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Verso una vera festa del lavoro

Creato il 25 aprile 2012 da Fabry2010

Pubblicato da Giovanni Nuscis su aprile 25, 2012

Verso una vera festa del lavoro

1.   SONO CINQUE MILIONI

Osservando i dati Istat più recenti, apprendiamo che sono cinque milioni in Italia le persone che cercano  un’occupazione, tra inattivi, sottoccupati e disoccupati. Persone, dunque, che hanno perso il lavoro a seguito di un licenziamento o che non l’hanno mai trovato, o che sono alla ricerca  di un’attività che li impegni maggiormente, poiché quella che svolgono è insufficiente. Tutti, ad ogni modo, potenzialmente impiegabili nel processo produttivo.

2.   UN’IPOTESI.

Attribuire un reddito a chi non ne ha (o un’integrazione per chi ne percepisce uno insufficiente) nella misura massima di 20 mila euro all’anno, costerebbe allo Stato 100 miliardi, al lordo di imposte e contributi previdenziali. Resterebbe allo Stato l’Irpef trattenuta alla fonte nella misura del  23-27%, vale a dire, complessivamente, circa 24 miliardi. E tornerebbero inoltre allo Stato, come tasse ed imposte indirette, altre consistenti somme per effetto degli irrinunciabili  acquisti; sui 76 miliardi residui, circa 15,2 miliardi di euro (IVA al 20%).  Lo Stato arriverebbe così a spendere, in concreto, circa 60,8 miliardi, poco meno della metà dell’evasione fiscale stimata per il 2012 (130 miliardi). Nel 2011 sono stati recuperati circa 12,5 miliardi, che nel  2012 si suppone aumentino in misura consistente, considerate le nuove strategie anti evasione e un’economia sommersa calcolata in 540 miliardi di euro.  Il Bilancio dello Stato – Previsione 2012-2014 (Cassa) prevede nel 2012 un disavanzo tra entrate e spese di 78,653 miliardi, ma dentro una proiezione di pareggio nel 2015, osservando gli incrementi annuali delle entrate e il graduale contenimento delle spese (nel 2014, il disavanzo previsto è infatti di 24,414 miliardi).

3.   IL GOVERNO SI DICE PRONTO A DESTINARE CENTO MILIARDI DI EURO PER INTERVENTI NEL BREVE – MEDIO PERIODO

“Tra infrastrutture, lavori, investimenti a favore delle aziende che investono, recupero dello scaduto”, ha detto in un’intervista il Ministro dello sviluppo Corrado Passera, si prevedono oltre 100 miliardi di interventi anche nel breve medio periodo.  Una notizia che rincuora e che preoccupa. Rincuora per la somma ragguardevole che si renderebbe disponibile, preoccupa invece per la sua dichiarata destinazione. Si è infatti dell’avviso che al di là dei necessari interventi per la “crescita”, sia ben più  urgente e prioritario adottare misure dirette a porre fine alla condizione di povertà della popolazione.  Limitarsi a rilanciare  l’economia, dentro un sistema che ha prodotto e produce patologie sociali evidenti a tutti (evasione fiscale, corruzione, sfruttamento, precarizzazione e licenziamenti, compensi spropositati ai  supermanager), sarebbe un errore.  Ancor meno opportuno sarebbe finanziare ulteriormente le banche (ricordiamo che nel 2011 l’Italia, attraverso i Tremonti bond, ha concesso 4,1 miliardi di euro a quattro banche: Mps, Bpm, Banco Popolare e Credito valtellinese). Leggendo le cronache, che confermano purtroppo l’inveterato malcostume della classe politica e dirigente, non si può non temere per il destino dei nostri soldi. Una cifra enorme che scatenerebbe, con ogni probabilità, una lotta cruenta in un paese infestato da squali del malaffare.  Il sostegno, dunque, dovrebbe essere dato prioritariamente ai singoli lavoratori in quanto parte debole, nel fallimento di strategie politiche e di modelli economici da ripensare. E’ la sopravvivenza delle singole persone, pertanto, la vera emergenza a cui lo Stato deve far fronte. Bisogna infatti ricordare che  “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”( Art. 38, 2° co. Cost.)

