Voglio mostrarvi un filmato che sta girando in rete dal titolo La coerenza di chi non mangia carne. Premesso che, per chi non mi conosce, non sono diventata ancora del tutto vegetariana, questo video fa riflettere, facendoci anche sorridere.
In realtà molti di noi riescono a mangiare carne perchè non vedono come crescono gli animali che mangiano e, soprattutto, non li vediamo nè li ammazziamo noi stessi.
Come è scritto su Sai cosa mangi: I macelli sono sempre nascosti alla vista del pubblico: per potersi nutrire di animali, le persone devono allontanare il pensiero della loro uccisione, ci deve essere separazione tra l’immagine dell’animale vivo nella “fattoria” (che oggi ormai non esiste quasi più ed è sostituita dagli allevamenti intensivi) e la sua carne da infilzare con la forchetta. Se ciascuno dovesse ammazzare da sé gli animali che mangia, sicuramente molti di loro avrebbero salva la vita.
Nel corso della sua vita (80 anni in media), ogni italiano uccide per cibarsene circa 1400 animali tra bovini, polli, tacchini e altri volatili, maiali, conigli, cavalli.
Come spiega Carla Reschia su La Stampa: Negli Stati Uniti è nata da qualche tempo una scuola di pensiero che “impone” proprio questa regola a chi vuole essere carnivoro: allevare e quindi uccidere personalmente l’animale da cui si trarrà la carne. Non è un invito al vegetarianesimo, ma alla responsabilità. Chi mangerà la braciola, la bistecca, il brasato, avrà visto e compiuto di persona gli atti che questa scelta comporta. Vezzo da gente ricca, perché chi ha lo spazio, il tempo, la possibilità di allevare e macellare bestiame? Forse. Ma il tema resta valido. Contadini e cacciatori a parte, le persone comuni, che vivono in città e la carne la trovano al supermercato, hanno perso ogni contatto
con l’animale da cui il loro acquisto proviene. Le fettine, igieniche, sigillate, con appena quel tanto di sangue che basta a non renderle stoppose, non hanno occhi, nè code, nè zampe, non guardano impaurite, non hanno voce.
Ma anche molti dei più grandi geni della storia hanno scelto la via del vegetarianesimo, come dimostra un esauriente excursus di Nico Valerio nel suo libro Il piatto verde, non più in edizione.
Pitagora predicava, nella sua scuola di Crotone, il vegetarianesimo più stretto. I pitagorici aborrivano qualsiasi forma di uccisione e si astenevano dal mangiare “esseri animati”, per raggiungere quello stato di purezza e di ascetismo che per loro rappresentava il massimo grado dell’iniziazione.
Socrate espone a Glaucone l’alimentazione ideale per gli uomini della città del futuro: focacce di frumento e orzo, olive, formaggio di capra, cipolle, legumi, dolcetti di fichi, bacche di mirto, ghiande arrosto e un po’ di vino. Ma Glaucone vuole la carne, e allora Socrate, anticipando i motivi ecologici del vegetarianesimo, gli spiega che, per mangiare carne, “avremo bisogno di molti maiali e di guardiani, e poi saremmo costretti a ricorrere più spesso ai medici. E gli allevamenti richiederanno spazi nuovi, sottraendo terreno all’agricoltura. Così, la città sarà costretta ad invadere i paesi vicini ed a fare la guerra” (questo collegamento tra alimentazione carnea e guerra fu visto anche da Pitagora, il quale sosteneva che “finché gli uomini massacreranno gli animali, si uccideranno tra di loro”).
Plutarco diceva a chi si cibava di carni: “Se tu affermi di essere nato per questo tipo di alimentazione, quando vuoi mangiare un animale prima uccidilo tu stesso, ma fallo servendoti solo delle tue forze, non di armi. Come i lupi, gli orsi e i leoni uccidono da sé ciò che mangiano, ammazza un bue a morsi o sbrana con la bocca un maiale, un agnello o una lepre e, gettandoti su di loro, divorali mentre sono ancora vivi, come fanno quelle belve. Ma se aspetti che la tua preda diventi cadavere e la presenza dell’anima vitale ti fa esitare a gustarti la carne, perché contro natura ti nutri di ciò che è animato?”
Leonardo Da Vinci, genio vegetariano del nostro Rinascimento, si lamentava che “i nostri corpi sono sempre più le tombe degli animali”. E profetizzava: “Verrà il giorno in cui gli uomini considereranno l’uccisione di un animale come oggi considerano l’assassinio di un uomo”.
Nel ’600, il grande illuminista J.J. Rousseau osservava che gli animali carnivori sono più crudeli e violenti degli erbivori, e perciò la dieta vegetariana rende l’uomo meno aggressivo.
Nel ’700, il celebre politico e scienziato americano Benjiamin Franklin definiva il mangiar carne “un delitto ingiustificato”. Era diventato vegetariano a sedici anni perché si era accorto che “apprendeva più in fretta e aveva maggior acume intellettuale”.
Nell’800, il poeta romantico inglese P.B. Shelley vagheggiava un mondo ideale in cui “l’uomo non uccide più l’agnello dai dolci occhi e ha smesso di divorare le carni macellate, che per vendetta delle violate leggi di natura sprigionavano nel suo corpo putridi umori”.
Nel 1885, si converte al vegetarianesimo anche lo scrittore russo Lev Tolstoi, un ex cacciatore che divenne convinto assertore della non-violenza. “Mangiar carne”, scriveva, “è immorale perché presuppone un’azione contraria al sentimento morale, quella di uccidere. Uccidendo, l’uomo cancella in se stesso le più alte capacità spirituali, l’amore e la compassione per le altre creature”.
Nel nostro secolo, sono stati vegetariani grandi uomini come il musicista e medico filantropo Albert Schweitzer, premio Nobel per la pace nel 1952, o come un altro premio Nobel, il Mahatma Gandhi, il quale sosteneva che “la carne non è alimento adatto alla nostra specie”.
Anche il più grande scienziato del ’900, Albert Einstein, sosteneva che “la scelta di vita vegetariana, anche solo per i suoi effetti fisici sul temperamento umano, avrebbe un’influenza estremamente benefica sulla maggior parte dell’umanità”.