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Verso l’autunno caldo messicano

Creato il 04 settembre 2012 da Vfabris @FabrizioLorusso

Marcha funebre democracia 184 (Small).JPG[Una versione più timida e succinta di questo articolo è uscita sul quotidiano L'Unità del 3 settembre 2012, Fabrizio Lorusso] Bandiere tricolori con l’aquila azteca nel centro, un vecchio pullman come palco e migliaia di studenti a occupare l’ingresso del parlamento al grido di “non ci arrenderemo”. Sabato primo settembre i portavoce del movimento studentesco messicano, chiamato YoSoy132 (IoSono132, link storia), hanno letto il loro comunicato, preciso e completo, sulla situazione reale del paese: più povertà e violenza dopo sei anni di guerra militarizzata al narcotraffico*. È la versione alternativa al quadro più politically correct che ogni anno a settembre il presidente presenta all’opinione pubblica. Gli studenti hanno anticipato il presidente Felipe Calderón questa volta. E’ stato un week end caldo a Città del Messico e in altri importanti capoluoghi del paese. E’ il preludio di un autunno di lotte su più fronti, una stagione di aggiustamenti, ma anche di rivolgimenti politici e sociali che potrebbero continuare fino al primo dicembre, giorno in cui il nuovo presidente entrerà ufficialmente nella residenza de “Los Pinos” per assumere pieni poteri. Dopo mesi di proteste popolari e incertezze sui risultati delle presidenziali del primo luglio, Enrique Peña Nieto, del Partido Revolucionario Institucional (Pri), è stato dichiarato ufficialmente vincitore e sta definendo l’agenda del suo futuro governo. Le proteste e le incertezze, però, non sono finite.

Venerdì scorso il Tribunale Elettorale ha rifiutato le prove di presunti brogli e le richieste di annullamento presentate dal Movimento Progressista e dal suo candidato, Andrés Manuel López Obrador (Amlo), e ha proclamato Peña presidente: ha ottenuto il 38% dei voti, mentre Amlo è secondo con il 31%.

Il Pri è una delle formazioni politiche più longeve al mondo, un partito-dinosauro (come si dice in terra azteca) che nel novecento governò il Messico per 71 anni consecutivi e ora torna al potere dopo due mandati del conservatore Partido Acción Nacional (Pan).

Il Partido Revolución Democrática (Prd), seconda forza in parlamento e prima dei progressisti, aveva impugnato i risultati presentando migliaia di prove e testimonianze di irregolarità. In base all’art. 41 della Costituzione, che impone elezioni “libere e trasparenti”, s’erano denunciate la compravendita di milioni di voti, attuata dal Pri tramite la banca Monex e le carte prepagate dei supermercati Soriana, e lo sforamento dei tetti di spesa legali. Ma le indagini su questi scandali non sono entrate nel fascicolo del Tribunale e saranno risolte dall’Istituto Elettorale solo tra qualche mese. Il vuoto nelle leggi elettorali messicane è proprio questo: se, al di là di veri e propri brogli comprovati, si commettono gravi crimini di altro tipo prima, dopo e durante le elezioni, o se le Tv sostengono un candidato o fanno “guerra sporca” contro i rivali, oppure se si creano reti e sistemi paralleli di finanziamento, leciti e illeciti, se i sondaggi a mezzo stampa sono tendenziosi o falsati, ebbene non esiste una maniera di verificare seriamente queste irregolarità e di sanzionarle prima che il presidente venga eletto. Mancano i tempi e le funzioni per le istituzioni preposte. Se poi queste non sono occupate da funzionari minimamente “attivi” o reattivi o almeno propositivi, restano sterilizzate.

“Il Tribunale Elettorale ha deliberato sull’ultima delle impugnazioni presentate. È il momento di una nuova tappa di lavoro, per l’unità e la grandezza del Messico”, ha annunciato Peña via Twitter. “Il tribunale non s’è avvalso delle sue funzioni inquirenti per verificare le denunce, non ha sanzionato il mercato nero elettorale che da anni favorisce Peña, né ha indagato a fondo sui tetti di spesa della campagna e sull’abuso mediatico di sondaggi tendenziosi”, spiega John Ackerman, ricercatore e opinionista. 

