Nel momento stesso dell’apertura dei cancelli della Necropoli della Banditaccia, alle 8.30, noi c’eravamo. Meglio evitare, dato il tempo sublime di questi ultimi giorni, di finire lunghi distesi accanto ad un tumulo per un colpo di calore e riservare le ore piu’ fresche alle visite dei siti archeologici.
Nulla mi ha ancora tolto la leggera sensazione stonata che provo quando visito questi luoghi.
Entro ed esco da tombe.
Non e’ una questione di religione perche’, come ho gia’ scritto in altri post, credo in qualcosa per me inafferrabile che e’ inizio e fine e nel precetto di evitare di fare agli altri cio’ che preferirei gli altri non facessero a me e il mio credo si limita a questo. Mi sembra piuttosto una questione di rispetto del desiderio di chi pose il sigillo alle camere sepolcrali.
Io mi incanto davanti alle teche dei musei, sono affascinata dalle forme perfette di manufatti che hanno migliaia di anni e che noi continuiamo a declinare, mutandone i materiali di molto e l’aspetto di poco, mi meraviglio al cospetto delle tracce della storia dell’uomo che sconfiggono il tempo. Eppure questo disagio da profanazione non se ne va mai del tutto.
Dopo un paio di ore spese nell’andare su e giu’ per le scalette ripide tra i tumuli e lungo le vie di questa enorme area, solo parzialmente visitabile, e dopo la solita epistassi – a proosito: se qualcuno ne soffre ditemelo e confrontiamo i metodi di contenimento d’urgenza: prima o poi ci scrivo su in post- con la rarissima ma preziosa navetta siamo arrivati in centro, per la visita al museo.
E’ allora parso opportuno, a mio padre che sopporta con pazienza queste abbuffate archeologiche e a me, fermarsi un istante per tornare nel mondo dei vivi, seduti ai tavolini di un bar.
Le virtu’ di una granita al caffe’ furono mai scritte? Sarebbe il caso, altrimenti. Con o senza panna, fresca e forte, si faceva gustare in tutta lentezza all’ombra di un tendone tra le chiacchiere dei cittadini seduti tutt’intorno a commentare i fatti della vita senza particolare fretta.
Poco piu’ in la’ c’era pure una panetteria: tozzetti freschi al cioccolato e ciambelline al vino sono passati dal bancone al mio zainetto e questa sera, nella quiete della collina, tra il rumore di grilli e cicale e i guaiti di una cucciolata di cagnolini, residenti fissi dell’area camper della zona, si trasferiranno nella liquidita’ dolce di tre dita di passito. La bottiglia e’ stata aperta, un peccato lasciare andare a male il contenuto.
Sbrigate queste incombenze triviali, ho rivolto tutta la mia attenzione ai reperti ospitati in in museo piccolo e ricco. C’e’ qualcosa che sempre mi lascia stupita e affascinata in certe scene dipinte sulle anfore, nelle fattezze dei visi ricavati dalla pietra, nella perizia dell’arte dell’uomo.