“Se si vuole crescere bisogna affondare le radici nella terra. Perciò ti dico, affondale nella terra – lì tu crescerai. Non seccare sul marciapiede. Tu dirai che ci sono piante di città – si, certo, ma tu sei grano, e il tuo posto è un campo di grano.”
(Vincent van Gogh)
Vincent van Gogh, il “suicidato della società” per dirla con Antonin Artaud, è il pittore più rappresentativo di quel sentimento di profonda inadeguatezza che coglie il poeta, l’artista, di quell’impossibilità di adattare il proprio mondo a quello reale. Nelle sue opere si legge tutta l’incapacità di separare la vita dall’arte, i suoi lavori sono espressione di uomo che non può che vivere da artista.
“Van Gogh. L’uomo e la terra” è il titolo della mostra a Palazzo Reale dal 18 ottobre all’8 marzo 2015 che si lega al tema di Expo 2015 – Nutrire il pianeta. L’evento, promosso dal Comune di Milano – Cultura, prodotto e organizzato da Palazzo Reale di Milano, Arthemisia Group e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e realizzato anche grazie al sostegno del Gruppo Unipol, è patrocinato dall’Ambasciata del Regno dei paesi Bassi a Roma.
L’allestimento, curato da Kathleen Adler, si apre con l’autoritratto del pittore del 1897 (per la prima volta a Milano) e mantiene come filo rosso la tematica che dà il titolo alla mostra, “L’uomo e la terra”. Dall’Olanda alla Francia, da Arles a Saint Rémy, dall’incontro con gli impressionisti alla convivenza con Gauguin. Il percorso biografico dell’artista s’intreccia con le esperienze pittoriche di fino Ottocento restituendo un’immagine inedita dell’artista: la vita dei campi, le nature morte, zappatori, contadini, taglialegna, pescatori. È un Van Gogh che guarda all’orgoglio realista di Jean-François Millet (“padre Millet”, come lo apostrofa nelle lettere indirizzate al fratello Theo) proponendosi quasi come un baudeleriano pittore della vita moderna. L’idea dell’agricoltura e del lavoro nei campi si lega allora a quella di crescita, il suo indagare la natura significò un andare verso l’autenticità delle cose: “Io non sono un artista – che volgare anche solo pensarlo, di se stessi. Non si dovrebbe avere pazienza, imparare la pazienza della natura, imparare la pazienza guardando il grano salire, lentamente, il crescere delle cose? Si dovrebbe forse pensare di essere una cosa talmente grande e morta da credere di non crescere più?” La mostra ha il grande merito di far parlare direttamente il pittore attraverso un fitto dialogo fra le opere e le citazioni tratte dalle lettere di van Gogh (una sala è interamente dedicata alla corrispondenza epistolare dell’artista). Il taglio curatoriale non presenta eccessi informativi e permette al visitatore di immergersi in un ambiente (volutamente buio) nel quale è a diretto contatto con i lavori esposti. Il progetto d’allestimento è anche frutto del lavoro dell’architetto Kengo Kuma, che ha scelto di utilizzare poche luci, orientate verso le opere dal basso verso l’alto.
Approfondire un artista come van Gogh è di fondamentale importanza. E farlo significa anche andare al di là di facili e superficiali interpretazioni. Non si può ridurre a poche righe il percorso di un pittore che dedicò la sua vita all’arte, né si può pensare di esprimere con chiarezza la sua complessità. E’ possibile però osservare, cercare di rubare quello sguardo spontaneo e sempre nuovo che caratterizzò le opere dell’olandese. Guardare a van Gogh vuol dire soprattutto calarsi senza concettualismi nel mondo, sporcarsi le mani e gli occhi in ciò che più c’è d’umano, vuol dire amare le piccole cose, vuol dire amare la vita e il mondo nella sua interezza.
E van Gogh s’innamorava di tutto, anche del dolore.
Orari: lunedì 14.30 – 19.30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30; giovedì e sabato 9.30 – 22.30.
di Vincenzo Di Rosa
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