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“Contro la mancanza di trasparenza delle elezioni, la società avrà l’ultima parola a livello politico con denunce cittadine e proteste creative”, ha aggiunto. Il capogruppo del Prd alla Camera, Ricardo Monreal, ha parlato di una “democrazia pervertita, di preoccupazione e impotenza nel paese per un’imposizione legittimata”. Ancora Ackerman: “Sulla compravendita del voto il tribunale dice che non si può dimostrare e che è un insulto alla cittadinanza ma il codice elettorale dice che il delitto non è la vendita del voto ma anche solo la proposta di cambiare il proprio voto a cambio di qualcosa e questo non è stato considerato” e aggiunge “contro la mancanza di trasparenza delle elezioni, sarà la società che avrà l’ultima parola a livello politico con denunce cittadine e proteste creative”.

Il tribunale elettorale (che funziona come una corte suprema o corte costituzionale in materia di elezioni) non ha esercitato le sua facoltà e non ha investigato, ha solo deliberato praticamente all’unanimità sostenendo che le prove apportate dalle sinistre erano insufficienti. Ma a chi spettava provare quelle accuse? Al tribunale o agli inquirenti, non di erto a chi le aveva presentate (in questo caso il Movimento Proogressista). I magistrati non lo hanno fatto. Invece hanno lanciato per mesi messaggi trionfalisti sul buon funzionamento della democrazia messicana. Com’è possibile che chi presenta una lamentela formale per irregolarità elettorali non veda nascere un’indagine su quei fatti immediatamente, cioè prima che la vittoria di un candidato sia ufficializzata?

Eppure è così e non si sa se un’altra riforma elettorale sarà inserita in agenda. Come aspettarselo dal partito, il Pri, che maggiormente ha saputo approfittare di questi “vuoti” legali? Il dinosauro-Pri ha proposto riforme: anticorruzione, per la trasparenza e per supervisionare le relazioni tra politica e mezzi di comunicazione. E’ credibile? Stanno rispondendo (o reagendo) ora alle accuse che la società rivolge loro proponendo riforme e organi garanti su quei temi oggi molto “sensibili”, ma l’intenzione potrebbe essere opposta: riconfigurare gli organi preposti alla trasparenza (IFAI) o crearne di nuovi per influire nelle loro decisioni dando una parvenza di rinascita democratica.

Ma senza una nuova e decisa riforma elettorale, oltre che mentale e giudiziaria, quelle riforme non saranno credbili. Ciclicamente ogni 3 o 6 anni, in corrispondenza degli appuntamenti elettorali per le presidenziali e per il parlamento vengono trovate nuove gabole per poter eludere o restare ai margini della legislazione in vigore, cioè per vincere con l’inganno. “Hecha la ley, hecha la trampa”, fatta la legge, trovato l’inganno. Nei prossimi anni, forse, si faranno nuove leggi, il sistema migliorerà, apparentemente, e sembrerà blindato, ma anche le tecniche per frodare i cittadini si raffinano e le istituzioni non ci stanno dietro.

Già si parla di “democrazia autoritaria” per i prossimi sei anni e si allude al “modello russo”. Potrà la cultura autoritaria della corrente più conservatrice, quella dei governatori e di Peña Nieto (si veda la sua gestione come governatore del Estado de Mexico fino al 2011), convivere con la cultura apeta e democratica che caratterizza la capitale Città del Messico? Quindi la sfida sarà anche quella di non retrocedere, di non tornare al passato, più che andare avanti e migliorare questo sistema, dato che il Pri ha una forte presenza in parlamento (anche se non la maggioranza assoluto) e le opposizioni, soprattutto i movimenti sociali, dovranno tenere alta la guardia.

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Come governerà Peña Nieto? Dovrà sicuramente fare i conti con i poteri forti che non sono più sottomessi al presidente com’era nel vecchio regime del novecento: televisioni (TeleVisa e Tv Azteca in primis), sindacato corporativo dei lavoratori dell’educazione (in mano alla plenipotenziaria ed eterna leader Elba Esther Gordillo, che monopolizza l’apparato ideologico che era dello stato e si occupava dell’istruzione e della manipolazione delle coscienze: la scuola dell’obbligo), sindacato petrolifero (il cui massimo dirigente siede in senato con il Pri), narcos ed gruppi armati che in sei anni si sono consolidati in ampie zone del Messico (soprattutto il Nord e il Nordest), una società civile più avanzata e combattiva, per lo meno nelle grandi città. Il Pri ha proposto altre riforme “strutturali” da seguire con attenzione: riforma fiscale “integrale”, della sicurezza sociale (ampliamento?), della scuola (allungare la giornata scolastica: tempo pieno alle elementari; favorire le carriere universitarie tecnologiche o scientifiche) ed energetica (privatizzazione o concessione tipo joint-venture delle attività della compagnia petrolifera nazionale, Pemex).

