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Vivalascuola. Invalsi sì, Invalsi no, Invalsi bum

Creato il 28 marzo 2011 da Fabry2010

Vivalascuola. Invalsi sì, Invalsi no, Invalsi bum
Collegi Docenti che si rifiutano di somministrare le prove (qui, qui, qui, qui), sindacati che protestano perché si tratta di un incarico aggiuntivo (qui e qui), case editrici che sfornano pubblicazioni per le esercitazioni (qui e qui), scuole che addestrano gli studenti a rispondere ai quiz degli anni precedenti (qui, qui), il Ministero che vuole fare dell’Invalsi un’articolazione del sistema di valutazione per scuole e dirigenti (qui e qui)… Energie e tempo della scuola da mesi rivolte alle prove che si terranno a maggio… E va bene, parliamo d’Invalsi, danno il via Giovanna Lo Presti e Paolo Fasce.

INVALSI NO: Ma non è una cosa seria
di Giovanna Lo Presti

Perché dire “no” alle prove Invalsi? Un buon numero di ragioni ce le fornisce un documento del dicembre 2008, la proposta preparata per l’Invalsi da Ichino, Checchi, Vittadini. Nel documento si mettono in evidenza quali siano le condizioni necessarie per un buon funzionamento del sistema nazionale di valutazione.

Naturalmente, nessuna di queste condizioni è, in questo momento, rispettata. Ad iniziare dal fatto che la premessa indispensabile (anzi, per citare gli estensori della proposta “imprescindibile“) affinché i test Invalsi possano essere attendibili è quella di “istituire un corpo di somministratori esterni. Quindi, se vi chiedono perché non volete collaborare ai test Invalsi, citate pure Ichino, Checchi e Vittadini. E chiarite che il compito dell’insegnante è, appunto, insegnare, che questa delirante attenzione alla valutazione è il segno certo della caduta di tensione civile e culturale della nostra scuola.

Poi aggiungete che la scuola non è un mondo a parte, in cui vengono sospese le regole logiche elementari: perciò misurare le prestazioni di un atleta, dopo averlo malnutrito per mesi e costretto ad allenarsi poco è una stupidaggine evidente. Le nostre classi troppo numerose, le nostre scuole fatiscenti ed inadeguate, il nostro lavoro, sempre più precario da ogni punto di vista chiedono urgenti e concreti miglioramenti, non “misurazioni” delle performance, che qualcuno (ad esempio Gelmini e il suo maître à penser Abravanel) è pronto a sfruttare per costruire l’elenco dei “buoni” e dei “cattivi“.

L’acronimo INVALSI sta per “Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione”. I molti e nobili scopi cui si dovrebbe dedicare sono chiariti nel sito dell’ente; la costruzione di un sistema nazionale di valutazione è fra gli obiettivi primari, anche se, sinora, per raggiungere questo traguardo ci sono state soltanto contestate, “prove tecniche” che non hanno spostato di un “ette” la malandata situazione della scuola italiana. Chiariamo subito che l’Invalsi non è una perversa invenzione del centro-destra e che è anzi un buon esempio di quanto sia stata bipartisan la politica scolastica dei governi che si sono succeduti dagli anni Novanta ai nostri giorni.

Parte integrante del progetto della “scuola dell’autonomia, il sistema di valutazione, non ha sinora dato alcun risultato positivo. D’altra parte neppure la “scuola dell’autonomia” ne ha dati: nei più di dieci anni di cosiddetta “scuola dell’autonomia” il sistema scolastico italiano è sceso nelle classifiche internazionali. Parallelamente, sono diminuiti i fondi che lo Stato ha investito per l’autonomia; basta questo dato concreto per dimostrare quanto lo stesso Ministero creda alla validità della tanta lodata “autonomia scolastica“.

Quando le cose vanno maluccio ed i risultati sperati tardano ad arrivare, bisognerebbe fermarsi, riflettere, correggere il tiro. Infatti il MIUR, nel dicembre 2008, commissiona un interessante documento, a firma di tre illustri accademici: Andrea Ichino (fratello del più noto Pietro e poi membro del Comitato tecnico-scientifico che ha realizzato la recente proposta per la valutazione del merito degli insegnanti), Daniele Checchi (che è stato, fra le molte altre cose, consulente per il governo Prodi sui temi di scuola e università e consulente per i Ministeri dell’Economia e della Pubblica Istruzione nella stesura del Libro Bianco di Fioroni), Giorgio Vittadini (presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, c’est à dire Compagnia delle Opere, c’est à direComunione e Liberazione”). I brevi e quanto mai incompleti cenni biografici stanno a sottolineare, ancora una volta, il carattere strettamente bipartisan dell’impresa.

Il documento in questione si intitola Un sistema di misurazione degli apprendimenti per la valutazione delle scuole: finalità e aspetti metodologici ed è un bell’esempio di come, partendo da affermazioni vere, si possa giungere a conclusioni false.

Esempio:

  • la scuola dell’autonomia non ha i soldi necessari per funzionare bene;
  • il sistema di valutazione è necessario per la scuola dell’autonomia;
  • quindi, anche senza soldi, dobbiamo sperimentare il sistema di valutazione.

