Provincia, sost. f.
Non si tratta di una parola di attualità, anzi questa è una parola decisamente passata di moda e rischio che, se aspetto ancora a scrivere questa definizione, rientri nel campo dell’archeologia. Quindi dico la mia sul tema, visto che il maghetto di Firenze ha deciso in questi giorni di riformare anche il Titolo V della Costituzione, dopo aver fatto un po’ di maquillage alla legge elettorale.
Come noto, nell’ordinamento amministrativo italiano la Provincia – con la lettera maiuscola, in quanto ha dignità costituzionale – è un ente territoriale autonomo, intermedio tra il Comune e la Regione, formato da una pluralità di comuni, quasi sempre limitrofi, il più importante dei quali ne costituisce il capoluogo.
E’ altrettanto noto che il termine risale all’ordinamento dell’antica Roma, in quanto una provincia era la più grande unità amministrativa dei possedimenti stranieri della repubblica prima e dell‘impero poi. L’etimologia in questo caso è chiarissima: il termine deriva infatti dalla forma verbale provicta, ossia precedentemente sconfitta. In sostanza le province erano i territori conquistati da Roma, dentro e fuori la penisola italiana, e governati da magistrati detti pretori. La prima provincia istituita fu la Sicilia, nel 241 a.C.; noi, emiliani e romagnoli, viviamo in quella che in un primo tempo – prima di diventare a tutti gli effetti territorio romano – fu la provincia chiamata Gallia Cisalpina.
Al di là della fortuna storica e della gloria passata del nome, pare che ormai questo livello amministrativo sia destinato a scomparire, tra la soddisfazione generale. Anzi ormai quando qualcuno non sa cosa dire, ma vuole comunque ottenere l’appluso incondizionato degli astanti, dice di voler abolire le Province e tutti sono contenti.
Ci sono ovviamente molte ragioni per abolire un livello amministrativo che è stato via via svuotato di compiti e funzioni e che è rimasto per dare un contentino alle terze file della nomenclatura politica. Gli amici ricorderanno che per diversi anni, in particolare in quelli migliori del centrosinistra, le Province sono servite per piazzare un po’ di esponenti della Margherita, secondo la regola per cui ai Ds spettava il sindaco e a quel partito il presidente della Provincia. Grazie a questa regola Beatrice Draghetti ha potuto inaspettatamente fare per ben dieci anni il presidente a Palazzo Malvezzi – e Vittorio Prodi prima di lei – e anche il giovane Renzi ha potuto cominciare la sua resistibile ascesa al potere, iniziando proprio da quell’ente oggi da lui così bistrattato.
Per un curioso paradosso della storia mai come in questi ultimi vent’anni in cui – anche sotto la spinta di una forza politica che ha alternato, senza molta logica, secessionismo e federalismo – non si è mai parlato tanto di devolvere poteri dal centro agli enti territoriali, tanto da intervenire anche per un paio di volte sugli articoli della Costituzione che si occupano del tema, nonostante questo appunto, non si è mai centralizzato tanto, riducendo Regioni, Province e Comuni a organi sempre meno importanti nella vita delle persone. Paradosso nel paradosso abbiamo perfino avuto un esponente del partito secessionista che per due volte ha fatto il ministro dell’interno, ossia la carica del governo che più di altre esprime la centralizzazione burocratica del potere e non è cambiato nulla, anzi le cose – come ho detto – sono peggiorate.
Le Province quindi sono state da un lato svuotate e soprattutto sono state delegittimate. I Comuni sono stati paralizzati nella propria attività da vincoli finanziari e legislativi che impediscono di fatto a un sindaco, che pure è eletto dai cittadini, di prendere decisioni significative per il proprio territorio. Le Regioni sono diventate quel distributore automatico di prebende politiche e soprattutto di soldi che sappiamo. In questi vent’anni la riforma costituzionale materiale ha di fatto reso inutili gli enti locali, così come ha spogliato della funzione legislativa il parlamento a favore del governo e delle autorità sovranazionali europee non elette.
Per questo io vorrei fare una piccola proposta, un po’ provocatoria, che immagino non troverà molto seguito. Sono d‘accordo con chi dice che tre livelli amministrativi sono troppi e per questo motivo io abolirei le Regioni, che si sono rivelate effettivamente il più inutile e dannoso degli enti locali. Proprio a favore delle Province che invece, se rivoltate come un calzino, potrebbero davvero svolgere quelle funzioni di governo dell’area vasta che naturalmente i Comuni non possono svolgere. Immagino Province un po’ più grandi di quelle che ci sono oggi, anche perché negli anni ne sono state create di nuove assolutamente inutili, il cui unico scopo è stato quello di accontentare qualche cacicco locale e di offrire agli autori della Settimana enigmistica nuove sigle per i cruciverba.
Il caso della nostra regione è emblematico. Come noto l’Emilia-Romagna non esiste, è davvero – come direbbe Metternich – un’espressione geografica, perché nessuno di noi si sente davvero emiliano-romagnolo: siamo o emiliani o romagnoli. Esistono invece aree che hanno caratteristiche omogenee, per storia, cultura, aspetti fisici e geografici: la Romagna, il ferrarese, il bolognese, il modenese, il parmigiano-reggiano. C’è una parte del piacentino che gravita già sulla Lombardia e in questa riforma potrebbe trovare una nuova “casa” con un pezzo del territorio che è bagnato dalle due sponde del Grande fiume. E credo che un ragionamento del genere valga anche per le altre regioni italiane. Non è una questione di gretto campanilismo, come alcune volte pare venir fuori, è semplicemente la presa d’atto di una realtà.
Naturalmente a patto che questi nuovi enti locali siano messi in grado di funzionare, le Province così concepite sarebbero in grado di rispondere meglio alle esigenze dei loro territori e dei Comuni che le compongono. Pensate solo alla gestione del territorio o dei fiumi. Ad esempio non è naturale che Ferrara e Rovigo costituiscano una nuova Provincia che abbia come compito precipuo la tutela del delta? E gli esempi potrebbero essere molti altri. Credo che anche la gestione delle calamità e soprattutto della ricostruzione – che adesso è molto complicata, come ci dicono gli amici di Modena – potrebbero essere più semplici in un quadro come questo. Dove però si dovrebbe e potrebbe lavorare meglio sulla prevenzione.
Visto però che è molto più facile abolirle, andrà a finire così. Un bell’appluaso.