Vinta una battaglia, non la guerra: il berlusconismo continua

Creato il 02 agosto 2013 da Albertocapece

Finalmente una condanna definitiva: Berlusconi che ha pregiudicato l’Italia è a sua volta un pregiudicato. Una bella soddisfazione anche se manca – come del resto in molti avevano preconizzato – il detonatore per far saltare le larghe intese, vale a dire una decisione definitiva sull’interdizione dai pubblici uffici. In attesa di sapere quanti caz*o di gradi di giudizio ci siano in questo Paese, si può però dire che è comunque una vittoria, anche se arrivata dopo una dozzina d’anni estenuanti e su una vicenda di sconcertante evidenza: se Berlusconi fosse stato innocente sarebbe stato anche un truffato e avrebbe dovuto fare causa a chi gonfiava i costi di Mediaset.

Ma insomma lasciamo perdere e lasciamo godere a Silvio i domiciliari in qualche augusto palazzo o villa più grande di un villaggio vacanze e con molti più animatori.  Quello che dobbiamo domandarci è se questa riconciliazione di una verità processuale con la realtà del berlusconismo porterà a qualche sostanziale cambiamento. E purtroppo le risposte sono tutt’altro che chiare, se non inquietanti. Certo la sentenza non facilita la vita del governo, ma nemmeno la impedisce in un Parlamento di nominati e ricattati con la poltrona, soprattutto non pare che il progetto di stravolgimento in senso autoritario della Costituzione sia destinato a subire un arresto, non comunque senza una chiara ribellione dei cittadini.

Il segnale lo si è avuto subito dopo la notizia della condanna, quando l’insonne uomo del Quirinale si è pronunciato. Dapprima sorprendendo con l’assoluta originalità e pregnanza di un incipit in cui dice che bisogna rispettare la magistratura. Diavolo di un presidente, ma come se le inventa? Subito dopo però fa capire che la sgradevole sentenza  per il suo editore -mentore gli sta proprio sul gargarozzo e annuncia che il Parlamento dovrà assolutamente occuparsi della riforma della giustizia e che dovrà essere scardinata la Costituzione anche nel titolo quarto ossia quello che si occupa del tema.

Come dire, in soldoni, che se anche la condanna è legittima alla luce dell’attuale ordinamento, in futuro non si dovrà permettere che un ricco tycoon, per giunta onorevole, rischi la galera. Alla fine questi europeisti di diamante sono molto simili alla bigiotteria sudamericana.  Quindi riforma come vuole il Pdl. L’uscita è quanto mai opportuna per comprendere la personalità da sempre modesta, ma da tempo anche appannata di chi regge le fila della Repubblica.   Uscirsene a pochi minuti dalla sentenza della Cassazione con una dichiarazione in cui si appoggiano le richieste del partito di Reo Silvio, non è solo segno di un’ossessione patologica per i destini dell’inciucio, ma espressione di aperta complicità col berlusconismo. Forse erano meglio le telefonate segrete con Mancino, fossi nell’uomo del Colle comincerei a secretare anche le pubbliche dichiarazioni.

Dunque una battaglia è stata vinta, ma non certo la guerra perché le quinte colonne sono infilate nei muri e nelle colonne delle istituzioni, come untori di una classe dirigente e di un modello di Italia che è giunto al capolinea e comincia a divorare se stesso. Per questo non bisogna affatto abbassare la guardia, ma anzi alzarla al massimo perché proprio queste sono le situazione pericolose, non certo a causa del gregge elettorale del berlusconismo, subalterno per definizione, ma a causa del potere sclerotizzato che si difende. Continuiamo a firmare contro i tentativi di scippo della Costituzione (qui), sapendo però che non basterà questo e che tutta una politica è da ricostruire e reinventare.


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