La mia insegnante di inglese ormai sa quasi tutto di me. D’altronde l’ho chiesto io: devo esercitarmi nella “conversescion” e, visto che faccio più fatica a stare zitta che non a parlare e che lo small-talk mi mette a dura prova, si finisce sempre per discutere della mia vita. Nelle ore di lezione privata non riesce a sottrarsi alla cascata di parole sconclusionate nel mio inglese tenuto insieme dal nastro adesivo e da molta fantasia; nelle ore di lezione collettiva prova ad arginarmi, con il doveroso rito del giro di tavolo. Il problema è che raramente ci riesce.
L’ultima lezione di gruppo è cominciata con grandi speranze reciproche. Il consueto “any news?” che, di solito, si esaurisce velocemente, perché sembra che abbiamo tutti delle esistenze piatte e monotone, giovedì scorso era tutto un pullulare di novità altrui. Le avevo già raccontato le mie, di news, il giorno precedente, nella lezione privata: non mi piace essere ripetitiva. Ho passato il testimone. C’era una nuova compagna: rumena ed hostess. Mi galvanizzano gli ambienti cosmopoliti: ho felicemente trascorso questa settimana con l’ufficio pieno di colleghi stranieri con inglese, francese e tedesco che si mescolavano senza pudore. Sono rimasta buona buona a meditare sulla teoria della relatività: uno dei requisiti di selezione sembra sia la capacità di toccare il soffitto dell’aereo con le mani. Io arrivo a stento ad aprire la bagagliera.
Da qui il discorso ha sconfinato nei riti stagionali rumeni: per chi non lo sapesse, come me, in Romania il primo marzo, giorno del La Vecchia Dochia, è considerato l’inizio della primavera. Ci siamo trasferiti poi nelle abitudini culinarie persiane: no, uno del gruppo non è un gatto. E’ di origine iraniana ed era appena stato a trovare la madre. Sono a zucchero ridotto e senza cioccolato dal mercoledi delle ceneri, non per credenze religiose né per forme di espiazione, visto che, secondo me, espio già a sufficienza semplicemente vivendo, ma per una prova di forza nei confronti di me stessa. Mi sono perciò immersa in una breve seduta privata di training autogeno quando hanno cominciato a parlare, tra gli altri, di un dolce tipico che assomiglia ad un grosso bignè farcito di panna.
Il metodo didattico prevede che si parli di qualunque cosa, basta che lo si faccia in inglese. Capita spesso che del canovaccio della lezione sembra si perda ogni traccia e ci si ritrovi a vagare, con mia delizia, per campi di fragole. Quindi nessuno stupore se dai maritozzi siamo atterrati tra i daffodils in fiore nel Wales e in Irlanda per apprendere che, mentre i rumeni ripongono i maglioni di lana, il primo marzo i gallesi festeggiano il patrono Saint David. Siamo evidentemente stati di poco supporto all’insegnante, in preda ad un attacco di nostalgia acuta, perché ha subito brandito un foglio di carta e ci ha inchiodato con la poesia Daffodils, di Wordsworth.
Anyway, mentre ci stavamo ripigliando e io stavo meditando, sempre in relativo silenzio, sul fatto che l’incipit – I wandered Lonely as a Cloud – suonerebbe molto bene come sottotitolo per il mio blog, il percorso ha subito una nuova deviazione: “what’s clutter?”. Mi sono fatta ripetere la domanda perché non volevo crederci ma il mio cervello l’aveva già elaborata ed era ormai preda della sindrome di Hermione, che ha trascorso i sette libri della saga di Harry Potter con la mano alzata durante le lezioni. “LA SO. LA SO. LA SO! HO DETTO CHE LA SO! E FAMMELA DIRE….!”.
Fine del silenzio, si sono riaperti i rubinetti. Clutter, declutter, downshifting, minimalism: fermatemi, se ci riuscite, mentre divulgo il verbo. Ho avuto un solo attimo di esitazione, quando la nostra nuova compagna ha detto che possiede una decina di jeans perché mi sono resa conto che, probabilmente, io ne ho qualcuno in più. Mi sono però ripigliata subito: ”who cares?”. Ogni cammino inizia con un piccolo passo e poco importa se ha fatto il giro largo davanti all’armadio dei jeans.
Dai, minimalisti, che si è riaperta la stagione del lancio nel cassonetto: lo dice anche la mia profe di inglese!
One clear-out trigger: Spring. The sense of new beginnings and first rays of sunshine make March one of the busiest times for professional declutterers.