La conclusione logicamente corretta di questo impuro sillogismo dovrebbe essere: “Finché non ci sono i fondi necessari è inutile riempirsi la bocca con espressioni senza senso come scuola dell’autonomia e sistema di valutazione”. Poiché la formazione dei tre luminari è di tipo economico, quello ci aspettavamo che dicessero. Ma, essendo probabilmente stati pagati anch’essi per produrre il documento, hanno comunque redatto le loro brave 22 pagine, fitte fitte di verità e menzogne, costruendo ragionamenti a partire dal “facciamo finta che…”. Metodo discutibile ma non privo di capacità di persuasione. Eccone un passaggio significativo:

Le prove standardizzate aggiuntive dovranno essere somministrate agli studenti da personale esterno, diverso dagli insegnanti di ciascuna scuola. È naturale, infatti, che gli insegnanti locali abbiano un incentivo ad aiutare i loro studenti o a lasciare che si aiutino gli uni con gli altri copiando, e questo evidentemente falserebbe i risultati della valutazione. L’analisi dei risultati della prova nazionale del 2008, nell’esame di Stato al termine del primo ciclo, ha purtroppo messo in luce che questo rischio è reale e va tenuto presente.”

Quindi, nel 2008, ed i nostri esperti lo mettono nero su bianco, i risultati delle prove vennero falsati dal fatto che gli studenti copiarono o ebbero suggerimenti dai loro insegnanti! Ma a tutto c’è rimedio.

Istituire un corpo di somministratori esterni per le prove aggiuntive è costoso, ma strettamente necessario perché la valutazione sia attendibile. Si noti che queste persone non dovranno correggere le prove, ma solo riceverle dall’INVALSI, somministrarle agli studenti verificando che tutto si svolga senza irregolarità e riconsegnare all’INVALSI gli elaborati. Pur essendo consci del fatto che questo requisito costituisce un onere aggiuntivo per il Ministero dell’Istruzione, riteniamo che esso sia una condizione imprescindibile perché il sistema possa funzionare. Ai fini della costituzione di questo corpo di somministratori esterni proponiamo i seguenti passi:

a) Costituzione di un albo di persone disponibili a somministrare le prove in province diverse da quella di residenza, ma con essa confinanti.

b) I requisiti per far parte di questo albo saranno gli stessi che consentono di essere scrutatori o presidenti di seggio nelle elezioni nazionali; è auspicabile, in particolare, che vengano invitati a rendersi disponibili per questo albo i numerosi pensionati di cui il paese dispone.

(…) Le persone che si saranno rese disponibili dovranno essere opportunamente addestrate dall’INVALSI.

Quanto costerà tutto questo a regime? Dai 31 agli 81 milioni di euro all’anno, a seconda che si abbia prevalenza di domande a risposta chiusa o aperta. Ma saranno soldi ben spesi, dicono i nostri, perché permetteranno di migliorare la scuola italiana. In che modo?

“Nei primi anni di sperimentazione, è necessario che il Ministro dell’Istruzione annunci in modo chiaro e autorevole che i risultati di queste prove, presi da soli, non costituiscono elemento di valutazione delle scuole con conseguenze retributive o di budget, fino a che il sistema non sia portato a pieno regime. Questo affinché tutti gli operatori interessati abbiano tempo di capirne il funzionamento, verificarne l’affidabilità e suggerire le necessarie modifiche migliorative”.

Cosa accadrà quando il sistema sarà portato a regime? Sveliamo l’arcano:

“Oltre a conoscere con chiarezza gli obiettivi su cui saranno valutati, Dirigenti scolastici, insegnanti e altri operatori della scuola dovranno poter disporre degli strumenti adeguati per ottenere i risultati desiderati, avendo a disposizione un periodo di sperimentazione per comprendere il funzionamento del sistema. Esula dagli scopi di questo documento definire nei dettagli in cosa questi strumenti debbano consistere, ma certamente alle scuole deve essere data autonomia nella definizione dell’offerta formativa e nella gestione delle risorse umane e finanziarie: senza questa autonomia non è pensabile che gli operatori della scuola possano accettare un sistema di premi e penalità legato a obiettivi che essi non possono raggiungere”.

Innegabilmente, se le condizioni lavorative non sono tali da garantire il conseguimento di un risultato, ogni sistema premiale risulta una vera stupidaggine. Come garantire adeguato apprendimento? In classi numerose, problematiche, costrette a lavorare in ambienti inadeguati e magari insicuri, senza poter disporre di laboratori e strutture che facilitino il lavoro di studenti e insegnanti? Proseguendo la lettura, però, capiamo che la via per il miglioramento della scuola passa anche da un’altra parte:

“È quindi opportuno evidenziare qui i nodi che il Ministero dovrà affrontare per assicurare alle scuole la necessaria autonomia:

a) Reclutamento e rimozione dei presidi sulla base della performance ottenuta.

b) Reclutamento e rimozione degli insegnanti.

c) Formazione e aggiornamento.

d) Governance delle scuole.

