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Zitella goes to New York: Part #2

Da Lazitellaacida
_DAY 2 Per il mio primo giorno a New York la mia amica-angelo custode ha pensato bene di prendersi un giorno libero, in modo tale da mostrarmi l'indispensabile per girare poi da sola (spoiler: DA SOLA! AHAHAHAHAH!). Partendo dal Lower East dove stavamo, andiamo nuovamente a Soho, dove consumiamo un chicissimo brunch da Balthazar (che, come tutti vi diranno, sono sempre gli stessi del più volte citato in Sex and The City, Pastis) a base di uova alla Benedict.  Zitella goes to New York: Part #2
E non chiedetemi chi è 'sto Benedict ma dev'esser stato uno bravo perché le uova erano una cosa spaziale. 
Zitella goes to New York: Part #2 E il locale pure, con questo tipica moda americana di far sembrare vecchie le cose nuove. Specchi anticati, sedili consunti, mattoni, piastrelle. Tutto fake-vecchio che in realtà è brand-new. Con penna alla mano, io e Amica Barbara spuntiamo tutte le cose della lista che ho compilato grazie ai vostri commenti al mio post sul Cazzofaccio New York. Al termine del brunch Barbara pensa che io abbia le idee chiare su cosa fare il giorno dopo. Ma non è così. Ci facciamo il giretto per Soho, un saltino da Dean & Deluca dove mi stupisco che abbiano anche la disposizione della carne in macelleria ordinata per tonalità di colore e proseguiamo andando nel negozio di Prada sulla Broadway (quello con le scalinate dove Carrie compra la camicia rossa a Berger, il suo fidanzato scrittore) allestito con chiari riferimenti alla mostra al Met. E' un bel negozio che tutto sembra tranne che un luogo di vendita. E' spettacolare, teatrale (come tutto, a New York), ma gli spazi dove è esposto l'abbigliamento non sono molto accoglienti. Sulle pareti sono riportate immagini che riprendono alcuni pezzi della mostra nonché le collezioni più belle e importanti degli ultimi anni. Non si potevano fare foto.
Zitella goes to New York: Part #2
Zitella goes to New York: Part #2
Zitella goes to New York: Part #2
Proseguiamo il nostro giro, ci sono decine e decine di negozi in cui vorrei spendere e spendermi. Uno su tutti TIBI.
Zitella goes to New York: Part #2 Ma non posso, è SOLO il mio secondo giorno e io ho un budget limitatissimo. Comincio a notare una cosa tipica degli americani: sorridono SEMPRE. Il personale dei negozi è pagato per sorridere. Ogni stronzo che entra in negozio viene salutato e omaggiato con il più solare dei sorrisi. Ad ogni turista, passante, viandante che oltrepassa quella soglia verrà posta la seguente domanda: “HI, HOW ARE YOU?”. Ora, voi capirete che alla prima volta, forse alla seconda, mettici pure alla terza, una qualsiasi persona risponde al loro saluto con un altrettanto allegro sorriso e magari pure un “I'M FINE THANKS”, ma poi? Tu, piccola commessa venuta a New York a cercare fortuna, a cercare l'amore, la moda e la fama, tu piccolo ragazzo che mi saluti come se fossi la cliente numero diecimila e avessi vinto qualcosa, tu cassiera che mi chiedi il mio nome tre volte per alla fine manco capirlo, MA TE NE FREGA VERAMENTE DI COME STO? NO? E ALLORA PERCHE' ME LO CHIEDI? 

Insomma, dal terzo negozio in poi ho ignorato i loro saluti e sono andata dritta verso i vestiti. Quello è stato il momento in cui ho capito che forse sono più milanese di quello che penso.

