Il pregiudizio, che brutta bestia!
Sono stato convinto a vedere White God con la convinzione di piangere per l’ennesima storia triste animalista sul cane abbandonato che si sbatte allo spasmo per ritrovare l'infelice padroncina.
Nutrivo infatti il dubbio che il trailer fosse stato volutamente scarno proprio per evitare di far spargere copiose lacrime a tutti, disincentivando così l’acquisto del biglietto.
Questa l'idea che mi accompagna al cinema. La pesantezza, si sa, rallenta e il ritardo seguente risulta fisiologico: la scena iniziale è già andata. Peccato.
Ma non demordo; salgo sul treno in corsa e prendo posto.
Per un attimo mi sembra di essere stato proiettato davanti alla rivisitazione della fiaba del pifferaio magico con i topi: al posto del piffero, una tromba; in vece del pifferaio di Hamelin, una ragazzina in bici(Lili)e una muta di cani che le corre dietro in una città deserta e abbandonata.
Il silenzio assoluto mi fa sorgere il dubbio di aver scambiato un trailer per un altro: era passato un senso di ribellione in quel trailer? No. Qualcosa di surreale? No. E nemmeno che fosse una nuova versione di Io sono leggenda con Lili al posto di Will Smith e i cani al posto degli zombie. Nulla.
Finalmente il film entra nel vivo e mi ritrovo a prendere in considerazione la lacrimevole convinzione iniziale: è davvero la storia di una ragazzina e del suo cane fedele che la segue ovunque, porco cane!
La trama. Una nuova legge impone la tassa sui cani non di razza. Lili è figlia di divorziati e la madre è costretta a un breve soggiorno di lavoro all'estero. É l'occasione che la vita offre al padre per poter impostare un dialogo con la figlia: Hagen, il cane al seguito, è ovviamente un bastardo. Quale occasione migliore per far breccia nel cuore della piccola Lili? Il padre decide invece di abbandonare il cane per non pagare la relativa tassa.Bene! Le previste lacrime si accingono ad arrivare più puntuali del mio ingresso in sala.
E invece no. White God è il film che non ti aspetti. É come tutte le cose o persone che non rientrano in una categoria, che non ti dicono ciò che ti immaginavi, che disattendono le aspettative, che mostrano senza il minimo filtro una violenza e una rabbia che fanno naturalmente parte della vita ma che abbiamo preso il vizio di occultare prima di tutto a noi stessi: accettare ciò che non capiamo ed evitare di declinare l'esistenza in schemi prestabiliti sono processi inammissibili, vanno dicendoci nel quotidiano.
E noi che facciamo? Ce ne facciamo una ragione: o scappiamo o abbracciamo. Django è definito 'splatter' dall'unanime critica: White God, no. Mi hanno preso in giro, allora!? Balto, come ogni film sui cani, è un film per bambini a detta di tutti: White God, no. Mi hanno preso in giro, allora!? Maledetti film destabilizzanti! Maledetta critica che non chiarisce!
E così diversi spettatori delusi finiscono coll'abbandonare la sala anzitempo. Troppo splatter! Scappano. Troppo poco per bambini! E se ne vanno senza manco onorare il denaro speso: tzé!
Questo è un film che parla di ribellione, di reazione ad uno status quo non appagante; di vendetta e di cruda verità; parla di razze e di discriminazione (già nel titolo si rimanda all'idea ancestrale che dio fosse bianco!): poco importa che sia raccontato attraverso gli occhi e le scelte di un cane. Siamo tutti cani bastonati, al giorno d'oggi.
Hagen è un bel cane giocherellone, dal carattere buono e socievole, che ama la sua padrona e, nonostante l'indole mite, diventa un vendicatore: la società lo conduce alla rabbia infliggendogli violenze, soprusi, angherie e il peggio che si possa immaginare.
Gli unici brividi di orrore li ho provati non davanti alle scene che qualcuno ha definito splatter, ma piuttosto davanti alla presa di coscienza di guardare qualcosa di maledettamente reale che travalica le sofferenze inflitte al cane: la sofferenza dipinta sui volti canini viene percepita dallo spettatore come universale e reale.
Si ritrova catapultato nel circo del combattimento tra cani, Hagen. Ma a un certo punto si ribella decidendo di uscire da quella spirale di violenza su suoi simili in cui è stato confinato, vendicandosi di quegli uomini che su quel cammino lo hanno spinto contro la sua volontà.
Un film indefinibile, al di fuori delle categorie ordinarie; inconsueto, surreale, immaginifico. Si scorgono espressioni che sono quanto di più reale e vero un film abbia mai registrato negli attori: non quelli umani, ma i cani che, per inciso, sarebbero tutti degni di una candidatura all’Oscar.
La splendida regiadi Kornel Mundruczò a legare sapientemente il punto di vista in soggettiva del cane a quello umano in un unicum armonico; l'uso alternato di musiche e silenzi a dettare i vari cambi di visuale, dal cane all'uomo e viceversa; la debolezza dei dialoghi tra umani e l'appena abbozzata definizione dei caratteri dei protagonisti umani a porre in risalto le vicende di Hagen e dei suoi simili, sono gli elementi che danno risalto a questo lungometraggio.La scena finale, immaginifica anch’essa, sarebbe sufficiente da sola a descrivere questo film completamente fuori dagli schemi.
Se avete il desiderio di smettere di pensare come il sistema vi impone, affrontatelo, andate a vederlo; altrimenti convincetevi che le recensioni negative siano significative e rifuggitelo.
Per la prima volta dopo tanti anni ho apprezzato nuovamente la bontà di un trailer: non racconta nulla di quanto viene poi sviluppato nel film. Chapeau a chi l’ha montato.
I cani, contrariamente alle donne, non mentono su ciò che provano, perché non possono mentire sulle emozioni. Nessuno ha mai visto un cane triste che fingesse di essere felice. J. Masson