Kathryn Bigelow racconta la storia di un’ossessione in uno dei film più attesi è discussi dell’anno. 5 nomination agli Oscar e tante polemiche.
Kathryn Bigelow avrà sicuramente previsto le immancabili polemiche e strumentalizzazioni che stanno accompagnando e accompagneranno il suo ultimo lavoro cinematografico, “Zero Dark Thirty”. Un film appunto e come tale andrebbe giudicato. Ma quando l’arte cinematografica affronta un evento di grande attualità a livelli mondiali, sul quale però deve essere ancora fatta molta chiarezza, è inevitabile e naturale che vada oltre il semplice intrattenimento e che susciti le più disparate reazioni.
La caccia ad Osama Bin Laden è stata la missione più impegnativa e importante che ha interessato l’America contemporanea, e che si è conclusa come tutti sappiamo.
Ma la Bigelow vuole raccontare prima di tutto una storia personale, quella di Maya (Jessica Chastain), giovane e determinata ufficiale della CIA, più forte del potere e dello scetticismo dei suoi superiori. Proprio lei, una donna eterea, diafana, esile, in contrasto con quello che la circonda, con quello che fa, , riesce nell’impresa storica di trovare il ricercato numero uno al mondo, che sembrava svanito nel nulla. Maya è “Zero Dark Thirty”, è posta sapientemente dalla regista in una zona cruciale, che non si può penetrare né scalfire; lei è il suo lavoro, è intuito, non forza. Ma nonostante questo è estremamente femminile, aspetto non di poco conto visto che il cinema della Bigelow è considerato molto maschile e forse è anche questa una della chiavi del suo successo ed interesse da parte dei critici.
Ci si aspetta alta tensione, azione, dramma personale, alienazione precisione registica, innovazione linguistica, rigore e assenza di retorica, con uno stile sincopato, rapido nel ritmo, potente dal punto di vista visivo e complesso nello svisceramento di tematiche difficili. Caratteristiche che ormai contraddistinguono il cinema di questa donna, ex pittrice, bella , carismatica, controversa, amata e odiata; unica nella storia del cinema ad aver vinto un Oscar come miglior regista con l’ infernale “The Hurt Locker” nel 2010, dopo l’adrenalinico e apocalittico “Strange days”.
La Bigelow affonda il coltello nel dolore, lo seziona, lo tira fuori e lo mostra nelle sue differenti evoluzioni, delirante, impudico, prepotente.
La regista è profondamente dentro la storia.
Sono fioccate molte polemiche soprattutto riguardo alla sequenza della tortura all’inizio, che rappresenterebbe una difesa di questa pratica crudele; ma come spesso accade, dato che la regista è stata già tacciata di essere addirittura una guerrafondaia, si guarda al dito che indica la luna e non alla luna stessa. Nulla è a caso nei film della Bigelow, c’è sempre un perché, ogni scena ha una funzione ben precisa, e non si tratta banalmente solo di realismo. Kathryn Bigelow contrappone la brutalità della guerra, qualunque tipo di guerra, che molto spesso droga chi ne prende parte (qualsiasi parte), alla delicatezza di una ragazza sola, per la quale trovare Bin Laden equivale a trovare sé stessa. E’ la storia di un’ossessione quindi che nasce internamente e intimamente nella protagonista o è dovuta ad un normale stato d’animo imposto dalla storia contemporanea comune a tutta la popolazione occidentale? O magari entrambi..?Al di là dell’interesse e curiosità che avranno in molti per la ricostruzione quasi documentaristica dei metodi di lavoro dell’Intelligence che hanno portato all’uccisione di Osama Bin Laden, questo ed altri interrogativi che si porrà di sicuro il pubblico, fanno di “Zero Dark Thirty” seppur discutibile, un grande film del nostro tempo sull’antiterrorismo: raro, coraggioso e potente .
Dal 7 febbraio nella sale italiane.
di Annalina Grasso