Potremmo dire che il linguaggio rappresenta uno degli aspetti più identificativi della cultura di un popolo. Linguaggio ed identità sembrano essere legati da una sorta di rapporto indissolubile capace di trasformare l’uomo da individuo in essere sociale.
La lingua forma, disegna e modella le società. Plasma culture e crea saperi. Provate ad immaginare come sarebbe il popolo napoletano senza “il Napoletano”. Impossibile!
Lo sapeva bene questo Massimo Troisi che aveva fatto del napoletano una bandiera, una sorta di vestito che sembrava calzargli a pennello, espressione tipica di una teatralità intrisa di espressioni idiomatiche altrimenti impossibili da rendere e materializzare.
Ma l’uso del dialetto (all’epoca ancora classificato come tale) di Massimo, più che teatro e ed espressività, sembrava essere una vera battaglia sociale e politica. L’uso del napoletano come imposizione di una cultura denigrata e impoverita dagli stereotipi e dai clichè che egli stesso, nei suoi film, ha provato a combattere fino all’ultimo dei suoi giorni!
Discorso perfettamente sintetizzato in una famosa intervista del 1981, quando una giovanissima Isabella Rossellini chiede a Massimo Troisi come mai dopo tanti anni di lavoro in giro per l’Italia, continuasse a parlare in napoletano. La risposta di Troisi, maliziosa e lapidaria come solo la sua ironia sapeva essere, mette a tacere in un sol colpo ogni smania di superiorità di una sprovveduta Isabella, troppo snob e sofisticata, per comprendere la grandezza di colui che aveva di fronte!