Goldrake
Fabio Bartoli ha pubblicato con la casa editrice Tunué il libro “Vado, Tokyo e torno”, una sorta di blog cartaceo nel quale racconta le sue impressioni sul Giappone. Sul sito La Fenice di Carta è stata pubblicata una intervista all’autore, nella quale spiega il suo legame con il Giappone. L’autore, nato e cresciuto nel periodo del boom dei cartoni animati giapponesi, racconta di essersi prima appassionato ai manga ed agli anime giapponesi e poi “al Giappone anche come paese in sé, a 360°, non solo come culla di manga e anime“. Così, appena ne ha avuto l’occasione, è partito per visitare e scoprire in prima persona questo paese. Il primo impatto con Tokyo e la cosa che lo ha più colpito è stata “l’enorme differenza tra le proporzioni di una metropoli come Tokyo e quelle delle nostre città europee, comprese le più grandi: la capitale nipponica è talmente estesa e talmente popolata e frequentata da farti subito accorgere di come le categorie mentali ereditate dalla vecchia Europa siano del tutto insufficienti per prefigurarti lo spettacolo che si para innanzi ai tuoi occhi quando vi giungi“. Bartoli è rimasto stupito dalla “mancata concordanza tra gli stereotipi e le conseguenti aspettative sui giapponesi e la realtà che concerne la presenza della tecnologia nella vita quotidiana: il Giappone che ho visto io infatti è tutto fuorché l’impero della tecnologia che noi ci immaginiamo, almeno di quella fine a se stessa“. Allo stesso tempo, ritrovandosi a Tokyo si è trovato spesso a pensare “E’ proprio come nei cartoni animati”: “Passeggiare per Tokyo significa davvero ritrovarsi tra le pagine di un manga o nella puntata di un anime: i picnic sotto i ciliegi in fiore, gli studenti che passeggiano con le loro divise, i chioschetti di dolci lungo i viali“. Secondo Bartoli, partendo dal presupposto che in anime e manga i giapponesi si sono messi a nudo raccontando tutto di loro stessi, non c’è nulla che cercano di nascondere agli occidentali, “per la semplice ragione che anime e manga sono concepiti soprattutto per il pubblico nipponico. Per esempio al museo Ghibli, concepito e realizzato da una casa di produzione ormai famosa in tutto il mondo, le scritte sono quasi tutte in giapponese, segno che l’istituzione si rivolge principalmente alla massa potenziale dei visitatori indigeni“. Parlando dei trentenni di oggi che sono cresciuti con i cartoni animati giapponesi, Bartoli sostiene che “gli anime abbiano dato a un’intera generazione una scala di valori, delle linee guida per orientarsi nel mondo circostante. Non so se si possa dire lo stesso anche per le epoche successive ma di certo è successo per la cosiddetta Goldrake-generation. Credo che la caratteristica principale dell’animazione giapponese in tal senso sia quella di non offrire una realtà edulcorata ma, anche attraverso le sue rappresentazioni più fantastiche, molto simile a quella che ci si ritrova ad affrontare una volta diventati adulti. Non c’è mai un deus ex machina che risolve la situazione all’improvviso e né basta essere semplicemente buoni per ottenere quanto si desidera. Anzi, molto spesso la realtà è dura, a volte anche crudele e in molteplici occasioni l’eroe deve scontrarsi con gente malvagia e senza scrupoli semplicemente per rivendicare il suo diritto a una vita tranquilla. Spesso da solo non può raggiungere il suo scopo e deve cercarsi gli alleati giusti per perseguirlo, che a volte è costretto addirittura a vedere morire. Una rappresentazione che ad alcuni potrebbe sembrare esasperata ma che senza dubbio prepara all’effettivo mondo degli adulti, quello di cui facciamo esperienza tutti i giorni“. E per finire, qualche consiglio per chi vuole visitare il Giappone e non conosce la lingua e le usanze locali: “Informarsi quanto più possibile sul paese che si andrà a visitare, dagli aspetti eminentemente pratici a quelli culturali. Posso dire ai turisti di armarsi di molta curiosità e anche un po’ di pazienza, dal momento che la conoscenza della lingua inglese, fatta eccezione per gli ambiti più strettamente legati al turismo, non è diffusa quanto si possa pensare. Ai possibili prossimi partenti per il Giappone posso comunque dire di partire tranquilli e rilassati, sia perché il paese nipponico è molto organizzato e quindi molto sicuro sia perché gli indigeni mi sono sembrati sempre molto ben disposti verso gli stranieri, per giunta esentati dall’osservanza di tutte le regole comportamentali che si pretende vengano rispettate dagli autoctoni“. Sul sito della casa editrice Tunué si può leggere un estratto dal libro. (Fonte: Fenicedicarta.blogspot.com)