In occasione del bicentenario della nascita, la Cité de l’Architecture dedica un’intera esposizione al più grande teorico del restauro francese, i cui principi di recupero storico hanno fatto la storia dell’architettura mondiale
“L’ambizione indica solo il carattere dell’uomo, il sigillo del maestro è l’esecuzione”. Con queste parole, riprese dal Diario Intimo di Henri-Frédéric Amiel, è possibile inquadrare la personalità dell’architetto che ha segnato l’epoca romantica dell’architettura francese e non solo.
Disegnatore, architetto, scrittore e professore universitario, Eugéne Emmanuel Viollet Le-Duc ha lasciato la sua impronta nel XIX secolo non solo compiendo importanti opere di restauro ai più importanti monumenti di Francia, tra cui si annoverano la Cattedrale di Notre Dame e la Sainte Chapelle. La creatività poliedrica di questo controverso personaggio, vissuto a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica Francese, lo vedrà alla continua ricerca di una via antropologica all’architettura, percorso nel quale vi troverà posto lo studio di diverse discipline: dall’archeologia, alla botanica per arrivare alla pedagogia. Tutte connessioni che lo porteranno a produrre nuove norme e inediti concetti nel positivismo razionalista della sua epoca; uno sforzo parzialmente rintracciabile nei “Deliri del sistema” di Jean-Michel Leniaud.
Ipso facto, Viollet Le-Duc sceglie fin da giovane di non seguire nessun tipo di professionalizzazione accademica, dedicandosi ad esperienze tanto pratiche quanto eterogenee, come il viaggio e la letteratura. In un primo momento, lo studio di autori romantici come Hugo, Chateaubriand e Mérimeée gli permettono di acquisire un grado di sensibilità tale da prediligere il “colore locale” al “bello universale”. D’altro canto, all’indomani della caduta de “Le Premier Empire” e della pacificazione del Paese che hanno consentito il miglioramento delle vie di comunicazione tra le diverse città, la Francia diventa una destinazione d’eccellenza da parte di artisti inglesi, tedeschi e dagli stessi francesi. Animato dagli stimoli del genere artistico nascente, le “voyage pittoresque”, Viollet Le-Duc sceglie dunque di partire da Parigi insieme allo zio Délecluze alla scoperta del suo Paese. In questo primo viaggio, durato dal primo luglio al 31 ottobre 1831, il giovane architetto percorrerà le regioni più caratteristiche della Francia; dalla Normandia, alla Borgogna, all’Auvergne, arrivando fino alle coste mediterranee della Provenza, Le-Duc riporta esperienze uniche e fondamentali per la sua carriera, testimoniate nei suoi innumerevoli disegni e nelle lettere scritte e inviate al padre.
Ma fu probabilmente il viaggio effettuato in Italia a risultare determinante per la sua formazione. Partito insieme all’amico grafista Léon Gaucherel e in compagnia della moglie Elisa e del fratello Adolphe, Le-Duc riesce a finanziare, grazie all’aiuto dell’”Academie de France” di Roma, il suo viaggio nel Belpaese, visitando Genova, Napoli, la Sicilia, Pompei, Firenze, Pisa, Assisi, Padova, Venezia, Siena e Roma. Nel corso degli innumerevoli itinerari in Italia, saranno opere come la Cappella Sistina a Roma, il Palazzo del Doge a Venezia e il Teatro di Taormina ad influenzarlo in maniera precipua e decisiva. Difatti, Le-Duc trasmetterà tali ispirazioni nell’esercizio del ruolo d’ispettore dei lavori della “Sainte Chapelle” di Parigi, sotto la guida di prestigiosi nomi dell’architettura francese, come Duban e Lassus. Ex professo, Le-Duc decide di restaurare sia le scale che le guglie della cappella, seguendo in tal senso una prospettiva assonometrica ispirata alle costruzioni del XIII secolo.
