[OM] Coccolatissima dalla stampa europea, Yasmina Reza ha in effetti a suo indiscutibile favore una penna molto elegante. Di padre russo e madre ungherese, la giovane autrice è nata a Parigi nel 1959 e ivi è attiva con un numero considerevole di opere che ne sottolineano la sofisticata silhouette artistica.Nel 2001 è uscito in Italia, presso Bompiani, il romanzo Una desolazione, che ha avuto un esito invidiabile oltralpe. Il titolo può lasciare perplessi e invitare almeno alla cautela nell'acquisto, soprattutto in tempi famelici di leggerezza, sole e allegria. Ma si tratta di un'opera meritevole sotto molti punti, se non che sembra più un pezzo teatrale che non invece un racconto lungo. È la storia di un padre incapace di capire il viaggio del figlio alla ricerca di una fantomatica e quanto mai vaga, ingenua felicità: non si tratta banalmente di un monologo, piuttosto ci sembra un dialogo a largo raggio, sotterraneo e disperato, per individuare una traccia qualsiasi del misterioso obiettivo del giovane (ormai, peraltro, adulto).
In un paese che ha avuto figure esemplari nel campo del più stretto esistenzialismo, personalità che hanno dato contributi non indifferenti in materia di vita e suoi scopi, Yasmine Reza non propone, d'altra parte, un messaggio particolare e si concentra sulla vicenda tutta umana di una folle incomprensione. Il protagonista chiama a raccolta tutte le figure che hanno accompagnato la sua vita e finisce col tratteggiare un'immagine di sé non meno ambiziosa (e ansiosa) di quella schizzata per il figlio. L'incessante pulsare degli affetti, nel loro fugace rinnovarsi, permea tutto il romanzo di una densità emotiva molto convincente, senza nessuna concessione ipocrita a un preciso modello di vita positiva, anzi del tutto sconfessato.
La prosa patinata e scorrevole si raggruma in ricordi in cui le donne rientrano poco o nulla, nella veste ufficiale di mogli e sorelle, o in quella un po' meno indigesta di amanti che forse possono aiutarti a far passare la vita senza troppo dolore. Il padre, l'io narrante, non ha alcuna fiducia in quel figlio spiantato, assente perché senza fissa dimora da qualche parte, da qualsiasi parte. Il pensiero dell'uomo non sa bene dove rivolgersi e l'immagine del giovane sembra così avvolgere l'intero campo visivo, affogare quel corpo ormai vecchio che si dimena insonne in un letto di catene sciolte ma pesanti, e rabbioso chiede aiuto, vi sovrappone parole di rabbia o veri e propri anatemi:
Evitare la sofferenza, questo è il vostro ideale. Evitare la sofferenza, questa è la vostra epopea. Ecco a voi mio figlio e la sua cricca di mammole. Ti avrei preferito delinquente o terrorista, piuttosto che militante della felicità.
Due modelli di vita che si affrontano come negativi: da una parte, in primo piano, una visione soggettiva piena di emozioni e razionalità, dall'altra una vita che si perde nella sua stessa corsa su uno sfondo generico e quanto meno desertico, grazie al Cielo, non affetto da simbolismi, in questi casi sempre vieti. La desolazione di cui si parla nel titolo non è tanto il sentimento di sconfitta dopo l'infruttuosa partenza dell'altro, di quell'altro che pure dovrebbe esserci naturalmente vicino, ma proprio il terreno battuto da una sensorialità incapace di cogliere altro che una landa desolata e, dentro, niente e nessuno: in definitiva l'assenza di un rigoglioso e salutare collante. Contro un epidermico, sconfinato vagare, dalla fucina infernale della sua coscienza, l'uomo erutta con forza il viscerale bisogno di vivere la vita che gli è toccata in sorte, nel bene e nel male, non quella che i pavidi esteti scelgono per sé.
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