Una comunità politica di sessanta milioni di persone non può essere democratica senza istituzioni rappresentative, senza momenti di mediazione tra Stato e società. Matteo Renzi costruisce il suo primato proprio sulla crisi dei luoghi della rappresentanza, partiti e sindacati. Nell’immaginario renziano la società è un insieme omogeneo e indifferenziato rispetto al quale il Governo è altro, imparziale. Renzi mira al potere, non alla rappresentanza. E il potere senza rappresentanza è fine a se stesso, pericoloso. Renzi non tratta coi sindacati, ma visita le fabbriche. Va “verso il popolo che lavora”, non verso i lavoratori.
I partiti del socialismo nacquero come espressione del movimento operaio, per promuovere gli interessi di una classe sociale, quella dei lavoratori salariati. L’estensione del suffragio trasformò la base elettorale dei paesi industrializzati integrando i partiti “lavoristi” nel gioco dell’alternanza destra-sinistra, tipico dei sistemi bipolari.
In Italia la transizione a un regime democratico-maggioritario non si è compiuta perché una coscienza di classe ce l’hanno solo i politici, che all’alternanza di governo preferiscono un sistema bloccato. Nella cosiddetta “prima repubblica” l’alto compromesso della Costituente degenerò nel più becero consociativismo. Da vent’anni a questa parte politica e antipolitica si affrontano in una guerra di posizione che ha logorato Berlusconi innalzando Grillo al ruolo che fu del Cavaliere, di grimaldello della partitocrazia.
In questo contesto il lavoro è stato spogliato del valore che aveva rivestito nelle democrazie occidentali perché non fosse più determinante ai fini della formazione dei governi. Di tale spoliazione è responsabile la sinistra sedicente riformista, che votò l’introduzione del precariato omologandosi a un indirizzo economico che rigetta qualunque compromesso sociale. La segreteria di Bersani ha provato a riportare il Partito democratico nel suo alveo, a marcare i confini del centrosinistra, ma l’impresa si è rivelata più grande di lui.
Nel Pd era già in atto un cambiamento, mascherato da svolta generazionale, che ha ridefinito la rappresentanza politica in senso addirittura autoritario. La leadership di Renzi non è sostenuta da interessi soggettivi (il lavoro, l’impresa, l’ambiente …), Renzi non si compromette con una parte. Vuole prendersi tutto. Il suo Stato non è liberale, né socialista. È piuttosto neo-corporativo. Il “Partito della Nazione” evoca una prassi politica del passato, che negava la prospettiva del conflitto sociale nell’interesse superiore dello Stato. Finì in tragedia.
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