Come informavamo ieri, l’associazione di atei fondamentalisti -l’UAAR- ha subito un’ennesima sconfitta, firmata direttamente da Giorgio Napolitano. Abbiamo chiesto a Gianfranco Amato, avvocato e bioeticista, tra i fondatori dell’Associazione Scienza & Vita di Grosseto, rappresentante per l’Italia dell’organizzazione internazionale “Advocates International” -che in questa vicenda ha rappresentato legalmente il vescovo di Grosseto Franco Agostinelli- di spiegarci nel dettaglio come si sono svolte le cose. Ne approfittiamo ancora una volta per ringraziarlo pubblicamente del suo impegno.
di Gianfranco Amato*
*avvocato e bioeticista
Nel novero delle stravaganti iniziative dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti, tra improbabili richieste di sbattezzo, eliminazione dei cappellani, abbattimento delle edicole religiose, cancellazione dei nomi di santi dalla toponomastica, silenziamento delle campane, cacciata delle suore dagli ospedali, e rimozione delle croci dalle cime delle montagne, vi è anche quella di intentare azioni legali contro le visite pastorali dei Vescovi alle scuole. Ne sono stato diretto testimone avendo avuto l’onore di rappresentare in giudizio, nella mia veste professionale di avvocato, Sua Eccellenza mons. Franco Agostinelli, Vescovo di Grosseto, e vittima delle azioni giudiziarie promosse dal locale circolo U.A.A.R. Questa volta ai nostri atei, agnostici e razionalisti è andata male.
Mi è stato notificato, infatti, il decreto del Capo dello Stato emesso lo scorso 6 maggio 2011, con cui si è disposto il rigetto del ricorso straordinario presentato dal coordinatore del Circolo UAAR di Grosseto, nella sua qualità di genitore di un allievo frequentante una scuola elementare del capoluogo maremmano, contro la visita pastorale di S.E. mons. Agostinelli. Nella sua motivazione il decreto del Capo dello Stato si rifà al parere n.335/2009 emesso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato nell’Adunanza del 21 aprile 2010. I giudici amministrativi hanno riconosciuto che la «questione obiettivamente delicata e complessa in linea generale, coinvolge profili che attengono alla libertà di culto e di coscienza e alla funzione di servizio pubblico degli istituiti scolastici, statali e comunque integrati nella rete della scuola dell’obbligo». Hanno però ritenuto anche di poterla «agevolmente risolvere sulla base delle norme che disciplinano l’autonomia delle istituzioni scolastiche (art. 10 del d.lgs. n. 297/1994 – con particolare riguardo al disposto del comma 3, lett. e) – e art. 4 del D.P.R. n. 275/1999); nell’ambito di tale autonomia, che è didattica e culturale, gli organi collegiali (…) possono senz’altro organizzare, sulla base della programmazione delle attività didattiche e delle proposte dei singoli docenti, opportunamente discusse e approvate, anche incontri con le autorità religiose locali, rappresentative della comunità sociale e civica con cui la scuola pubblica è chiamata ad interagire».
«Effettivamente la visita pastorale», continua il Consiglio di Stato «è avvenuta nelle ore di lezione; ma essa non si è svolta attraverso il compimento di atti di culto (eucarestia, benedizione, eccetera), ma attraverso una testimonianza sui valori, religiosi e culturali, che sono alla radice della catechesi cattolica, visti in connessione con l’esperienza religiosa e sociale della comunità territoriale; analoga iniziativa potrebbe ben essere svolta con riferimento ai valori di altre confessioni religiose o di altri orientamenti spirituali, presenti nella comunità territoriale in cui agisce la scuola, a condizione che essi siano portatori di valori coerenti con i principi di tolleranza e rispetto delle libertà, individuali e collettive, garantite dalla nostra Carta Costituzionale democratica e dal nostro ordinamento giuridico positivo». Per i giudici di Palazzo Spada «i ricorrenti in sostanza non hanno dato la prova del carattere di culto della visita di cui trattasi, con riferimento sia alle sue modalità organizzative, sia al suo effettivo svolgimento». «Del resto», continua il parere, «la visita pastorale è stata programmata e si è svolta in modo da evitare la partecipazione degli alunni e delle famiglie che comunque non intendevano aderire alla iniziativa, in modo da garantire il principio di imparzialità dell’azione amministrativa». Un analogo fallimentare tentativo dell’UAAR contro il Vescovo di Grosseto, attraverso il ricorso al T.A.R. Toscana, si è miseramente concluso con un decreto di perenzione depositato il 7 settembre 2010. Qui finisce la questione legale.
Mi si consenta, però, una considerazione di altro profilo sulla vicenda. Appare davvero incomprensibile l’ostinato tentativo di esasperare, in un Paese già lacerato come il nostro, il confronto tra laici e cattolici. Sembra proprio che qualcuno goda nel fomentare un’inutile quanto dannosa contrapposizione, un anacronistico revival delle faide tra guelfi e ghibellini. Ed è sintomatico che, negli ultimi tempi, siano proprio i cosiddetti “laici” ad alzare inspiegabilmente i toni. L’incresciosa vicenda della negata visita del Papa all’università di Roma evidentemente non ha insegnato nulla, se ancora oggi abbiamo dovuto assistere al ricorso alla magistratura da parte dell’Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti per impedire al Vescovo di Grosseto la visita alle scuole, nell’ambito del programma pastorale diocesano. In nome della Ragione e della Tolleranza, è partita – e fortunatamente conclusa – una simile offensiva di cui, sinceramente, dubitavamo la necessità. C’è proprio bisogno, nel particolare momento storico che attraversa l’Italia, di brandire l’arma della ragione in modo così maldestro?
Fa specie, infatti, constatare che proprio chi si proclama, se pur ateo o agnostico, “razionalista”, chi invoca la razionalità galileiana, non dimostri in realtà nessuna passione per quell’uso ampio e allargato della ragione da cui dipende originalmente tutta la nostra scienza e, più ancora, l’immediato futuro della nostra convivenza e civiltà. Come ha evidenziato lo stesso discorso di Benedetto XVI, censurato nella “laica” università della Sapienza, se la ragione diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea, ed italiana in particolare, ciò significa che se la ragione vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma. Di fronte ad una ragione a-storica – ricordava sempre il Papa in quel celebre discorso mai pronunciato – che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale (la sapienza delle grandi tradizioni religiose) è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.
In questo contesto e in un’ottica davvero “laica” va recuperato il senso della tradizione culturale religiosa che è incontestabilmente alla radice della nostra civiltà, del nostro comune sentire dello stesso uso adeguato della nostra ragione. E in questo contesto si inserisce anche la figura e l’attività pastorale del Vescovo di Grosseto, così come quella di tutti i vescovi di tutte le diocesi del mondo. Ora, nessuno può osare mettere in dubbio il diritto di opinione critica che spetta a chiunque, ivi compreso gli atei e gli agnostici razionalisti. Sarebbe, però, buona cosa farlo civilmente o quantomeno senza usare gli armamentari arrugginiti di un anticlericalismo ottocentesco, ormai quasi folcloristico. Non serve l’accecamento ideologico di un laicismo positivista ottuso e battagliero. Né serve confrontarsi su temi così delicati in un’aula di giustizia, come hanno fatto i ”razionalisti” grossetani. Mi permetto sommessamente di far presente ai membri dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, che è solo mediante un dialogo onesto ed un confronto sereno che si superano gli steccati del fanatismo e dell’intolleranza. Non attraverso temerari ricorsi al Capo dello Stato o ai Tribunali Amministrativi Regionali.