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Via D'Amelio, 20 anni di giustizia negata

Creato il 21 luglio 2012 da Giovanni Fonghini @giannifonghini
Qualche sera fa in televisione c'era il film "La siciliana ribelle" dedicato a Rita Atria, una giovane che ebbe il coraggio di rompere il patto familiare di omertà mafiosa, denunciando fatti criminosi al giudice Paolo Borsellino. Con lui stabilì un rapporto di fiducia, stima e affetto. Quando Borsellino fu assassinato con la sua scorta il 19 luglio 1992 a via D'Amelio a Palermo, Rita, abbandonata e osteggiata dalla famiglia, cadde in una grande disperazione e di lì a pochi giorni si tolse la vita. La madre fece oltraggio alla lapide della sua tomba. Rita andava punita da viva e da morta perché si era arrogata il diritto di infrangere le regole d'onore di Cosa Nostra e aveva fatto fronte comune con il nemico, rappresentato dal giudice Paolo Borsellino.
Vent'anni sono passati da quella domenica 19 luglio 1992 e giustizia non è ancora stata fatta; la famosa agenda rossa, dono dell'Arma dei Carabinieri, sulla quale Borsellino annotava con cura fatti, nomi, luoghi e incontri non è mai più stata ritrovata. Sarebbe stata di grande aiuto nelle indagini. Come documenta il libro "L'agenda rossa di Paolo Borsellino" di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza pochi minuti dopo l'attentato sul posto erano presenti sia i carabinieri che la polizia: tra i rottami dell'auto colpita dal tritolo dell'autobomba l'agenda viene subito rinvenuta per sparire poi misteriosamente. Se quell'agenda non fosse stata fatta sparire, si sarebbe venuti a capo, tra le altre cose, degli incontri che Borsellino aveva avuto nei giorni molto vicini a quelli dell'ormai famigerata trattativa segreta tra lo stato e la mafia. La trattativa prevedeva, in parole povere, che lo stato alleggerisse il regime carcerario per alcuni mafiosi sottoposti alle misure dell'articolo 41bis, in cambio la mafia avrebbe posto fine agli attentati. Borsellino quindi aveva due colpe enormi agli occhi della mafia: morto Falcone era lui il principale nemico; in più era certo che si sarebbe opposto con tutte le sue forze a quel patto scellerato stato-mafia. Borsellino sapeva che era stato condannato a morte dalla mafia, sapeva che il tritolo era arrivato per lui; era scritto sull'informativa che il ROS di Palermo inviò alla procura palermitana. Purtroppo inutilmente. Ora dopo troppi anni di giustizia negata l'unica preoccupazione dovrebbe essere quella di giungere finalmente alla verità, anche a scapito della riservatezza delle telefonate di chiunque, compreso il capo dello stato.
Giovanni Fonghini

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