Va inoltre osservato che una quota significativa degli attuali dirigenti scolastici non è stata selezionata nel ruolo per merito individuale, ma immessa ope legis, creando così problemi di legittimazione all’esercizio effettivo di una funzione dirigente. A parziale e temporaneo rimedio può allora immaginarsi che parte delle responsabilità decisionali su questi temi venga invece attribuita al corpo insegnante nelle sue diverse articolazioni (consiglio di classe e/o collegio docenti), fornendo a questi organi poteri non solo di conferma (accettazione dei nuovi docenti) ma anche di rimozione (nel caso di insegnanti che abbiano dato cattiva prova di sé per un certo numero di anni).

A parte la verità scomoda sui Dirigenti scolastici tutto il resto è puro delirio, soprattutto se si tiene conto che i punti precedenti vengono dati come passaggi che garantiranno alla scuola la “necessaria autonomia. La quale consisterebbe più che in un “sistema premiale” in un sistema sanzionatorio. E’ evidente che chi si è espresso in tali termini, fra le altre cose, ignora (forse volontariamente) come davvero funzioni oggi la scuola. Ignora anche (senz’altro volontariamente) che attribuire ad una sorta di “tribunale del popolo” formato da insegnanti la conferma o la rimozione dei propri colleghi certo non garantirebbe l’equità del giudizio: nel migliore dei casi romperebbe quel patto già così fragile di solidarietà tra colleghi che è il solo, invece, che possa assicurare una buona azione didattica comune.

Con ciò non si vuole affermare che situazioni in cui l’insegnante sia, per i motivi più vari, in seria difficoltà con le proprie classi vadano ignorate. Queste situazioni devono, invece, essere adeguatamente valutate, tenendo però conto, in primo luogo, che il logoramento che il docente subisce nell’esercizio del proprio lavoro (è noto fenomeno del burn out) è insieme l’effetto e la causa più frequente del “mal di scuola. In casi come questi le sanzioni sono ingiuste e non auspicabili.

Nella conclusione, il documento Invalsi, comunque, ritorna alla ragionevolezza:

“È ragionevole ipotizzare che il sistema di valutazione delle scuole fin qui descritto non possa funzionare immediatamente a pieno regime per almeno tre motivi:

  • disponibilità dei fondi necessari al suo finanziamento;
  • necessità di tempi tecnici per la realizzazione dell’Anagrafe degli studenti;
  • necessità di un’adeguata sperimentazione (…).

Ciò non toglie che:

“… anche nella fase di avviamento del sistema, gli apprendimenti degli studenti possono essere utilizzati per valutare le scuole solo se opportunamente depurati dalle componenti che dipendono dal contesto in cui le scuole operano e gli studenti vivono (…)

Per questo motivo, anche nella fase di avviamento sarà necessario raccogliere informazioni di contesto sulle scuole e gli studenti, mediante appositi questionari distribuiti alle scuole, alle famiglie e agli studenti stessi, in occasione di ciascuna prova (come ad esempio accade per i test PISA e TIMSS”).

Siamo arrivati alla conclusione: la fase di “sperimentazione” dovrebbe essere di lungo periodo, come dicono i tre intellettuali prestati alla misurazione delle performance scolastiche. I test Invalsi dovrebbero prevedere l’istituzione di “un corpo di somministratori esterni“, “costoso, ma strettamente necessario perché la valutazione sia attendibile“; non dovrebbero costituire, nella fase sperimentale, “elemento di valutazione delle scuole con conseguenze retributive o di budget.

Tutto questo mal si confà ad una politica governativa decisionista, che fonda gran parte del suo appeal nel raggiungimento del risultato in tempi brevi, qualunque sia la natura del risultato. Sappiamo, per esempio, che il PQM (Piano qualità e merito) presentato lo scorso anno da Gelmini e Abravanel prevede l’estensione dell’esperienza dei test oggettivi standard predisposti dall’INVALSI” al fine di studiare un “sistema per assegnare le borse di studio solo in base al merito, dopo aver sostenuto un test di valutazione che premi i migliori per ogni Regione”. Laddove “solo in base al merito” è da intendersi “indipendentemente dal reddito. Ecco come intendono usare le indagini Invalsi i nostri governanti. Ed è facile prevedere quali scuole otterranno i risultati migliori: quelle collocate nelle aree geografiche più ricche del Paese e quelle frequentate da studenti provenienti da famiglie più abbienti e più colte.

Per confermare questa banalità, e per gettare le fondamenta di un traballante edificio meritocratico (sappiamo che il progetto del Ministro dell’Istruzione per la valutazione dei docenti ha ottenuto un fermo rifiuto,  e allora le prove Invalsi potrebbero essere il grimaldello per sperimentare una forma alternativa di valutazione degli insegnanti) non è il caso di spendere, quest’anno, più di 8 milioni di euro e di disturbare la programmazione didattica. Perché, di certo, sarà più d’uno l’insegnante “zelante” che “preparerà” la sua classe alla “prova”, come conferma il fiorire di un nuovo ramo editoriale dedicato a manuali per la preparazione alle prove Invalsi; e se esiste l’offerta è probabile che esista anche la domanda.

Di fronte a tanta confusione di intenti, di fronte alla preoccupante discordanza tra ciò che affermano gli “esperti” ministeriali e ciò che il Ministero fa, tutti dovrebbero rifiutarsi di prender parte ai test Invalsi – non foss’altro per una elementare forma di prudenza.