Cammina cammina a forza di entrare e uscire dai negozi comincio a farmi un'idea di qual è lo stile newyorkese, quali sono i designer che -qua- contano: Alexander Wang e Rag & Bone. E' uno stile che noi europei definiremmo rock ma che loro americani credo definiscano metropolitano, urban chic. Cappellini di paglia, borchie, pelle, fluo, stivaletti neri, stampe. L'obiettivo della mia vacanza è stato FARE COSE AMERICANE quindi seguendo questa direzione Barbara mi porta da Victoria's Secret. E se voi, come me, l'unica idea che vi siete fatte di Victoria's Secret è che sia Qualcosa di Figo, rimarrete molto stupite. L'idea che avevo io del Segreto della Vittoria è che fosse una specie di La Perla americano. Guardavo quelle sfilate con le tizie strafighe con le ali di angelo, le poppe infinite e le gambe chilometriche e pensavo che fosse il regno dell'intimo chic con garbo, intimo per genti fighe, intimo per donne che vogliono sedurre. No. Victoria's Secret è l'intimo tamarro. Victoria's Secret è l'intimo FLUO [no no, non pastello, non color blocking, F L U O]. Victoria's Secret è l'intimo di poliestere. Una via di mezzo tra l'intimo da bimbominkia scema e l'intimo della donna manager che non si prende troppo sul serio. Il negozio è allestito come se avessero messo dell'esplosivo nell'astuccio degli evidenziatori: GIALLO! AZZURO! VERDE! ROSA! Immaginatevi me, che indosso solo bianco e in qualche rara occasione nero, avevo intorno a me più colori che persone. Io, la Santa Protettrice dei Pali in Culo, Io la Regina delle Frigide, Io che aborro le manifestazioni di colore, IO dopo nemmeno dieci minuti lì dentro, volevo TUTTO. Dal primo all'ultimo reggiseno con i propulsori per alzarmi le tettine a forma di prugna secca che c'ho. Quelli, ve lo dico io, SONO DISPOSITIVI MEDICI. Farebbero delle tette anche ad un'asse da stiro. Hanno imbottiture interne, esterne e anche nel mezzo. Se ti metti uno di quei reggiseni, le tue tette vere non ti servono. Non servono perché basta avere due spalle e un busto. Il negozio mi fa lo stesso effetto di un sexy shop, sento che un acquisto potrei anche farlo, non ci sarebbe nulla di male MA PER ADESSO NON ME LA SENTO. In piena botta da colori fluorescenti, quando vedo ancora pallini colorati la mia amica mi fa: -“Vabbhè, Topshop sai già che cos'è no? Non serve che ti ci porti vero?” - “Massì Barbara figurati. Non sono mica come 8 anni fa quando sono entrata per la prima volta nel Topshop di Londra che c'ho messo le.......ODDIO MA COS'E' QUEL VESTITO? LO VOGLIO!”. Ne usciamo un'ora e 98 dollari dopo. [L'abito sarebbe questo, in nero e vi garantisco che renderebbe figa CHIUNQUE]. Procediamo il nostro giretto e fiera come solo una turista spaesata può essere, arrivo sulla Quinta Avenue. Precisamente al Rockefeller Center, cioè quel posticino dove a dicembre accendono il mega albero di Natale, quel posticino con tutte le bandiere del mondo intorno, quel posticino dove d'inverno installano la pista di pattinaggio sul ghiaccio. Poco turistico, insomma. Che vi pensate, un centro commerciale, negozi, ristoranti? No. Sono 74 piani d'uffici. SETTANTAQUATTRO.
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Zitella goes to New York: Part #2 Alla base del Rockefeller center però ci sono decine e decine di posticini fatti per mangiare, dal più classico Pret-a-Manger fino al diabetico Ben & Jerry's (entrate e sentite l'odore. Già quello è un esperienza glicemica). In mezzo a tutte quei negozietti che non vedono la luce del sole (di fatto sono tutti nel seminterrato), mi ha colpito questo:


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Uomini che si fanno lucidare le scarpe. Esistono ancora!

Sulla Quinta poi proseguiamo lungo tappe obbligate tipo che so, Henry Winston per fare la foto sul gradino dove Chuck ha lasciato l'anello per Blair (spoiler!) e da Tiffany dove, dopo essermi accecata al piano degli engagement rings, mi sono chiesta come mai nessuno in questi anni abbia mai pensato di aprirci un bar lì dentro per fare -effettivamente- colazione da Tiffany. 


