Controcultura. Va in onda il processo per oscenità subito nel 1957 da Allen Ginsberg, tra testi originali e il cartoon di Eric Drooker che anima i suoi versi. Non è certo una testimonianza questo tributo all'Urlo di Ginsberg, nè un documentario, forse nemmeno un film, piuttosto lo difinerei il flusso della coscienza dell'autore ricostruito tramite immagini. E'inclassificabile quindi questa pellicola unica nel suo genere, una fuga lirica e prosaica che scagiona Allen dal dito puntato contro dei benpesanti. Con un andamento jazz, vediamo Ginsberg declamare ambienti e persone, in particolar modo artisti, politici, gente con disturbi psichiatrici, drogati. La sua è una chiara invettiva contro lo stato americano, Moloch persofinicato da una sorta di Lucifero con gli occhi di fuoco. Il processo nei confronti dell'editore Ferlinghetti fu vinto: i riferimenti espliciti a droghe e pratiche sessuali e omosessuali diedero fastidio, risultarono scomode forse, ma non furono giudicate perseguibili. Il film è strutturato sulle interviste all'autore che narra suoi episodi di vita: dall'incontro con Jack Kerouak a quello con Peter Orlovsky, compagno di una vita. Molto spazio è dato alla ricostruzione abbastanza meticolosa del processo al quale Ginsberg non presiedette mai e alla lettura integrale di "Howl" alla Six Gallery di San Francisco. Colore e bianco e nero si mescolano. Unico punto di demerito: avrei dovuto ascoltarlo in lingua originale o forse anche nella resa italiana le parti in cui viene recitato Urlo non si sarebbero dovute doppiare. La voce italiana, infatti, vaga a tentoni alla ricerca di un ritmo e una musicabilità che non trova mai. Il tributo a questo favoloso poema ne esce quindi appannato, buona invece la ricostruzione circa la dedica: all’amico Carl Solomon, conosciuto in manicomio. La metrica ispirata a Leaves of Grass di Walt Whitman rischiò addirittura un’accusa di plagio: questa la tesi del professor David Kirk , risultata però alla fine poco convicente. Poco esaustiva la ricostruzione dell'ambientazione beat che ha ispirato l'autore, così come gli episodi personali che Allen snocciola fumando e seduto in poltrona ad un anonimo giornalista: il suo ricovero in manicomio (dopo aver sperimentato la malattia mentale per via materna) e l’osservazione della realtà sotto effetto di peyote. Ma il risultato totale è buono. Anzi beat.
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Controcultura. Va in onda il processo per oscenità subito nel 1957 da Allen Ginsberg, tra testi originali e il cartoon di Eric Drooker che anima i suoi versi. Non è certo una testimonianza questo tributo all'Urlo di Ginsberg, nè un documentario, forse nemmeno un film, piuttosto lo difinerei il flusso della coscienza dell'autore ricostruito tramite immagini. E'inclassificabile quindi questa pellicola unica nel suo genere, una fuga lirica e prosaica che scagiona Allen dal dito puntato contro dei benpesanti. Con un andamento jazz, vediamo Ginsberg declamare ambienti e persone, in particolar modo artisti, politici, gente con disturbi psichiatrici, drogati. La sua è una chiara invettiva contro lo stato americano, Moloch persofinicato da una sorta di Lucifero con gli occhi di fuoco. Il processo nei confronti dell'editore Ferlinghetti fu vinto: i riferimenti espliciti a droghe e pratiche sessuali e omosessuali diedero fastidio, risultarono scomode forse, ma non furono giudicate perseguibili. Il film è strutturato sulle interviste all'autore che narra suoi episodi di vita: dall'incontro con Jack Kerouak a quello con Peter Orlovsky, compagno di una vita. Molto spazio è dato alla ricostruzione abbastanza meticolosa del processo al quale Ginsberg non presiedette mai e alla lettura integrale di "Howl" alla Six Gallery di San Francisco. Colore e bianco e nero si mescolano. Unico punto di demerito: avrei dovuto ascoltarlo in lingua originale o forse anche nella resa italiana le parti in cui viene recitato Urlo non si sarebbero dovute doppiare. La voce italiana, infatti, vaga a tentoni alla ricerca di un ritmo e una musicabilità che non trova mai. Il tributo a questo favoloso poema ne esce quindi appannato, buona invece la ricostruzione circa la dedica: all’amico Carl Solomon, conosciuto in manicomio. La metrica ispirata a Leaves of Grass di Walt Whitman rischiò addirittura un’accusa di plagio: questa la tesi del professor David Kirk , risultata però alla fine poco convicente. Poco esaustiva la ricostruzione dell'ambientazione beat che ha ispirato l'autore, così come gli episodi personali che Allen snocciola fumando e seduto in poltrona ad un anonimo giornalista: il suo ricovero in manicomio (dopo aver sperimentato la malattia mentale per via materna) e l’osservazione della realtà sotto effetto di peyote. Ma il risultato totale è buono. Anzi beat.
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