Proprio lo studio del Medio Evo si contraddistingue come uno dei passaggi chiave della vita di Le-Duc; si tratta di una concezione che lo conduce ad intraprendere un viaggio attraverso le Alpi, dove arriverà ad ideare un paradossale progetto di restauro del Monte Bianco. In tale ottica, secondo l’architetto, la costruzione medievale rappresenta un modello vivente, in cui la riproposizione di figure del mondo animale e vegetale, come pipistrelli serpenti e piante intersecate, raffigurano dei motivi ornamentali di primo piano per ogni tipo di riadattamento; gli stessi concetti sono evidenti nel suo progetto di restauro della cattedrale di Notre – Dame, di cui l’opera di ricostruzione in collaborazione con Lassus gli viene assegnata direttamente dal governo di Louise-Philippe nel 1842.
Questo prestigioso cantiere diventerà il luogo di una prima espressione teorica sul tema del restauro monumentale e permetterà a Le-Duc di intraprendere ogni tipo di sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda la ristrutturazione delle sculture della cattedrale e il rifacimento della sacrestia, in cui saranno introdotti i lavori dei principali maestri scultori e orafi parigini, come Durand, Monduit e Geoffroy-Dechaume, che in seguito daranno il loro contributo nel recupero della cappella di Saint Denis. D’altro canto, il processo di riadattamento di Notre Dame in stile gotico sarà talmente capillare che perfino Napoleone III crederà in un primo momento che Viollet Le-Duc intendesse distruggere la cattedrale. Di converso, sono numerose le opere di decoro introdotte in tale corso, basti pensare ai famosi “Gargouilles” elaborati da Honoré Monduit, che hanno preceduto l’erezione della guglia in un “tour de force” tecnico e sperimentale. Lo stesso procedimento avverrà nel restauro dei tre grandi rosoni della cattedrale, in cui Le-Duc chiama alla prova l’abilità dei più noti vetrai parigini, tra i quali spiccano i nomi di Gérente, Didron e Ouidinot, al fine di restituire a Notre Dame la propria policromia interna.
Ma l’importante contributo di Viollet-Le Duc in tema di simbiosi storica e organica dei monumenti non si ferma al capitolo del restauro di architetture religiose; ne sono una chiara dimostrazione le importanti tesimonianze di ristrutturazioni compiute secondo le opere di riadattamento medievale in diversi edifici storici, tra i quali vale la pena citare i castelli di Pierrefonds, in Piccardia, e di Carcassonne, in Languedoc-Roussillon. Del resto, a fianco degli straordinari contributi tangibili offerti da Le-Duc, non va trascurata la volontà di trasmettere le proprie conoscenze nei campi della ricerca: nel 1864 fonda, insieme all’ingegnere Emile Trélat, la “Scuola centrale d’architettura”, affinché gli studenti potessero apprendere i principi della costruzione e del diritto. In seguito, grazie agli editori Bance, Morel e Hetzel, realizzerà due importanti opere accademiche, quali l’”Encyclopédie d’Achitecture”, “La Gazette de l’architecture e du bâtiment” e “Les Histoires”, con cui consacra il suo impegno per le giovani generazioni di allora. In ultimo, tra le ultime opere concepite, realizzate e inaugurate, spicca il Museo di Scultura comparata, di cui erede è l’attuale “Musée des monuments français”.
Amato, odiato, stimato e disprezzato, Eugéne Viollet-Le Duc ha recitato il ruolo di un personaggio complesso, iperattivo e fantasioso, in grado di dare origine ad una sintesi concreta tra il sistema positivista da lui incarnato e i deliri romantici, sintomatici della sua epoca. Nel corso del tempo numerosi storici hanno attivato dibattiti per analizzare, sotto molteplici prospettive, sia la sua scienza archeologica che gli insegnamenti in termini di restauro, con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sulle sue attività rese al servizio del patrimonio nazionale.
Oggi, a trent’anni di distanza dalla prima mostra, l’esposizione monografica ospitata presso la Cité de l’Architecture di Parigi vuole rendere omaggio al ricco e complesso lascito storico di Viollet Le-Duc, attraverso un’esposizione monografica che ne enfatizza gli aspetti più inattesi. Anzi, per descriverla con le stesse parole dell’architetto “Esiste un fascino indefinibile nella relazione che mi lega alle pietre con cui lavoro. Un fascino tanto vivo quanto sconosciuto, che al tempo stesso risulta essere segreto, intimo, muto.”