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Procediamo in uno dei centordicimila department store americani, Henri Bendel.
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Ve lo consiglio perché c'è un piano interamente dedicato alla bigiotteria, non tipo gioielli ma bijoux CHE LUCCICANO. Delle supercollane, tutto tranne che cheap, quelle che te la metti addosso e sei già vestita. Poi una sconfinata offerta di fascette per capelli RICOPERTE DI SWAROVSKI. Cose che a Blair ci fanno una pippa, ci fanno. Infine un signor reparto cosmetici con Laura Mercier in testa e un angolo con marche pressoché sconosciute (in Italia) dove mi sono tuffata per ricomprare il detergente viso e una MIRACOLOSA maschera al collagene di Mario Badescu.

Rientriamo in tempo per prepararci per la serata perché abbiamo i biglietti prenotati per lo spettacolo a Broadway. Oddio cosa ci si mette per andare a Broadway? SARA' MICA COME LA SCALA? Devo mettermi IL LUNGO? No amiche, se contate di andare a Broadway il lungo non serve. E' un quartiere fatto solo di teatri che mettono in scena almeno uno spettacolo al giorno. Tutti i giorni. Tutto l'anno. Tutti gli anni. Questa loro produzione massiva di show inizialmente mi ha un po', come dire, delusa. Insomma da noi c'è tutt'altro genere di aspettativa prima di uno spettacolo e al massimo le repliche vanno avanti per qualche settimana. Lì è una fabbrica a cottimo di show, ogni giorno loro salgono sul palco per il loro pubblico pagante, dicono sempre le stesse battute e suonano sempre la stessa musica. Capendo in che genere di meccanismo -turistico- sono entrata, non mi aspettavo lo show più scoppiettante della mia vita. Saranno stufi di cantare Mr. Cellophane, no? Invece no, sarà che le protagoniste hanno delle sostitute che non vedono l'ora di avere la loro occasione in un teatro di Broadway (perché poi a voler essere precisi c'è anche un circuito teatrale off-Broadway), lo spettacolo è stato pieno di energia. Come sapete avevo scelto Chicago perché conosco a memoria tutte le canzoni del film e vederlo dal vivo sapevo che sarebbe stato fantastico. La scelta è stata dura perché a Broadway si trova un po' di tutto, dall'attore di cinema che porta in scena Shakespeare, al Re Leone, a Ricky Martin che recita in Evita. 

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Ho fatto bene a scegliere Chicago, l'unico peccato è stato che l'orchestra suonava direttamente sul palco, rubando molto spazio ai ballerini (che però se la sono cavata egregiamente). Non si potevano fare video, quindi ho ripreso solo il saluto finale dell'orchestra. Ultimo passaggio della giornata, una passeggiata nella vicina mecca turistica Times Square, la piazza illuminata a giorno dai neon pubblicitari, una sorta di Piccadilly Circus molto in grande. 


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Per concludere la mia prima giornata americana poi non potevo non cedere ad uno degli elementi alla base della cucina americana, IL PRETZELN.

Balthazar - 80 Spring Street, between Brodway and Crosby Dean & Deluca - 560 Broadway (At Prince Street) Prada Epicentro – 575 Broadway Topshop - 478 Broadway Victoria's Secret – 591-593 Broadway Rockefeller Center – 30 Rockefeller Plaza Tiffany's - 5th Avenue and 57th Street

Henri Bendel – 712 5th Avenue Chicago Musical presso Ambassador Theatre - 219 W. 49th Street


