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Venezia – e l’Italia – con “l’acqua alla gola”

Creato il 18 agosto 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

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L’esperienza del MoSE rivela una nazione in balia di partitocrazia, clientelismo e corruzione

Responsabilità, trasparenza e merito”: i principi evocati da Corrado Passera nel suo libro “Io siamo” ci riportano al problema del rinnovamento della politica. Tra gli altri temi, l’ex ministro affronta quello cruciale dei trasporti e delle infrastrutture, che definisce “gironi infernali in cui sprofondano le speranze di modernizzare l’Italia”, soffocati da “una burocrazia lenta e asfissiante” e dal sistema delle “mille aziende e società senza massa critica mantenute in vita dalle amministrazioni locali per pure finalità clientelari”. Per la completa realizzazione dei principi sopra enunciati, Passera intende promuovere una seria riforma delle istituzioni volta alla semplificazione della pubblica amministrazione. E ci ricorda che per ottenere una vera svolta occorre innanzi tutto “tagliare le unghie alla partitocrazia”.

L’ennesima prova dell’urgenza di questi cambiamenti ci viene dal libro Corruzione a norma di legge. La lobby delle grandi opere che affonda l’Italia, in cui il professore di economia politica Francesco Giavazzi e il giornalista Giorgio Barbieri ricostruiscono “le vicende giudiziarie che hanno coinvolto il MoSE, la ‘grande opera’ ideata per risolvere il problema dell’acqua alta a Venezia”, portando alla luce “il fitto intreccio che legava controllori e controllati, con conseguenze nefaste per la città, la regione e il bene comune”.

Il “Modulo sperimentale elettromeccanico” fu inaugurato alla fine degli anni settanta; dieci anni dopo, nel 1986, Bettino Craxi dichiarò che i suoi lavori sarebbero terminati improrogabilmente entro il 1995. Il costo preventivato, rapportato in euro, doveva essere meno di tre miliardi. Ad oggi il progetto è costato più di sei miliardi di euro di denaro pubblico, a cui si deve aggiungere un altro miliardo e mezzo per la manutenzione.

Come è potuto accadere tutto questo – si domandano gli autori – “in un Paese i cui ingegneri e le cui imprese hanno realizzato alcune delle più straordinarie infrastrutture al mondo?” È evidente che c’è qualcosa, nel sistema italiano, che non va.

La risposta la troviamo tra le pagine del libro: “Il MoSE è un esempio emblematico di quanto in Italia la realizzazione di un’opera pubblica, a partire dal progetto e dall’appalto, inneschi un meccanismo di corruzione, tempi infiniti, mancanza di controlli e costi che lievitano proporzionalmente al diffondersi della corruzione”. E a testimonianza della loro tesi gli autori citano altri progetti che presentano molte caratteristiche in comune con la “Grande opera” veneziana, dall’Alta velocità agli scandali recenti di Expo 2015, che da trampolino di lancio di un’Italia competitiva rischia di diventare l’ennesima immagine dell’inaffidabilità di un paese ormai allo sbando.

Tutto ciò è stato possibile attuando la “corruzione delle leggi prima ancora che la violazione delle leggi”, ovvero la modifica della normativa “formalmente per accelerare la realizzazione dlle opere, in realtà per arricchire imprese e politica”. Ciò ha permesso che le decine di ricorsi, in Italia e in Europa, fossero sempre respinti “grazie a regole costruite ad arte da un sistema di potere trasversale”.

La vicenda del MoSE, affermano gli autori, descrive “un sistema che ha corrotto il Paese a tutti i livelli, durante la prima e la seconda Repubblica, e che ora mette con le spalle al muro la politica: spetta a lei trovare l’antidoto affinché casi del genere non si ripetano più”. Il che ci riporta – con convinzione sempre maggiore – alle parole di Passera sul rinnovamento della politica e sulla necessità di una drastica potatura agli “artigli” della partitocrazia.

Marco Cecchini


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