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Ci sono film che colpiscono, per una parola o per un'immagine o per una scena.
Con quella ti entrano dentro, e non li dimentichi più.
Poi ci sono i casi rari, ci sono quei film in cui per una parola, per un dialogo, per un'immagine e per una scena, per tutto questo messo assieme colpiscono gli occhi, la mente, il cuore.
Ed esci dalla sala frastornata, con quel tutto che pulsa dentro e che smuove ricordi, emozioni, consapevole quindi di aver visto un grande film, per cui faticherai a parlarne.
Youth fa parte di questo secondo gruppo.
Youth con poche parole, con una citazione, con dialoghi sopraffini, con immagini, con la musica e quei movimenti di macchina alla Sorrentino, toglie il fiato, per una visione in cui sorrisi, lacrime, risate e stupore si sono succeduti.
Il vuoto, il pessimismo, il rimpianto raccontato nella Grande Bellezza, lascia il posto a una vecchiaia placida, in cui si vive di ricordi, di seconde o ultime occasioni, in cui il vero lavoro è osservare gli altri, rimanendone stupiti o incantati.
In quello che fu il sanatorio della Montagna Incantata, luogo di incontri, di chicchere e di una prigionia dell'anima, Fred e Mickey soggiornano nella speranza che la loro vecchiaia si faccia sentire, senza per questo invidiare quella gioventù fiorente che passa accanto, che regala loro visioni divine. L'amicizia di lunga data a legarli, dialoghi pungenti e ironici ad unirli, mentre tutto attorno si muovono attori in cerca di ispirazione, Miss che son più di quello che sembrano, figlie deluse, respinte e amareggiate, calciatori all'ultimo stadio, teneri e deboli.
Un confuso mondo a sé, un universo circoscritto dove non si fa che osservare, giudicare, scommettere sull'altro, con la vita che sembra lasciata fuori a scorrere, mentre dentro, tra quelle mura confortanti si lascia spazio per la riflessione, per il riposo di corpi stanchi e di menti fin troppo attive.
Fred è in pensione, dal lavoro di direttore d'orchestra come dalla vita, dirige cori di campanacci e mucche, mentre Mickey scrive il suo ultimo film, un film testamento, a cui non riesce a trovare il finale, e a ben guardare nemmeno la protagonista giusta.
Nel mezzo ci sono performance, stanche e annoiate che dovrebbero animare l'hotel e i suoi residenti, ci sono pop star che passano per girare il loro videoclip che più trash (e divertente) non si può, ci sono attimi di pura poesia, che sia detta a parole, che sia vista in carrelli, dolly o panoramiche.
Il mondo che costruisce Sorrentino è di quelli che vorresti non finisse mai. Vorresti rimanere ore ad ascoltare gli aforismi e le verità raccontate da Fred, sentirlo condividere ricordi di una vita con Mickey, confrontarsi con una gioventù alla ricerca con l'attore americano e demoralizzato Jimmy, osservare con lui gli ospiti a cena, aspettare che quel monaco tibetano non lieviti, che quel bambino impari a suonare la sua sinfonia nel modo migliore.
Non vorresti uscire da quel Schatzalp Hotel, in cui corpi stanchi, oliati, rilassati, passano senza pudore, vorresti rimanere lì anche tu, perchè in fondo si sa che quando se ne esce, la vita vera è lì ad aspettare, domandando il conto.
Queste parole, questi dialoghi, queste immagini e queste scene devono la loro forza a Sorrentino, che gigioneggia dietro la macchina da presa, che sottolinea il tutto andando a scegliere volta per volta canzoni che rubano l'anima. Ma non potrebbe essere altrimenti senza un cast di livello altissimo, quel cast internazionale che aveva fatto storcere il naso e che si dimostra perfetto, si dimostra in stato di grazia a partire dai due vecchi protagonisti Michael Cane e Harvey Keitel, proseguendo per quel giovane che ormai non è più promettente, perchè Paul Dano ha dimostrato e continua a dimostrare la sua bravura, qui forse meglio che in qualsiasi altra pellicola, per quella Rachel Weisz bellissima e intrigante, per quella Jane Fonda che non si può che ammirare.
Sono loro i primi ad emozionarci, sono loro a caricare questo film, a farcelo amico, raccontandoci solo cose belle, solo cose che smuovono dentro, che entrano dentro, colpendo mente e cuore.
Solo le cose semplici ci riescono, quelle che sembrano mascherate da complessità e riflessioni profonde, ma che sono invariabilmente canzoni semplici che per la loro semplicità ci tolgono il fiato.
«Io sto sempre andando a casa, sempre alla casa di mio padre»Guarda il Trailer
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