_DAY 3 Amica Barbara non poteva prendersi giustamente una settimana di permesso per stare dietro a me, piccola bambina che si perde a New York, quindi come tutti i genitori responsabili mi lascia libera di fare quello che mi pare, mi consegna le chiavi di casa e si fa il segno della croce. Prima di andare al lavoro mi porta al supermercato più vicino per fare la spesa, io ero sveglia da circa dieci minuti e stava piovendo. Ancora non capivo che ora fosse che ero già in strada, impegnata a guardarmi intorno per ricordarmi i riferimenti delle strade e poter tornare a casa come Pollicino senza ripetere l'esperienza del primo giorno, ferma e spaesata in una strada che non conosco. Riesco nell'impossibile impresa di fare la spesa in un supermercato più grande dell'Esselunga di Viale Umbria dove riconosco che anche un'esperienza semplice come comprarsi un muffin sia un'impresa notevole in un paese straniero (lo devo pesare? Lo metto in un sacchetto? Lo mangio? Dov'è il prezzo? Come pago? Come capisco le monete?) ma nonostante tutto riesco a completare i miei acquisti e tornare sulla via di casa. Sono innanzi alla porta d'ingresso del palazzo, sfodero fiera le mie chiavi (GUARDATE GUARDATE! IO SONO FIGA! IO FACCIO LA SPESA A NEW YORK! IO MI ORIENTO A NEW YORK! IO SONO UNA CHE TORNA A CASA DA SOLA CON LA SPESA COMPRATA A NEW YORK!), le infilo nella toppa e............... Non gira. No dai, non scherziamo. Non gira. Cazzo. Provo in un senso, provo nell'altro. La chiave gira per 180° ma non sento la serratura scattare. Essendo sotto casa, il mio Blackberry si attacca alla rete wireless dell'appartamento e riesco a comunicare alla mia amica la mia sconfinata incapacità di prendermi cura di me stessa. Lei pensa che mi sia persa per strada, che non sia riuscita a tornare a casa. No Barbara, la tua amica stupida, all'alba dei trent'anni NON RIESCE AD APRIRE UNA PORTA. Sono lì, nella stessa posizione di nemmeno 48 ore prima, sempre io, sempre quella che dormiva in piedi appoggiata ad un trolley, sempre davanti alla stessa porta. Voglio morire. La butto sul ridere ma sto morendo dentro di vergogna, non posso rompere i coglioni ad una povera cristiana che sta lavorando SU COME MINGHIA SI APRE UNA PORTA. Amica Barbara è indecisa se disperarsi o ridere fino alla morte, mi chiama e cerca di capire qual è il problema. Sono le 9 di mattina, il resto del palazzo è -probabilmente- vuoto, sarebbe inutile suonare ad un vicino. Scopro che le serrature americane funzionano in maniera opposta alle nostre, cioè per aprire bisogna girare la chiave verso sinistra. 'Sti cazzi, non riesco, mi faccio un livido alla mano nel tentativo di girare la chiave, la serratura, la porta, il palazzo, il quartiere, la città, il mondo. N O N  R I E S C O Barbara, porina, è presa dalla disperazione. Sta pensando di tornare a casa (per prendermi a sberle) per insegnarmi ad aprire la porta ma ecco che.... UN INQUILINO DEL PALAZZO DEVE USCIRE QUINDI FINALMENTE, DOPO SOLO DUE ORE CHE SONO FUORI CASA, RIENTRO PER FARE COLAZIONE! Sono salva, sono impedita, sono in casa. Sono presa dalla tentazione di NON USCIRE MAI PIU' DA QUELL'APPARTAMENTO, un po' per la vergogna e un po' per paura di non riuscire a rientrare mai più, ma poi penso a come giustificare AL MONDO che in una settimana a New York non avevo visitato niente e, con una sporta di coraggio, mappa in una mano e faccia da culo nell'altra..... ritorno fuori. La Divina Provvidenza ha fatto in modo che la mia storica BFF dei tempi dell'Università viva ora a New York, a Nolita, poco distante da casa mia. Ci dobbiamo vedere alle 13, io alle 11 comincio già a cercare la via nella quale dobbiamo incontrarci. Presa dalla compassione Amica Giada mi fa da cicerone per l'intero pomeriggio, un pomeriggio di pioggia, un pomeriggio nel quale ho pensato “massì, mettiamoci questi biker che con la pioggia sono la cosa migliore”. Amica Giada mi trascina su e già per tutto il West Village, il quartiere dove viveva Carrie Bradshaw e infatti quelle case con i gradini, gli alberi, i mattoni hanno un'aria molto famigliare.