4.   CON UN LAVORO PER TUTTI, LA CRESCITA…

L’intervento diretto a beneficio dei cittadini non avrebbe una natura meramente assistenziale, l’ennesimo costo ad incremento della spesa pubblica, bensì un investimento. La spesa pubblica di per sé non deve ritenersi un disvalore, se produce i risultati auspicati. L’intervento comporterebbe infatti una massiccia e strategica immissione nel mondo del lavoro – in maniera diversificata a seconda dei contesti territoriali e degli obiettivi da stabilirsi – di professionalità da preordinare allo sviluppo del Paese, potenziando l’azione degli enti pubblici (a partire dalla scuola, dalla ricerca, dalla formazione professionale veri volani del cambiamento) e convogliando la nuova forza-lavoro nei settori sviluppabili (turismo, ambiente, energie alternative, tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, industria, agricoltura – ridotta al 3,9%  rispetto ai settori dell’industria e dei servizi). Milioni di persone – operai e laureati, compresi quelli emigrati all’estero – che grazie a un‘intelligente regia politico-organizzativa possono ribaltare il destino del Paese: incrementando la produzione e il prodotto interno lordo; eseguendo direttamente molte opere pubbliche in modo da evitare o contenere il ricorso agli appalti, coi conseguenti rischi di corruzione e di sfruttamento dei lavoratori; consentendo consistenti risparmi e un intervento diretto sulle opere da realizzare. Si potrebbero così costruire case a basso costo per chi non ne ha, lavorare e far produrre le numerose terre incolte a vantaggio dei bisognosi, creare e sviluppare servizi a sostegno delle famiglie e delle categorie più deboli.  Stato ed Enti, insomma, si farebbero attori e propulsori di una nuova strategia che tutti coinvolge e nessuno esclude, interagendo con le imprese più affidabili, disposte ad investire e/o ad impegnarsi a stabilizzare i lavoratori con contratti a tempo indeterminato, o  a coinvolgere gli stessi nella gestione dell’impresa, sull’esempio tedesco (diritto anche questo previsto nella nostra Costituzione all’art. 46:  “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.”). Costanti controlli e monitoraggi consentirebbero di indirizzare gli investimenti e l’apporto di risorse umane verso gli enti e le aziende più virtuose (nella qualità delle prestazioni, nell’eliminazione degli sprechi e nella creazione di  benessere sociale. La nuova filosofia dovrebbe essere quella di considerare ogni posto di lavoro stabile una cellula della stabilità complessiva, che come tale va tutelata, aiutata, gratificata. Per far questo si renderebbe necessario tagliare le spese inutili e i privilegi, sopprimendo enti, riducendo stipendi e pensioni oltre una certa soglia.

5.   I PERICOLI IN AGGUATO

Un’ipotesi ed un progetto, inutile dire, da approfondire e migliorare in tutti i suoi aspetti, finanche nei possibili pericoli da prevenire. Mettere al riparo la comunità dai continui mutamenti degli assetti economici e politici, dall’aggressività mafiosa e famelica dei grandi capitali, della grande industria e della finanza, dovrebbe essere comunque la missione principale di uno Stato,  accentuando la lotta contro la corruzione, gli sprechi, l’evasione fiscale, la criminalità organizzata (a cui verrebbe a mancare la manovalanza, convertita  in un’attività lavorativa lecita); prevedendo sanzioni efficaci non solo di carattere penale, come ad esempio la sospensione del diritto di voto attivo e passivo, della patente di guida, del passaporto.

La classe politica responsabile in buona parte della crisi economica e  sociale del Paese, lungi dal tirarsi da parte o dall’ideare progetti di rinnovamento radicale, si prepara ad assumere altre vesti, con nuove denominazioni e immancabili promesse, con campagne mediatiche  che possiamo fin da ora supporre spregiudicate e accattivanti, contando per l’ennesima volta su un elettorato acritico e senza memoria, assuefatto ormai da troppi anni al degrado etico e culturale. Solo scelte forti  e coraggiose potranno costituire una controffensiva vincente, imponendo un nuovo equilibrio sociale in cui nessuno resti più ai margini. GN


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