Carla Verbano è una che non si arrende. Oggi ha 87 anni, 32 anni fa uccisero suo figlio, Valerio. Da allora lei cerca di capire chi fu ad ammzzare suo figlio nella stanza accanto a quella in cui lei era immobilizzata. Valerio Verbano fu ucciso in maniera infame e crudele, che non aveva precedenti nell’infamia e nella crudeltà degli anni di piombo. Valerio era uno di sinistra, militante dell’autonomia operaia, frequentava un istituto romano, l’Archimede. Una mattina, e sono 32 anni oggi, il 22 febbraio 1980, mentre lui era a scuola (in realtà non c’era andato, ma i genitori credevano di sì), alla porta della sua casa, a Montesacro, suonarono tre ragazzi. Si fecero aprire dicendo «Siamo amici di Valerio». Erano incappucciati, legarono Carla Verbano e suo marito Sardo, li imbavagliarono e li gettarono sul letto. Po aspettarono. Valerio tornò a casa, posteggiò la Vespa 50 e salì. Carla e Sardo sentirono rumori di cose che si rompevano, poi uno sparo, uno solo. Quando arrivò un vicino di casa e liberò Carla e Sardo, trovarono Valerio riverso sul divano, disse «mamma aiuto, aiutami mamma», e basta. Gli avevano sparato alla nuca.
Vennero fatti gli identikit con l’aiuto di chi aveva visto gli assassini uscire dal portone: erano anche loro giovanissimi, come Valerio. Una rivendicazione arrivò dai Nar, quelli di Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, fascisti diociottenni che in quegli anni misero a ferro e fuoco Roma e non solo. Carla Verbano di politica non sapeva nulla, non aveva capito nulla di quegli anni. Iniziò a scavare, a cercare di capire, incontrò amici e poliziotti. Ha raccontato tutto in un libro, Sia folgorante la fine. Ha detto Carla Verbano: «L’inizio deve essere folgorante, Carla, mi dicono quelli ai quali parlo del libro. Capirai, folgorante, alla mia età. Io come inizio ho scelto la cosa più innocua che ci sia, un sogno. Perché quando mi sveglio, ogni mattina da trent’anni, voglio tutt’altro: sia folgorante la fine, di questa storia». La storia della morte di Valerio Verbano è anche la storia di una città, Roma, che in quegli anni era divisa, piena di confini, di qua zona nera di là zona rossa. Le botte ma anche i colpi di pistola, gli omicidi a freddo. Le imprese del gruppo di Fioravanti e Mambro, con Giorgio Vale, Alesandro Alibrandi, Stefano Soderini, Gilberto Cavallini. Luigi Ciavardini. Gente che uccise a freddo, come davanti al liceo classico Giulio Cesare, quando spararono a Franco Evangelista, il poliziotto che chiamavano Serpico. O come quando uccisero un magistrato, Mario Amato, il 23 giugno 1980. Amato era l’unico che a Roma indagava sui neri. Da solo, per una mole enorme di delitti. Lavorava nello stesso palazzo del giudice Antonio Alibrandi, papà di Alessandro, l’assassino amico di Giusva Fioravanti. Amato faceva arrestare Alessandro, il padre lo liberava. Alla fine Amato fu ucciso. Era solo, senza scorta, senza macchina blindata.
Carla Verbano non ha ancora capito chi uccise suo figlio. Si fecero molti nomi allora. Valerio non era un angioletto, era figlio di quegli anni: partecipava a scontri, anche duri, con i fascisti. Aveva un archivio con tanti nomi di camerati della zona di Montesacro. Si parlò di Nanni De Angelis, giovanissimo militante di Terza Posizione, il gruppo fondato da Roberto Fiore, Gabriele Adinolfi e Peppe Dimitri. Si disse che De Angelis era stato colpito da Verbano durante uno scontro tra rossi e neri. Nanni, accompagnato dal padre, andò a casa Verbano. Disse: «Signora, io non c’entro nulla con la morte di suo figlio».
Anche Nanni De Angelis fece una brutta fine, pochi mesi dopo. Venne arrestato il 4 ottobre del 1980 mentre era in compagnia di Luigi Ciavardini, indicato come l’assassino del poliziotto Serpico. Al momento dell’arresto ci fu una colluttazione violenta, De Angelis era un ragazzone alto e grosso, giocatore di football americano. Venne ricoverato in ospedale poi subito dimesso e chiuso in isolamento a Rebibbia. Lo trovarono impiccato con un lenzuolo il 5 ottobre. In tanti non hanno mai creduto alla versione ufficiale. Furono in molti, in quegli anni, a passare da Terza Posizione ai Nar: avvenne, per i i gruppi fascisti, lo stesso travaso che era avvenuto dall’altra parte tra autonomia operaia e gruppi terroristici.
Furono i Nar a uccidere Valerio Verbano? Da un anno a Roma si indaga su due nomi, due fascisti che non entrarono nelle indagini di allora. Uno di loro vive all’estero da tempo, l’atro è ancora in Italia, è un professionista affermato. Non facevano parte dei Nar, erano cani sciolti.
Un altro omicidio, commesso a Milano nel marzo 1978, quello di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, è simile a quello di Valerio Verbano. Spararono a Fausto e Iaio davanti al Leoncavallo. Fascisti, ma rimasti senza un nome. Carla Verbano pensa che possa essere stata la stessa gente. Che gli assassini di Fausto e Iaio siano venuti da Roma.
C’è un’altra cosa che racconta Carla Verbano. Un giorno incontrò Fioravanti e Mambro. Aveva cercato lei quell’incontro. Di chi aveva ucciso suo figlio, Giusva Fioravanti disse di non sapere nulla. «Ma ha mentito», dice Carla, «io lo so che ha mentito. Mentì anche quando disse di son sapere nulla dell’omicidio Amato. E invece poi si seppe che era stato lui a pedinare il magistrato, a dare tutte le indicazioni».
Ogni tanto qualcuno imbratta la lapide che ricorda Valerio Verbano a Roma. La mamma, Carla, vive qualche piano sopra quella targa. C’è una finestra accesa: invece di fare i conigli imbrattando lapidi, citofonatele, andate a parlarle. Lei ancora aspetta, da 32 anni, di vedere la faccia di chi sparò alla nuca di suo figlio mentre lei era di là, legata su un letto, e non poteva nemmeno urlare.