Un esempio emblematico ci può far capire la gravità dei fatti denunciati da osservatori internazionali, partiti politici e movimenti sociali in questi ultimi mesi. Il Consiglio Statale dei Diritti Umani dello stato del Chiapas, al confine col Guatemala, ha messo sotto protezione tredici contadini “dissidenti” della comunità rurale di Galeana che sono stati “multati” per non aver votato il PRI. I contadini sono stati imprigionati per tre giorni e hanno denunciato pestaggi da parte delle autorità municipali che avevano imposto il suffragio per “il partito”. A suon di minacce di “espulsione dalla regione” e di sanzioni pecuniarie, viene meno ogni parvenza di voto libero e segreto nelle zone del Messico profondo e feudale.

Capitolo a parte, nel senso che vengono da molto prima di queste elezioni presidenziali, sono le denunce del Prd e della società civile contro lo strapotere mediatico di TeleVisa, la catena Tv che ha sostenuto la candidatura di Peña confezionandone un’immagine impeccabile durante la sua gestione come governatore del Estado de México dal 2005 al 2011. La regione, sita intorno alla capitale, è il maggior bacino elettorale del paese ed è tra le prime per i femminicidi e la disuguaglianza economica.

A maggio Peña è stato contestato dagli studenti dell’università privata IberoAmericana per aver ordinato una sanguinosa operazione della polizia ad Atenco nel 2006. La cupola del suo partito li accusò di essere dei venduti e faziosi e di non appartenere all’ateneo. Questi reagirono con un video e crearono il movimento YoSoy132, apartitico ma anti-Peña, che ha portato avanti un’agenda di iniziative per la democratizzazione dell’informazione e della politica coinvolgendo da subito gran parte della società.

Giovedì sera l’avanguardia degli Artisti Associati a YoSoy132 ha suonato lunghe melodie assordanti con pentole e padelle sotto le finestre del Tribunale Elettorale. Venerdì, al grido di “frode, frode!”, portando croci e bare di cartone, decine di migliaia di universitari e cittadini hanno sfilato dall’Università Autonoma di Mexico City al Tribunale in un “corteo funebre per la democrazia” (foto album). 

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Dal canto suo Amlo ha ribadito su Twitter: “Peña ha violato la Costituzione. È meglio invalidare l’elezione, non farlo è attentare contro la democrazia e optare per la corruzione”. Il leader ha annunciato che non riconoscerà “un potere illegittimo nato da violazioni gravi alla legge” e ha convocato i suoi simpatizzanti a un comizio il 9 settembre per proporre le sue prossime iniziative di resistenza civile pacifica. Da una parte i partiti della coalizione progressista stanno mostrando la loro forza politica, al di là del risultato delle urne, per acquisire potere negoziale in parlamento e delegittimare il Pri mentre Amlo si mantiene al centro della scena. Dall’altra conducono una campagna, sentita anche dagli studenti e da ampi settori delle classi medie, per la moralità e il miglioramento delle istituzioni e delle leggi elettorali.

* Inserisco la traduzione della parte introduttiva del documento letto dal movimento #YoSoy132 di fronte al parlamento messicano che rappresenta il “contra-informe”, la contro-relazione sullo stato del paese ormai agli sgoccioli del mandato di Calderón, in vista dell’arrivo di Peña Nieto.

Sei anni sono passati da quando Felipe Calderón è diventato presidente, sei anni di menzogne e false promesse, corruzione, complicità e di uno stato d’eccezione che ci hanno imposto. Sei anni in cui anno dopo anno abbiamo visto un presidente codardo parlare di coraggio mentre noi, la società, ci mettiamo i morti, gli sfollati, i sequestrati, i vessati dalle autorità. Sei anni, come sempre, di ricchezza oscena per pochi mentre noi abbiamo fame, siamo esclusi, siamo disoccupati, siamo giovani senza oppportunità, sei anni in cui siamo stati privati della nostra terra e delle nostre risorse naturali. Sei anni, di nuovo, di privilegi per i sindacati corporativi del settore educativo, dell’istruzione per formare manodopera economica, mentre noi non abbiamo accesso a un’istruzione critica per una vita degna. Sei anni di nuovo in cui i politici non dialogano con la società ma noi, che abbiamo alzato la voce e ci siamo organizzati per resistere, noi siamo stati criminalizzati, denigrati e zittiti. Sei hanno in cui hanno voluto che vedessimo un Messico che solo esiste nelle versioni ufficiali, sei anni riproducendo le loro menzogne attraverso i mezzi di comunicazione di cui sono servi. (Continua in spagnolo: link). D

Verso l’autunno caldo messicano
Fabrizio Lorusso

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