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Camminiamo su e giù lungo tutte le viette, per continuare sul tema “voglio fare cose americane” andiamo da Magnolia Bakery, tappa obbligatissima per le galline come me, teatro di una sequenza tra Carrie e Miranda. Mangio una tortina che è ZUCCHERO SOLIDIFICATO.
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Nulla di paragonabile a qualsiasi altra cupcake mangiata prima. Ne scelgo una con pasta al cacao e glassa color pesca, intonata alla maglia che indossavo quel giorno (un acquisto da J.Crew, ve l'avevo detto?), ma la glassa è appena fatta quindi ha la consistenza di una crema, una crema SACCARINA, colorata, tenerella, CHE LA VORRESTI MANGIARE A SECCHIATE. Da quel giardinetto proseguiamo verso il fiume, uh bello il fiume, guarda là quello è il NEW JERSEY?
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Torniamo su, torniamo giù, guarda questa è Greenwich Street dove fanno il gay pride, cammina ancora, su a Nolita, cammina ancora, siamo a Soho, cammina ancora prendiamo la metro.... Scusa Giada, io dovrei andare a Brooklyn non è che mi accompagni visto che come minimo se ci vado sola finisco a Seattle? Prendiamo la metro, scendiamo a Williamsburg, mi mostra le cose più importanti: i tanti, tantissimi ebrei ortodossi (quelli che gli uomini hanno il ricciolino di capelli che fa da basetta e le donne indossano le parrucche e si vestono solo di bianco e di nero – CRIMINE MORTALE), il loro quartiere (con le gabbie fuori dalle finestre) e cammina cammina arriviamo fino a Bedford Avenue, questa via fantastica, piccolina, non vi immaginate un vialone, ma con centinaia di negozietti vintage, negozietti di collane, dischi, pizza, manicure e qualsiasi cianfrusaglia voi desideriate. Subito, stando a Brooklyn, noto una certa incidenza di hipster sul totale della popolazione: riconosco l'Alpha Hipster in lontananza, fanno 25°, c'è il sole, si sta in maniche corte e lui ha i jeans skinny e la camicia a quadri di flanella abbottonata fino all'ultimo. Amica, ora sì che mi sento a Brooklyn. Sarà quest'aria di casa (tutto il mondo è hipster oramai) ma sento che questo Williamsburg qua non è male.

Non è niente male. Si sta bene, ci sono i parchetti, i palazzi sono bassi, i negozi sono grandi, la gente è rilassata, sorride e tira tardi seduta nei baretti. Cazzo, io a Williamsburg ci sto bene.


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Non fosse per quel dolore LANCINANTE che sento ai piedi, non fosse che questi biker che mi porto appresso da stamattina li percepisco come zavorre attaccate alle mie estremità io, qua a Brooklyn, CI STO BENE. C'è la pace, si sta tranquilli, ci sono bei posti, la cosiddetta bella gente ma che non sa di esserlo, ci si sente a proprio agio perché nessuno si aspetta che tu sia UNA CHE STA CERCANDO DI FARCELA A NEW YORK. Stai a Williamsburg, stai rilassata.

Chiedo ad amica Giada di portarmi in un vintage shop, non sapendo che l'intera offerta commerciale di Brooklyn si basa su questa nuova moda di vendere il-vecchio-come-se-fosse-nuovo. Mi porta in quello più grande che conosce perché ho l'infausto compito di comprare “QUALCOSA DI VINTAGE” per chi mi aspetta a casa.