Sia ben chiaro: non perché non si accetti il giudizio sul proprio lavoro, ma perché non si vuole collaborare ad una valutazione inutile, che confermi, ancora una volta, che le scuole del centro-Nord vanno meglio di quelle del centro-Sud, che gli studenti dei licei vanno meglio di quelli dei tecnici e dei professionali etc. A cosa serve un sistema di valutazione nel momento in cui la scuola statale viene dissanguata? A cosa serve individuare zone di sofferenza nel nostro sistema scolastico se poi i correttivi non esistono - se anzi l’intenzione è quella di penalizzare ulteriormente gli “ultimi, in nome di una meritocrazia ispirata al darwinismo sociale, come affermano congiuntamente Gelmini e Abravanel?

E’ ora di denunciare la “sindrome da valutazionecome un effetto della cattiva coscienza dei nostri governanti. Lo Stato dia agli studenti, alle famiglie, agli insegnanti una scuola decorosa, consideri finalmente la scuola la prima “grande opera” da portare a compimento nel Paese, restituisca ed integri le risorse tolte – poi, se sarà necessario, si potrà anche parlare di un onesto sistema di valutazione. Al momento i test Invalsi non sono che una truffa che ha sottratto parecchi milioni di euro ai contribuenti italiani.

* * *

INVALSI SI: Si può sbagliare medicina, ma non c’è cura senza analisi
di Paolo Fasce

Le prove Invalsi sono uno strumento diagnostico utile perché spezza l’autoreferenzialità dell’insegnamento e fornisce dati standardizzati sui quali è possibile promuovere politiche di intervento basate sui fatti. La battaglia, in particolare degli insegnanti, contro le prove Invalsi si rivelerà un boomerang riguardo alle richieste di maggiori investimenti sull’istruzione, perché apparirà corporativa. Il trattatello si conclude con la proposta di un percorso di lotta alternativo, sul quale catalizzare le simpatie di famiglie e opinione pubblica, che produrrà le condizioni di una lotta radicale nel caso di difficoltà uditiva in ambito ministeriale.

La nostra Repubblica è nata sulle ceneri del ventennio fascista e si è data una Costituzione che è figlia di un’amalgama molto avanzata di varie culture politiche che hanno cercato di incorporarvi diversi antidoti contro un possibile ritorno dell’autoritarismo.

Nell’art. 33 si legge che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento, e tale affermazione è conseguente a quell’atteggiamento di rifiuto di fedeltà al fascismo esplicitato solo da una dozzina di docenti universitari in tutto il paese.

L’alto valore formativo della nostra Costituzione e i principi che vi sono contenuti, viene più volte richiamato nelle indicazioni curricolari che hanno accompagnato la riforma della scuola superiore.

La libertà di insegnamento è certamente sacra, ma è altrettanto vero che il modello didattico prevalente nelle nostre classi, allorquando si chiude la porta dell’aula e l’insegnante lavora in un contesto separato, rischia di promuovere implicitamente quell’autoreferenzialità che, ad esempio, a volte induce ad utilizzare la valutazione come strumento di gestione delle dinamiche di gruppo nelle quali l’insegnante è immerso. Su questo versante, ancora troppo poco hanno inciso 9 anni di insegnanti formati dalle Scuole di Specializzazione che si sono infranti contro prassi consolidate, date per scontate, e la conseguente incapacità di immaginare una scuola diversa.

Certo, gli insegnanti non sono artigiani, e non è possibile pretendere da noi la certezza dei risultati.

Interrogarsi sul nostro lavoro è certamente pratica quotidiana di ciascuno, ma per promuovere un’attività di ricerca che oltrepassi il livello autoreferenziale individuale e per muoversi strutturalmente a quello di dipartimento disciplinare, del collegio docenti, delle associazioni di categoria, di sinergie scuola-università per la ricerca didattica applicata, occorre partire da osservazioni standardizzate.

Dal testo di Checchi, Ichino, Vittadini leggo:

“È bene ricordare comunque che lo scopo primario del sistema di valutazione è identificare quello che non funziona per poter intervenire e correggere. Nel caso ad esempio di scuole che abbiano largamente mancato il raggiungimento dei loro obiettivi potrebbe paradossalmente essere necessario assegnare risorse addizionali…“.

Personalmente avrei scritto la stessa identica frase, cancellando la parola “paradossalmente“. Diceva Don Milani: “Non si possono fare parti eguali tra diseguali“!

Immagino che tutti possano concordare sul fatto che “senza una diagnosi affidabile, la medicina è data a caso“.

E’ ben noto il fatto che le rilevazioni OCSE PISA non giustificano le disparità osservabili tra gli istogrammi delle valutazioni finali negli Esami di Stato (sia di “terza media” che di “maturità“) riscontrabili nelle varie regioni italiane, ma, al contrario, evidenziano la loro scarsa attendibilità con una conseguente discriminazione attorno alla quale sarebbe onesto manifestare un minimo di indignazione. Il voto dell’Esame di Stato, infatti, essendo in vigore il valore legale del titolo di studio, viene computato in diversi concorsi per l’accesso a ruoli di vario grado negli uffici pubblici. Idem per il voto della laurea.

