccesso di colture e di pascoli, l’assottigliamento delle disponibilità idriche e l’intensificazione dell’effetto serra col fenomeno preoccupante delle piogge acide, il possibile esaurimento delle risorse rinnovabili e lo sfruttamento di aree geografiche fragili con alterazione di habitat ed ecosistemi che andrebbero invece salvaguardati.
Dal punto di vista sociale, la conseguenza più importante nell’aumento dell’aspettativa di vita media risulta essere il gran numero di anziani che implica la necessità di prelevare forti somme dal reddito nazionale per pagare i vitalizi e per le strutture sanitarie che garantiscono migliori condizioni di vita.
Un’altra implicazione a livello mondiale è rappresentata dalla contrapposizione economica tra Nord e Sud del mondo. Quest’ultimo soffre la fame, mentre nei paesi tecnologicamente avanzati vengono distrutte le eccedenze alimentari, tanto che i consumi in questi paesi, tra il 1970 e il 2001, sono raddoppiati.
Mentre l’Europa produce più di quanto consuma e i contadini dell’America del Nord ricevono sussidi per non produrre, metà della popolazione del globo vive giornalmente con meno di 2 dollari. Riportando queste affermazioni ancora una volta sul piano dei numeri, si può affermare che un bambino, nato negli Stati Uniti nel 1999, consumerà nell’arco della sua vita 250 volte più energia rispetto ad un bambino nato nel Bangladesh nel corso dello stesso periodo di esistenza.
Cosa fare per rallentare questo trend? I potenti si sono concentrati soprattutto sulla necessità di raggiungere una sorta di “giustizia alimentare” per ridurre e razionalizzare i consumi e gli sprechi nel nord del mondo contribuendo parallelamente a nutrire quelli del sud.
Nelle recenti conferenze mondiali della è stato stabilito quale strumento di politica demografica internazionale la pianificazione familiare con tentativi di riequilibrare la crescita attraverso politiche di controllo delle nascite che hanno avuto buon esito in Asia (Giappone, Cina Thailandia, Corea e Indonesia) e Sud-America (Messico e Brasile), mentre nella maggior parte dei paesi africani (Tanzania, Congo ex-Zaire, Nepal e Kenya) il tasso di incremento demografico rimane elevato.
Altro strumento proposto è il controllo delle migrazioni internazionali, mentre i demografi continuano a sostenere che una possibile e tangibile soluzione ai problemi demografici potrebbe essere una politica di abbattimento delle tariffe doganali a favore dei paesi del Terzo mondoe di agevolazioni delle esportazioni e cancellazione del debito sui capitali prestati.
Sintetizzando il tutto, emerge l’esigenza di abbandonare il modus operandi dello sviluppo senza confini e la necessità di iniziare a fare qualcosa di concreto onde evitare di incorrere in quei limiti di popolamento teorizzati da Malthus (An essay of the principle of the population as it affects the future improvement of society _Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società, 1798), oltrepassati i quali l’umanità sarà costretta a pagare prezzi catastrofici, proprio come affermato dal protagonista cattivo del libro di Brown, adepto della corrente di pensiero dei maltusiani.
Riferimenti:
Rivista didattica
Profilo di Ilaria Pietrini
Laureata in Biologia, inseguo il mondo della ricerca senza dimenticare il mio lato artistico e la mia passione per la lettura e la scrittura. Amante del mondo, del mare, della natura, dei viaggi e delle persone...gli amici dicono di me che sono "una ricercatrice nell'anima".
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