Magazine Cultura
di Steven Spielberg (USA, 2011)
con Jeremy Irvine, Emily Watson, Peter Mullan, David Thewlis
VOTO: **
C'era una volta Steven Spielberg. C'era una volta un superbo regista, un fabbricante di sogni, di belle favole raccontate mirabilmente attraverso le immagini, capace di far entusiasmare grandi e piccini, di tirar fuori il 'fanciullino' che è dentro di noi (tanto per citare Pascoli) e regalarci storie edificanti e convincenti con classe sopraffina: chi dice di non aver mai versato nemmeno una lacrimuccia con E.T., Incontri ravvicinati, Indiana Jones o Lo squalo è un bugiardo matricolato...
Poi però sono arrivati i soldi, il successo planetario, lo star-system. E inevitabilmente è venuta meno anche la 'fame', la voglia di raccontare storie. Eppure, nonostante tutto, il regista di Cincinnati ha saputo ancora stupirci con qualche altro piccolo gioiello, sebbene sempre più raro: penso a Minority Report e a Prova a prendermi, forse il suo ultimo vero capolavoro.
E infine è arrivata anche la vecchiaia... perchè, sapete, anche Spielberg è un essere umano! E con essa la bella vita, il fisiologico rilassamento. E l'ancora più fisiologica mancanza di ispirazione, più che comprensibile in un cineasta che, davvero, non può chiedere niente di più a Hollywood e a se stesso, proprio perchè ha già avuto tutto.
Ma perchè allora non godersi una dorata e privilegiata pensione e vivere sugli allori, piuttosto che propinarci film come War Horse, pellicole che nella migliore delle ipotesi rischiano di farci dimenticare tutto il fulgido passato di questo grande (ex?) cineasta?
Insomma, inutile girarci intorno: Spielberg non è più Spielberg, e War Horse è un film davvero brutto. Interminabile nella sua lunghezza e inguardabile per la sua mielosità, quasi letale per chi soffre di diabete. Un'opera stucchevole per il suo buonismo a comando, prevedibile, sdolcinata, melensa, quasi irritante per il tronfio culto dei 'buoni sentimenti', ipocrita e falso fin dalle prime inquadrature.
Chi, davvero, potrebbe prendere sul serio una sceneggiatura talmente inverosimile e sciatta? Il film è di un sentimentalismo che sfiora il ridicolo, l' 'happy end' talmente scontato che, quasi quasi, stimola nello spettatore la cattiveria più becera, tipo sperare in un infarto del cavallo, giusto per ravvivare un po' la trama...
Ovviamente scherzo. Ma davvero c'è ben poco da salvare in questo film. Giusto le scene di battaglia, che ricordano un talento mai venuto meno. E anche le interpretazioni degli attori, tutti buoni professionisti (soprattutto il giovane Jeremy Irvine, al suo primo ruolo importante). Tutto il resto, dalle ridondanti musiche di John Williams alla stra-classica fotografia di Janus Kamisnki (patetici i suoi tentativi di 'omaggiare' il technicolor di Via col vento), è assolutamente da dimenticare. E anche in fretta.
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