Sempre i test standardizzati ci rivelano il fatto che la varianza dei risultati tra scuole diverse è elevato, lo è molto meno all’interno di una scuola, mentre accade il contrario nelle scuole finlandesi. Ciò significa che, al di là delle buone intenzioni, la discriminazione per classi sociali e la svalutazione delle intelligenze meno spendibili a scuola, sono un dato di fatto radicato sul quale, specie a sinistra, occorre interrogarsi.

E questo, si badi bene, non vale soltanto alle “superiori, dove una tale conclusione sarebbe “scoprire l’acqua calda” (altro elemento di riflessione a sinistra) ma anche nella scuola primaria e secondaria di primo grado (“elementari e medie” secondo la nomenclatura tradizionale).

I test Invalsi, su questo fronte, non hanno potere taumaturgico, né possono fare danno alcuno (specie nei confronti dei bambini, ivi compresi gli allievi H e DSA, per i quali è garantita la massima cautela), e hanno una finalità limitata: quella di verificare se ciò che accade sul campo è conforme alle indicazioni nazionali, oppure se queste saranno ancora una volta disattese, come già avvenuto numerose volte con i “nuovi programmi” della scuola media (o sperimentazioni ex articolo 3) rimasti in genere sulla carta.

Vogliono i genitori che gli insegnanti continuino a lavorare secondo prassi consolidate perché “si è sempre fatto così“, oppure intendono avere strumenti di monitoraggio sulla situazione che induca gli insegnanti medesimi ad una ricerca significativa sul proprio operare?

Credo che lo vogliano, perché l’alternativa sarebbe la consueta fila fuori dall’ufficio del Dirigente Scolastico per raccomandare la propria discendenza acciocché venga inserita nella sezione ritenuta migliore.

Ho partecipato ad un seminario tenuto a Genova nell’ambito del Dottorato in Valutazione dove ho avuto modo di ascoltare un consulente del Ministro che nella sua dissertazione scientifica ha spiegato che l’esito dei test Invalsi non può essere utilizzato per valutare insegnanti ed istituti scolastici, come propagandisticamente sta invece cercando di fare la Ministro Gelmini.

Ci troviamo, quindi, nella situazione in cui lo strumento di analisi e diagnosi, il termometro della situazione (le prove Invalsi), viene utilizzato non già per misurare la temperatura e per monitorare lo stato del paziente, ma per essergli infilato in un occhio.

Questo considerato, ritengo che sia infantile cercare di rompere il termometro, ma al contrario proprio noi insegnanti dovremmo assicurare il migliore funzionamento possibile delle prove Invalsi perché il medico/ministro dia la medicina migliore possibile. Se così non facesse, al di là di rivendicazioni spesso percepite come ideologiche dal cittadino non addentro alle questioni, se ne potrebbe denunciare l’incompetenza, ancora una volta e su basi di fatto certificate.

Sono spesso assalito da colleghi che mi chiedono “cosa sono queste prove Invalsi“, segno che c’è una grande paura che aleggia nell’aria, ma anche che non c’è un’informazione capillare sul tema. D’altronde non dovrebbe essere un precario, ultimo arrivato, a rassicurare colleghi e famiglie riguardo al fatto che la valutazione dei livelli di apprendimento è regolata dalla scientificità del metodo di indagine statistica che tiene in considerazione anche le variabili di “contesto, rendendo i dati depurati da fattori culturali, sociali ed economici del contesto di vita degli alunni. E purtroppo, leggo di genitori che si rifiutano di compilare quei questionari che hanno proprio il compito di contribuire alla rilevazione di dati massimamente significativi.

Questo boicottaggio, invero, è senza senso, meramente simbolico e dannoso. Invalsi invia rilevatori appositamente formati in un certo numero di classi, raccogliendo quindi un campione di dati significativo e certificato, tale da consentirgli di svolgere pienamente il proprio ruolo di “termometro“. A questo punto, a chi giova barare? Se l’insegnante suggerisce, se il genitore non compila il modulo dal quale si evincono i fattori contestuali, se i dati così raccolti tornano alle scuole alterati, cosa ci guadagna lo studente? Cosa ci guadagna l’insegnante? Cosa ci guadagna l’istituto? Cosa ci guadagna la società da una spesa che, nell’ambito dei costi sostenuti dal MIUR è risibile, ma rappresenta pur sempre una spesa pubblica, quindi “di tutti“, quindi “sacra“?!?

Non mi riesce di comprendere l’atteggiamento dei genitori su questi temi, ma ancora più incomprensibile mi appare quello degli insegnanti.

Se ha senso che si oppongano alla “sperimentazione sul merito, che elargisce una quattordicesima mensilità secondo modalità più che discutibili, e comunque non condivise dagli insegnanti (questa sì che è materia di contrattazione sindacale!) in particolare per il fatto che le risorse per tale premialità sono figlie di dolorosissimi tagli, mi pare che dovrebbero parallelamente preoccuparsi di fare in modo che questa battaglia non appaia come una mera difesa dello status quo, visto che opponendoci alla sperimentazione siamo automaticamente collocati nell’angolo dei conservatori.

In altre parole, occorre prevenire quel boomerang che, a seguito di questo atteggiamento, facilmente ci squalificherebbe con l’accusa di corporativismo, seguita da un qualche giornalista a caccia di fama che presto sfornerà l’ennesimo libro dal titolo “l’altra casta“.

