Magazine Diario personale

Il Fan di Iannozzi. Apocrifi iannozziani

Creato il 22 marzo 2012 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Il Fan di Iannozzi

Apocrifi iannozziani

Iannozzi Giuseppe in primissimo piano

Iannozzi Giuseppe in primissimo piano

Questi sono degli apocrifi, sì, come i Vangeli Apocrifi, solo che qui siamo di fronte a delle… poesie, mi voglio sbilanciare. Sono dono, sberleffo, bassa espressione d’uno spirito goliardico? O sono solo un velenoso attestato nei miei confronti?

Quante domande, così va mica bene!

In ogni caso, sono state scritte da uno che si firma il Fan di Iannozzi per me, o contro di me, quindi meritano di essere online e non relegate fra i commenti. Ma soprattutto sono un bell’esempio di terrorismo webbico.

iannozzi giuseppe aka king lear


LA RUOTA DI NAPOLI

Balliamo sul mondo ch’è immondo,
topina che mi hai lasciato
mentre il grammofono esplodeva
e scagliava pezzi che facevano a brandelli
il cuore del mio angelo custode, topina,
panteganina che mi hai lasciato
mentre il fonografo si squagliava
e i suoni perdevano il loro spessore
e torturavano le orecchie
di me che non volevo perderti,
zoccoletta, che mi hai lasciato
mentre il mangianastri diveniva rovente
e scottava le unghie
di me che t’imploravo, e m’adopravo,
e peroravo
la mia causa persa, perché tu l’avevi vinta,
scarafaggina che mi hai lasciato
mentre il lettore cd dava i numeri
del mio IP
per giocarli al lotto, e ancora lotto
contro l’otto
che non esce mai sulla ruota di Napoli,
a Napoli dove andammo quel mese di luglio,
ciucciacazzina che mi hai lasciato
mentre l’i-pod mi s’infilava nel culo
e suonava “Strangers in the night”
per noi che tali diventavamo,
puttana!

L’ISONZO

Talpina
mi scavasti colle unghie nel cuore
bruchino ino ino
lo diventerai, farfalla
per volarmi sulla nerchiona.
Stellina, carina carina,
balliamo un lento sull’Isonzo
della nostra storia a due
e non è il Piave, ho detto l’Isonzo,
fiume che più m’è caro
perché lì vicino m’abita uno zio.
Merdolina,
dimmi perché ti caco,
spiegami perché mi espongo
a scriver siffatte ecloghe
che tanfano di me medesimo.
Sbrilluccichina, abbagliami!
Sono tutto per te
mi sono tolto gli occhiali da sole,
persino!

HIMMLER

Ho visto tuo padre, nel sogno, schiacciato dal peso
di svastiche di cemento armato.
Ho visto tuo padre, per la strada, mordere
il freno, anni prima ch’io nascessi,
anni prima ch’io nascessi ho visto violenza
con gli occhi che non possedevo,
ho visto le troie
sui marciapiedi, & la paura
d’appropinquarmi per chiedere il prezzo,
& ho visto Himmler, con gli occhiali,
l’ho visto attraverso gli occhiali, ma tu
non dirlo a nessuno, t’imploro mentre il sole muore, non dirlo,
ma ho visto Himmler nella mia città,
alla manifestazione,
visibilio di croci uncinate
nascoste dietro a cerchiate
l’anarchia,
la nerchia.
E ho visto te, là in mezzo, e fa male,
ma non lo dirò a nessuno, nessuno, nessuno.
Nessuno, nessuno.
E’ l’ora dei suicidi e il cielo è ferito
piove sanguinaccio, piove grandine
di caldarroste
fredde come la morte.
Hot-dog nazionalsocialisti
cadono a terra e rimbalzano,
rimbalzano, rimbalzano, rimbalzano,
rimbalzano, rimbalzano, rimbalzano,
mi rimbalzano nel culo con tanto di senape,
& io odio la senape, poiché è violenta, sapore di fuoco,
& l’inferno è un lago di senape
ribollente.
Anche i tuoi tacchi a spillo son lordi di senape,
verde come la bile,
la bile di me che ti vedo incedere
sul marciapiede, ti vedo eccedere,
& riaffiora la paura,
& sogno mio padre e quelle svastiche,
perché è una cittade di merda, indarno,
e dal mio occhio cadono stille di fuoco
che mi bruciano il naso,
& bestemmio sottovoce,
sussurro: porco dio,
m’adombro col mondo
ch’è immondo
& tutti morimmo a stento, io per primo,
sotto il peso di quelle svastiche,
poiché la città è di merda,
ma io rinascerò,
cervo a primavera,
e insieme sfideremo Himmler,
patatina.

CRACK E COCAINA

Ho visto la cipria fumante dei prati,
la cicala morta in affanno di vibrisse,
mozzi e alberi maestri chi lo sa perché,
Dio Santo!
Mi rifugiai nel fulmine per ardermi,
nell’estatico privilegio delle mantidi
dissi le mie fumiganti fumose parole,
Dio Santo!
E il cielo si aprì, vennero embolie
d’angeli e piastrine a treni e camionate
a smungermi del Tutto che io ero,
Dio Santo!
Fu bello, tanti, tantissimi blog e post-
documentari della vita che spacciai
per mia a pochi soldi di crack e cocaina,
Dio Santo!

