Il Canada da sempre ci ha regalato artisti talentuosi, dai grandi Neil Young e Leonard Cohen sino ai più recenti Arcade Fire, Silver Mt Zion e la sorpresa dell'anno scorso degli Women con Public Strain (ascoltate “China Steps”, vi innamorerete del gruppo). Dietro questo album, alla produzione, c'è il nome di Chad Vangaalen (che è anche noto per essere un buon illustratore), altro cantautore che tiene alta la bandiera del suo paese. Questo Diaper Island (terzo album con la storica etichetta Sub Pop di Nirvana, Soundgarden e dei più recenti Fleet Foxes e Washed Out) è la quarta fatica, dopo tre lavori di buona fattura caratterizzati da sonorità indie-folk-rock, da atmosfere “rassicuranti” e testi che riescono a creare immagini vivide; La sua voce e l'interpretazione ricordano molto quelle di Daniel Johnston, Elliot Smith e Mark Linkous. Dopo la svolta leggermente “pomposa” di Soft Airplane, Chad cambia di nuovo rotta proponendo un disco più urlato, più focalizzato sulla chitarra (più eccentrica del solito in alcuni pezzi) che e si dimena fra tocchi di indie pop-folk e lo-fi creando un atmosfera questa volta meno rassicurante, più cupo, probabilmente molto influenzato dal lavoro fatto con gli Women.
E la prima canzone “Do not fear” ne è la dimostrazione di questa influenza (molto lo-fi la sequenza iniziale) soprattutto per la piega minacciosa che prende il pezzo nei momenti finali, che si cuce perfettamente ai “deliri” esistenzialisti del testo. Già dal secondo pezzo “Peace on the Rise” si può notare una continuità fra i vari pezzi: l'intro sembra quasi riprendere il finale della precedente traccia e prosegue in maniera martellante e quasi “dolce” fino a quando non si interrompe per far spazio ad un suono quasi drone, che dopo una piccola ripresa, verrà riproposto alla fine. Echi di sonorità post-punk si sentono in “Burning Photographs” (tra i migliori pezzi dell'album), seguita dalla più eterea e perfetta (la cura del back vocal, l'amalgama fra gli strumenti) “Heavy Stones”, uno straordinario esempio di folk contemporaneo. E poi c'è “Sara” (dedicata alla sua compagna) introdotta da un fischio e da una chitarra e che mette in evidenza tutte le capacità cantautoriali (come non si fa ad emozionarsi sulle parole Sara, wake me up when you’re home). La parte centrale del disco è sicuramente la migliore e “Replace me”, con la quale si ritorna ad un mood più scuro (I need someone, someone to replace me, to stand right here burning in these flames) e un ritmo più movmentato, ne è un esempio encomiabile. Più inquietante è la successiva “Blonde hash” (altro pezzo fra annoverare fra i migliorare) che disegna immagine sfocate e distorte con richiami alle sonorità “calexichiane” (e anche “Can you Believe It!” segue la stessa linea). Più grezza musicalmente parlando ma non meno gradevole la pukeggiante “Freedom for a Policeman”. E se siete così insensibili da non aver avuto ancora nessun brivido mettete il play su “Wandering Spirits”, una ballata semiacustica molto emozionante e impreziosita della presenza del flauto. E anche la successiva “No Panic/ No heat” ci regala tanto. Il disco si chiude con la cristallina e agghiacciante (per il mood decadente) “Shave my Pussy” (Maybe if I'll shave my pussy,... Baby, will you love me/ I'm really feeling ugly).
A mio modesto parere siamo di fronte al miglior lavoro di Chad Vangaalen in quanto riunisce le migliori caratteristiche dei primi dei precedenti album: la compattezza e la continuità sonora dei primi due lavori e la varietà di Soft Airplane.
Nicola Orlandino
Voto: 7,5/10
Tracklist:
Do Not Fear
Peace On the Rise
Burning Photographs
Heavy Stones
Sara
Replace Me
Blonde Hash
Freedom for a Policeman
Can You Believe It!?
Wandering Spirits
No Panic/No Heat
Shave My Pussy
Questa recensione è stata pubblicata per la rivista Beatbear.
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