Nel protestare, occorre non sbagliare mira. Non possiamo sparare sull’Invalsi (e rompere il termometro che misura la “febbre della scuola“), ma dobbiamo mirare su altri obiettivi: i tagli, la svalutazione del ruolo degli insegnanti, gli attacchi alla scuola pubblica statale che, lo dicono proprio queste ricerche, nel nostro paese è ben al di sopra di quella privata. Per ovvi motivi ideali e sociali, vorremmo che continuasse ad esserlo.

Sempre dal testo di Checchi, Ichino, Vittadini leggo:

I risultati dovranno altresì essere confrontati con opportune prove non standardizzate, come già avviene nei test OCSE-PISA. Ciò allo scopo di effettuare una valutazione basata su più dimensioni che consenta di non perdere alcuni aspetti fondamentali della nostra “cultura” scolastica non rilevabili attraverso l’esclusiva somministrazione di prove standardizzate, quali ad esempio la verifica della capacità di esposizione orale o di composizione di un testo, la capacità di esposizione critica e sistematica del proprio pensiero, la capacità di cogliere ed esprimere i nessi fra più discipline, la capacità di “produrre” opere complesse (una riproduzione di una opera d’arte un tema, un progetto).

Tutto questo, mi pare che risponda, nella sostanza, a numerose obiezioni del corpo insegnante che evocano la povertà delle prove standardizzate.

In un convegno a Palazzo Ducale, sempre a Genova, in un “intervento dal basso“, ho avuto modo di spiegare alla collega Paola Mastrocola, che criticava la povertà delle richieste formulate dalle prove Invalsi, spiegando come sono costruite. Devono funzionare, più che essere belle, e per uno statistico una domanda funziona se è in grado di discriminare, nella popolazione, due insiemi: quelli che rispondono correttamente sono (statisticamente) almeno del livello n, quelli che non rispondono correttamente sono ad un livello inferiore di n.

Ci sono bellissimi grafici che illustrano più chiaramente questo concetto, ma le principali obiezioni (ci sono domande banali e ci sono domande troppo difficili) si spiegano facilmente: sono prove standardizzate. Se uno non risponde ad una domanda facile, mi devo preoccupare come insegnante (ma lo devo misurare come Stato!), d’altro canto se uno non non risponde ad una domanda difficile, non mi devo preoccupare, semplicemente lo Stato vuole capire se c’è qualcuno che è in grado di rispondere (ed eventualmente io insegnante mi interrogherò se c’è qualcuno che potrebbe farlo).

Ancora dal testo di Checchi, Ichino, Vittadini leggo:

Dopo una fase adeguata di sperimentazione alla fine della quale sia stato raggiunto un consenso sufficientemente diffuso tra gli operatori della scuola (insegnanti, dirigenti scolastici, responsabili degli enti locali, genitori) riguardo alla affidabilità del metodo di valutazione qui proposto, sarà possibile studiare se e come collegare i risultati della valutazione a misure di natura premiante o penalizzante per i budget delle singole scuole.

Per compiere questo passo importante, sono però necessarie tre condizioni che esaminiamo sotto in maggiore dettaglio:

  • Definizione chiara degli obiettivi che le scuole devono raggiungere.
  • Attribuzione alle scuole degli strumenti e dell’autonomia necessaria per il raggiungimento degli obiettivi.
  • Definizione trasparente dei premi e delle penalità derivanti dal raggiungimento degli obiettivi.

È ragionevole ipotizzare che il sistema di valutazione delle scuole fin qui descritto non possa funzionare immediatamente a pieno regime per almeno tre motivi:

  • disponibilità dei fondi necessari al suo finanziamento;
  • necessità di tempi tecnici per la realizzazione dell’Anagrafe degli studenti;
  • necessità di un’adeguata sperimentazione…

Questi passi, a mio giudizio pienamente condivisibili, sono contenuti in un testo dal quale chi si oppone alle prove Invalsi ha estrapolato diverse frasi da un contesto molto ricco e sensato, snaturandolo e alimentando paure ingiustificate, caricando la questione delle prove Invalsi, per motivi di “praticità” (è più semplice mobilitare le persone su un obiettivo concreto) di significati collegati alla lotta contro la “riforma dei tagli“. Di fatto, quando questo governo cadrà, avendo sparato sull’Invalsi, ci troveremo a dover ricostruire su macerie che noi stessi abbiamo provocato.

Mi si accuserà di avere, con la presente, depotenziato o disinnescato una leva protestataria sulla quale si stanno aggregando simpatie, ma non voglio essere accusato di non avere proposto alternative praticabili.

Ai genitori indico la questione dei contributi volontari. E’ del tutto naturale, ed è possibile, che nel “liceo bene” di Genova, i genitori si mettano le mani in tasca per finanziare la seconda lingua nel piano di studi dei propri figli. Ma questo non è possibile per i figli della “scuola meno bene per due ordini di motivi: molti non hanno i soldi per farlo, molti di più ancora non hanno la percezione del furto che viene perpetrato ai loro danni.

I contributi volontari rappresentano un “doping dell’offerta formativadi una certa scuola, che si può permettere di farlo, non già per le elevate capacità dirigenziali di un preside che ha ben inteso le potenzialità dell’autonomia, ma perché i genitori di quella scuola sono nelle possibilità economiche di agire.

