Torna Takashi Miike, terrorista dei generi nipponico (Visitor Q, Ichi The Killer), questa volta tentato da un’impresa mai tanto ardita ed affascinante: cimentarsi nella trasposizione cinematografica del cartone animato Time Bokan series Yattaman, prodotto nel 1977 dalla Tatsunoko e caratterizzato da un umorismo esilarante e da combattimenti tra robot al limite del demenziale.
"Yattaman 1 (Sakurai Sho) e Yattaman 2 (Fukuda Saki), quando non sono in officina a fabbricare prodigiose invenzioni meccaniche, vanno in giro per il mondo a salvare l’intera umanità dalle mire malvagie dei servitori di Dokrobei, la bellissima Miss Dronjo (Fukada Kyoko) e i suoi due lacché, Boyacky e Tonzra. In ballo c’è il ritrovamento delle parti costituenti la Pietra di Dokrostone, capace di regalare un potere immenso al suo possessore. Nelle mani sbagliate l’oggetto comporterebbe la fine del mondo"
Tutto, dall’estetica pop ipercolorata agli intermezzi musicali accompagnati da improbabili coreografie è stato naturalmente assimilato dall’autore di Audition. Più che un lungometraggio, una sequela di due (forse tre) episodi della serie, fedeli in ogni dettaglio al nonsense identificativo del cartoon. L’uso del digitale ritrova, finalmente, la sua natura spavaldamente surreale ed ipercinetica: niente è accettabile durante il film se non l’incredibile. Il concetto che sovviene alla mente è quello di fantasmagoria, dolce incantesimo e parata di illusioni che non sembrano trovare mai fine, tanta è la smania visionaria che attraversa i 111 minuti dell’opera.
In più, nonostante appaia innegabile come Yattaman sia un costoso lavoro su commissione, lo stile di Miike resta riconoscibile in più di una sequenza, tanto nelle improvvise esplosioni di violenza (seppur mitigata dalla comicità del contesto) quanto soprattutto dal punto di vista eroticamente provotorio (un amplesso, nemmeno molto suggerito, tra Yattacan ed una robot "felliniana" stravolge incredibilmente le aspettative del pubblico meno smaliziato). Considerato per quello che Yattaman rappresenta nella sostanza, cioè un personale e generosissimo omaggio ad un cartone animato geniale, si potrebbe gridare al miracolo traspositivo, talmente anacronistico da conquistare l’immediato status di cult.
Se al contrario si cerca la rielaborazione autoriale, destrutturate e moderna della materia, meglio andare oltre.
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