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Vedo gggente...

Da Stimadidanno
Se non si agisce totalmente in incognito, può capitare a volte che scrivendo un blog ci si censuri.
Io credo che autocensurarsi non faccia bene, mai. Perciò se un argomento brucia e chiede di essere esposto, bisogna trovare il modo di dargli voce. La voce giusta, il tono giusto. Una piccola sfida di stile. Una piccola dose di rischio.
Ed eccola qua la chiave di lettura, mi si sta offrendo mentre cerco (un po' più a freddo, ma mica poi tanto) di organizzare le idee.
Non parlerò degli altri, parlerò di me. Così non si offenderà nessuno. Forse.

Vedo gggente...

Eduardo Recife

L'altra sera siamo andati a casa di amici di lunga data, persone che vediamo poco ma che, se fossimo su Google+, classificherei nella cerchia "amici storici".
Mi sono sentita intollerante, che per me è una cosa brutta, molto brutta. Bisogna sempre sforzarsi di capire i motivi che stanno dietro ai comportamenti e alle situazioni. Aiuta a sviluppare empatia, migliora i rapporti tra le persone, bla bla bla. Politicamente corretto, no? Sì, fa molto Stima Di Danno, quella ragionevole.
Niente, l'altra sera digrignavo i denti, e non era certo un sorriso il mio, altro che empatia. Ero centopercento Putrida.
Mentalmente giudicavo il teatrino che ci si parava davanti. Mi detesto per questo, odierei sapere che qualcuno mi osserva e condanna senza pietà. Sarà successo e succederà, certamente. Meglio non approfondire.
Il fatto è che non riuscivo a sopportare l'idea che un maschio di sette anni, uno champagne compresso in una bottiglia troppo piccola, dovesse essere festeggiato in funzione dei gusti e delle esigenze degli adulti.
"I regali?"
"Dopo la torta e le fotografie".
"E la torta?"
"Dopo gli stuzzichini".
I regali sono arrivati a mezzanotte. Libri (tra cui i nostri) e abbigliamento. Il festeggiato era delusissimo, stanco, frustrato. Ed è scoppiato in lacrime: "Non c'è neanche un gioco!".
Avrei pianto con lui, avessi potuto. Gli avrei detto che aveva diritto ad un gioco schifiltoso, scelto da un amichetto coetaneo e competente. Poi gli avrei spiegato che un libro è più di un gioco e mi sarei seduta di fianco a lui a leggergli una storia. Avremmo mangiato la torta insieme, subito, e avremmo lasciato gli stuzzichini agli adulti. Troppi adulti, a dire il vero. Senza gli adulti, nessuna fotografia in posa. Non mezzanotte, ma le quattro del pomeriggio. Non un soggiorno con la tv accesa sui cartoni, ma un parco (è luglio!)...
Niente, di quella serata non ho salvato niente.
In tutto questo, G. si è messa in modalità stronza (broncio e silenzio, le viene benissimo) e il giorno dopo ha sentenziato: non sembrava una festa. Lei di feste conosce solo quelle dell'asilo, torta finta (secondo regolamento), canzoncina, corona e disegni in regalo.
Da quando c'è G. è cambiato il mio modo di rapportarmi con le persone. Tutto quello che le faccio vivere ha un peso e capita a volte di sentirmi a disagio. I bambini non conoscono ironia e forse anch'io un po' di ironia l'ho persa. Mi metto al suo livello e mi chiedo: è adatta per lei questa situazione? come la può vedere, come la elaborerà? rispetta i suoi ritmi, il suo modo di sentire?
Prima mi divertiva l'eccesso di tradizione tipico di quel gruppo di amici, così fuori tempo da sembrare buffamente eccentrici. Il settenne da piccolo non mostrava segni di ribellione, io ero un po' meno mamma e mi dicevo: è abituato, non condivido ma tutto questo per lui è normale, quindi va bene così. Una volta ogni tanto ci stava una serata del genere e, in fondo, quelle persone fanno parte del mio passato e da loro sono venute anche cose buone.
Ma da un po' - da quando riconosco in G. una parte attiva in tutte le nostre uscite - tutto è cambiato. Sono più aperta alle nuove amicizie e, contemporaneamente, molto più selettiva.
Ho poco tempo e non mi va di sprecarlo in piccoli rituali formali, che diventano crudeli se sono presenti dei bambini. Voglio stare con persone in trasformazione, perché io stessa con loro mi trasformo e mi sento viva. G. lo capisce quando sono rilassata e si rilassa a sua volta. Essere genitori non è necessariamente un fattore unificante o una condizione necessaria, conta il come, contano gli aspetti a cui si riconosce importanza.
Non è un caso che con gli amici più cari si finisca sempre seduti per terra, dapprima per giocare con i bambini, poi per chiacchierare ponendosi al livello zero delle sovrastrutture sociali. Ci raccontiamo il presente e il futuro, non quanto abbiamo condiviso ai vecchi tempi. Cerchiamo insieme, vero Melablu?
Nuovi e vecchi amici sanno del non.blog. Non lo utilizzo come rifugio, perciò non ne faccio mistero. Le persone presenti l'altra sera, invece, difficilmente sapranno di questo mio spazio-gioco virtuale. Non perché me ne vergogni, ma semplicemente non capiterà mai con loro una conversazione che lo farà emergere. Cosa sanno di me, veramente? Niente. E io non so più niente di loro, non riesco a sfondarlo il muro di ovvietà. Ma chissà perché ci si vede cosi poco. Già, chissà perché.
E se capiteranno qui per caso (dubito) e si riconosceranno in questo post, pazienza, correrò il rischio. Si aggiungerà un brivido a questo tipo di rapporti. Perché non dirgliele in faccia, queste cose? Ci ho anche provato, ma tutto viene reindirizzato sui binari della conversazione previsti.
La messa è finita, andate in pace.

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