Sul fronte degli insegnanti, propongo da domani mattina, fino al termine dell’anno scolastico, in aula e nei ricevimenti settimanali e comandati dei parenti, e pure nelle manifestazioni e nelle proteste di varia natura (acqua, nucleare, donne…), di indossare un badge sul quale dare libero sfogo alla fantasia. A titolo di esempio:

- Docente di ruolo, assunto per concorso.

- Docente di ruolo/precario, dottorato in… e senza parenti all’Università.

- Docente di ruolo/precario, master in x e y, perfezionamenti in h, k e z.

- Docente di ruolo/precario, n anni di onorato servizio.

- Docente di ruolo/precario, 18 ore di insegnamento, k per correggere compiti ed aggiornarmi.

- Docente precario, “si sta come d’estate, senza stipendio i professori“.

- Docente di ruolo/precario, stipendio di X, il mio collega tedesco guadagna Y.

Allorquando questa civile, onesta e dignitosa protesta si allarghi a macchia d’olio, quando cioè entrando in sala insegnanti vedremo che questo badge non è solo attaccato alla giacca di qualche precario, ma diffuso su quelle della maggioranza dei colleghi, raggiungendo e collegando tutte le generazioni degli insegnanti unite in un momento collettivo di orgoglio professionale, sarà il Governo per primo a convocare sugli opportuni tavoli le controparti per discutere e affrontare concertativamente i nodi.

In uno scenario del genere, possono accadere alcune cose che, da informatico, sintetizzo come segue (concedendomi ridondanze che sono indispensabili per i non informatici):

Se la protesta del badge non ha successo, allora sarà fallita e meritiamo che chi ci governa ci ignori. Altrimenti (se la protesta del badge ha successo) e il Governo scende a compromessi, allora avremo ottenuto dei risultati con atteggiamento dignitoso, civile e responsabile.

Ed infine, se la protesta del badge ha successo e il Governo non scende a compromessi, allora sarà necessaria una protesta ferma, intransigente e radicale sulla quale la partecipazione dignitosa, civile e responsabile in premessa, convergerà compatta e furibonda: lo sciopero selvaggio degli scrutini.

Lo so, è illegale. Ma in fin dei conti viviamo in un paese che ieri firma un trattato di non aggressione con un paese vicino e oggi presta le basi per bombardarlo. Sarà anche illegale, ma se verrà indetto da sindacati rappresentativi, dopo un’adesione preventiva annunciata massivamente dai badge di “orgoglio professionale“, diventerà legittimo.

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Materiali

Qui si può visitare il sito dell’Invalsi e prendere visione delle attività e dei dati.

Altri interventi per il NO: di Marco Barone, Francesco Mele, Giorgio Tassinari e Bruno Moretto, Marina Boscaino.

Altri interventi per il SI: di Maria Piscitelli, Maurizio Tiriticco.

Una disamina metodologica: di Gabriele Boselli.

La grammatica nelle prove Invalsi: lettura dei risultati e riflessioni didattiche
di Adriana Arcuri e Maria Rosa Turrisi.

I risultati degli anni precedenti: difficoltà per Sud e stranieri: Fiorella Farinelli e Gilberto Bettinelli.

Una pagina dedicata su ForumScuole.

Il documento dell’Avvocato dello Stato Laura Paolucci: Le prove Invalsi sono obbligatorie per le scuole?

La Direttiva del Miur.

* * *

L’occhio del lupo
Condannato il Ministero. Paga Gelmini?

C’è un gigantesco contenzioso riguardante i precari della scuola. E una cifra mica da ridere disposta dal giudice del lavoro di Genova. Un risarcimento di quasi mezzo milione di euro. Il totale di una causa intentata da 15 lavoratori.
D’ora in poi, si aspettano ricorsi a valanga. Ne siamo lieti – ma siccome non siamo fessi, sappiamo che questi soldi li cacceremo noi. Ora, visto che l’immaginifico governo del quale ci gloriamo in tutto il mondo ha deciso di punire persino i magistrati secondo il principio improvvisamente cogente della responsabilità individuale, non sarebbe cosa buona e giusta che questi soldi venissero prelevati dal conto corrente della
mascotte di Tremonti?
(michele lupo)

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La settimana scolastica

La notizia della settimana riguarda i precari. Il Tribunale del Lavoro di Genova ha condannato il Ministero dell’Istruzione a risarcire 15 lavoratori precari. Ad ogni lavoratore è stato riconosciuto un risarcimento del danno di circa 15 mensilità, per un totale di 500.000 euro. E’ il risarcimento del mancato riconoscimento della ricostruzione della carriera, cioè il mancato aumento degli stipendi e degli scatti, legati all’essere precari. Si tratta di una compensazione atta a “dissuadere” la pubblica amministrazione dal mettere in atto altre situazioni del genere. La situazione riguarda almeno 100 mila sui 150.000 precari occupati nella scuola in Italia. Per far ricorso c’è tempo fino al 31 dicembre 2011, l’unico requisito è essere precari da almeno tre anni su un posto vacante.