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Di fronte a questa immensa distesa di abiti e capispalla ordinatamente disposti per colore decido che per me tutto questo è troppo. Ci rinuncio, niente vintage amiche. Io a ravanare lì dentro manco ci provo. Cammina cammina ancora, la mia amica mi mostra un classico diner americano, di quelli con il bancone e gli sgabelli che ti sembra di entrare dentro Happy Days. Mi stupisco, faccio foto, sono una turista perfetta.
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Amica Giada deve lavorare quindi mi lascia da sola su Bedford Avenue, poco male, ci sono così tanti negozi da esplorare che non mi preoccupo, anche perché tra un'oretta dovrebbe arrivare amica Barbara.

Peccato che IL MONDO non sappia come contattarmi visto che il mio cellulare non invia e non riceve alcun tipo di comunicazione. E quando lo fa, mi dice che si è verificato un errore. E quando non lo fa, finisce che invece lo fa. Insomma mi siedo su uno scalino, sono sfinita, i miei piedi sanguinano, non ho la forza di camminare nemmeno per trovare un bagno per pisciare, ho davanti a me ancora la serata, una lunga serata, una cena, un concerto e poi, LA MORTE. Amica Barbara quando mi vede seduta a terra come il più classico dei barboni quasi esplode di gioia. Mi aveva dato per dispersa, non aveva più ricevuto mie notizie da quando ero riuscita ad entrare in casa alla mattina sfondando la porta a calci e conoscendo la mia scarsa capacità di cavarmela nelle peggiori situazioni pensava che fossi come minimo affogata nell'Hudson. Invece ci sono, sono viva, e indovina? Per andare a cena dobbiamo ancora camminare. Cammina, cammina, cammina. Il posto prenotato per la cena è quel diner tipo Happy Days dove ho fatto le foto come una turista solo qualche ora prima e, proseguendo sul tema della mia vacanza cioè “FARE COSE AMERICANE”, prendo un burger [che in americano si dice “brgher”, mi raccomando], il secondo elemento dopo le cupcake su cui si fonda l'intera cucina americana. 


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Un burger come non ne ho mai mangiati prima, con delle patatine della madonna. Uno dei pasti più buoni della storia.

Ma la mia serata non è ancora finita, i miei piedi sono in cancrena, sanguinano, hanno le bolle e forse anche altre cose che non voglio guardare, le piante bruciano, i talloni vanno a fuoco. No però io ci tengo a fare cose americane, quindi via dritti al concerto di hipster. Musica hipster. Io che mi pensavo qualcosa tra i Club Dogo, Jay Z e Beyoncé mi ritrovo davanti un gruppo di Brooklyn che stava chiudendo il tour. Ho chiesto anche il nome e ho pure annuito quando mi hanno risposto, ma la verità è che non ho capito chi cazzo fossero.


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Non credo di averli nemmeno ascoltati, ero troppo presa a spostare il peso del mio corpo da un piede all'altro, ad intervalli regolari, per evitare di cadere a terra svenuta per il dolore. Amica Barbara e Fidanzato Americano di Amica Barbara, mossi dalla pietà nei miei confronti, mi chiedono se voglio andare a casa “no maddai rimaniamo, guardiamolo tutto! Ma veramente! Sì, sono un po' stanca ma non si va mai via prima della fine di un conc.....OK ANDIAMO”. Siamo sul taxi, sul ponte di Williamsburg si ha una vista fantastica. E' vero, ho male ai piedi, ma 'sti cazzi, tutto questo panorama è stupendo.


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Siamo di nuovo nel Lower East Side, non è ancora finita. Barbara ci tiene ad insegnarmi ad aprire la porta. Le faccio vedere il livido sulla mano, le dico “GIURO CHE CI HO PROVATO”, lei la apre con la mia chiave, la richiude e mi dice “fai tu”. Metto la chiave nella toppa, giro verso sinistra poco oltre i 90°. Si apre.
Fanculo. Magnolia Bakery – 401 Bleecker Street, New York Beacon's Closet – 88 North 11th Street, Brooklyn Diner – 85 Broadway, Willliamsburg, Brooklyn Music Hall of Williamsburg - 66 North 6th Street, Brooklyn (il concerto era dei Bear in Heaven, ce l'ho fatta a ricordarmelo).

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