Mentre rimane aperto il problema delle graduatorie, potrebbe diventare più qualificante e meno onerosa per lo Stato la richiesta dell’assunzione dei precari, eliminando questa anomalia della scuola italiana.

Ugualmente pesanti le notizie che riguardano i disabili. Il Tribunale di La Spezia ha giudicato discriminatoria la condotta del Ministero denunciato da uno studente: dovrà ripristinare le ore di sostegno tagliate e pagare le spese. Poiché con il provvedimento ministeriale “viene leso il diritto del disabile all’istruzione.

Intanto il ministro non riesce a placare la polemica sulla esclusione dalle gare sportive nazionali degli alunni disabili, e in particolare dalla corsa campestre, che risulta proprio tra le discipline di Atletica leggera rivolte ai disabili. Tanto che la stessa commissione Cultura della Camera sconfessa il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, presentando una risoluzione bipartisan.

Da segnalare intanto una nuova bocciatura del Ministro da parte della Consulta. Questa volta è l’art. 2, cc. 4 e 6 del D.P.R. 89/09 che viola l’art. 117 della Costituzione e la leale collaborazione tra Stato e Regioni a cui spetta l’esclusiva competenza nel dimensionamento della rete scolastica sul territorio, attribuzione che la sentenza n. 200 del 2009 ha proprio riconosciuto spettare al legislatore regionale.

Polemiche suscita anche il direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia Giuseppe Colosio, il quale, commentando la storica sentenza del tribunale di Milano che ha definito discriminatorio il taglio delle ore di sostegno accogliendo il ricorso presentato dai genitori di 17 studenti e da Ledha (Lega per i Diritti delle persone con disabilità), si è detto “dispiaciuto” della sentenza stessa. Il riconoscimento del diritto al sostegno diventerebbe per il dirigente addirittura un ostacolo all’integrazione.

Lo stesso Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, con la circolare del 21 marzo 2011 avente ad oggetto l’“Organico della scuola primaria”, pretende di indicare ai dirigenti degli uffici scolastici territoriali quali parti delle leggi dello Stato non vanno rispettate: “istigazione a delinquere” la chiama ReteScuole. Nel caso specifico, l’Ufficio Scolastico invita a non rispettare una legge dello Stato che riconosce ai disabili il diritto di studiare in classi non affollate dove, malgrado le pochissime ore di sostegno concesse loro, sia possibile, almeno in parte, anche per gli insegnanti curricolari, fornire delle attenzioni speciali ad ognuno/a di loro.

Altro fronte drammatico è quello dell’Università. La “riforma” Gelmini ha bisogno di molteplici decreti attuativi che il governo dimentica di emanare: con il risultato che le funzioni della ricerca (tutte), le chiamate di progettisti, associati e docenti sono bloccate. Nel 2012 la maggior parte degli atenei italiani, condannati a bilanci in rosso fisso, potrebbe trovarsi nell’impossibilità di reclutare docenti e quindi di svolgere una normale didattica.

In un breve incontro che il ministro Mariastella Gelmini e alcuni dirigenti del Miur hanno avuto con una delegazione del Cnsu (Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari) e dell’Adi (Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani) è emersa la posizione del Ministro: il dottorato senza borsa diventerà presto realtà: cade il vincolo di copertura con borsa “di almeno il 50% dei posti banditi”.

Ma non si tratta solo di questo: la riforma sta producendo disagi e ostacoli enormi per gli studenti. Mentre le tasse aumentano, facoltà saranno accorpate, corsi di laurea saranno tagliati, corsi di studio cancellati, gli appelli di esame contratti. L’Unione degli Universitari lancia una Carta dei diritti degli studenti.

Mobilitazioni. I precari hanno indetto una giornata di mobilitazione per il 9 aprile, lanciata in rete da Il nostro tempo è adesso. Mobilitazioni anche nei giorni 26, 27 e 28 marzo contro i tagli alla cultura: negli ultimi cinque anni l’intervento dello Stato nella cultura è sceso di oltre il 30 per cento. Inoltre la riduzione dei trasferimenti statali per il 2011 alle Regioni – pari complessivamente a 4 miliardi – e a Province e Comuni – rispettivamente pari a 300 milioni e 1,5 miliardi – avrà inevitabilmente ricadute anche sulla spesa per la cultura delle amministrazioni locali.

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Il decreto Brunetta qui.

Il vademecun della CGIL sulle sanzioni disciplinari qui.

Tutti i materiali sulla “riforma” delle Superiori qui.

Per chi se lo fosse perso: Presa diretta, La scuola fallita qui.

Guide alla scuola della Gelmini qui.

Le circolari e i decreti ministeriali sugli organici qui.

Una sintesi dei provvedimenti del Governo sulla scuola qui.

Un manuale di resistenza alla scuola della Gelmini qui.

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Dove trovare il Coordinamento Precari Scuola: qui; Movimento Scuola Precaria qui.

Il sito del Coordinamento Nazionale Docenti di Laboratorio qui.

Cosa fanno gli insegnanti: vedi i siti di ReteScuole, Cgil, Cobas, Cub.

Spazi in rete sulla scuola qui.

(Vivalascuola è curata da Alessandro Cartoni, Michele Lupo, Giorgio Morale, Roberto Plevano, Lucia Tosi)



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