JESOLO MENTRE PIOVE

Aspirina, m’aspirasti
lì per lì su due piedi
che accennavano a un twist di passaggio
e twist salutava, no, non oliver,
quello era lontano nella metropoli postindustriale
curva sotto i colpi di manganello
kapò e spie naziste argentine
laddove ivi si danza il tango,
ma invece però aspirina tu m’aspiravi
mentre Dio ci guardava con il suo Luminol
demiurgico,
sì, sì, Dio sussurrò al camerlengo
in livrea studiata a tavolino
parole medianiche che ti potevo ripetere
all’orecchio ma invece ahimé non l’ho fatto
aspirina
piccina e bianca e così allegra ed effervescente
nei tuoi riccioli mi perderò
nonostante il rifiuto addottomi
imperocché pasciuto il pasto
trasportò via il cameriere con il dubbio di Javèh
sussurratogli testé nell’orecchio
rientrava nel background.
Oh, aspirina, pignoncina,
tu facevi da volano
al gran premio dei Dio
dove Dio era il traguardo
ma però anche il nastro d’argento di partenza
tsunamino
l’ostrica che’i risucchiai perlacea
come in una profumeria
dove la commessa
mi dice che devo spendere un euro in più
e io le porgo il polso
dov’Iddio s’adopra all’opera
arte e troia
mira la marina
come due piccioni a Jesolo
stavamo bene
staremo male
ma tant’è
aspirina
ora non aspiri più
limitandoti però a soffiare
soffioncina
perla di me pirla
ti seguii nel sentiero di montagna
seguito dal plotone
che mi sparò un colpo al cuore
crepandolo
senza nemmeno offrirmi l’ultima sigaretta.

DERRIDA

Se sei brutto ti tirano le pietre
e ogni tua riga è tutto il diario di Anna Frank,
bastardi!
Guardali, la loro vita
è solo incisione di pustole
per vedere sprigionarsi la sofferenza
è solo baccano e baccanale
sarcofagia fottuta,
essi sono i nuovi FASCISTI
e mi costringono ad urlare.
Sì, mi piace la figa,
ma questo non c’entra, adesso,
perché sto lottando per vivere
perché sto piantando le unghie nel muro
che arrampico indarno.
Eziandìo, sono vivo! Sono vivo! Sono vivo!
Non sono morto.
Il mio grido è fine del mondo
per questo mi cucio le labbra
perché per quanto schifoso
questo mondo è anche te,
zuzzurellina.
E io amo e ti amo e li odio,
e io rido e ti sorrido e li derido,
loro e i loro filosofi, le loro canzoni:
“Derrida, Derrida, Derrida,
tu falla ridere perché
Derrida, Derrida, Derrida,
ha pianto troppo insieme a me.”
E io piango e mi pungo e li compiango,
e io singhiozzo, Iannozzo,
singhiozzo
perché scivola via quel che facemmo
il 6 marzo 1988
sotto quel sole violento
al parco di Villa Pamphili
in una Roma fino allora solo immaginata.
Pestai una merda, quel giorno,
ma non m’importava,
le svastiche ancora non c’erano,
benché non fossero che dietro l’angolo.
Lo psichiatra gentile evitava di guardarmi,
gli infermieri si davano di gomito
quando, nei corridoi,
fornivo loro sorrisi tristi
di thorazina mai ingollata.
Quando cambiarono direttore
e nominarono Gianni Marucci
lui fece una piccola rivoluzione.
I nuovi dottori mi consigliarono
di aprire un blog dopo l’altro.
Non sarei guarito,
non sarebbero scomparse le svastiche,
ma mi sarei tenuto occupato.
Accadeva non troppo tempo fa
e ho tenuto fede all’impegno.
A volte ti sogno, bricconcina,
sogno di quando me la davi,
o almeno la promettevi,
o comunque alludevi.
Io oggi rido, grido, strido,
non più mi suicido
e sono Potenza pura ed eterna
Sposami, sarai regina
del mondo.
Sposami, mignotta!

LOWDOWN TRASH

Giorni cupi dove chiedo Dio dove sei?
innalzando il cielo
al pugno rugoso
di ferro e calce
guantato dai fuhrer del passato e del fu
turo
che partorisce il sole nero
tra urla e preci
di bruti armaiuoli
motivati da te,
tesorina
scrignetto
scricciuolo
pornostar!

IL CIELO E’ NERO

Il cielo è nero di nero, dal nero
escono artigli a forma di svastica lorda di sangue
cammino coi piedi piombati nel fango dei tempi,
e li ignoro, ne penso
che sono sciocchezzuole sbocconcellate
vacui, pavidi torsoli di mela
la lebbra m’invade da dietro
lo specchio s’infrange e io affogo
nel latte dei mondi che franano
e porto meco
la merda che ho in tasca,
povere cose, cado
tanto per cadere
poi mi sveglio.
Ogni giorno m’inseguono giannizzeri
la sera mi sbronzo coi iannozzeri
lo faccio per te
per te canto il mio blues,
baby baby,
baby baby baby,
baby
baby.

Baby,
non devi avere paura
di un nuovo nazismo.
E’ la disperazione della forza.
Noi abbiamo, tra noi,
la forza della disperazione,
la forza dei desperados,
perché noi siamo desperados
cantanti un lurido blues
fatto di bicchieri di vino
ci piace la figa, è vero,
la nostra musa vomita liquidi
d’un rosso necrotico
e scriviamo
libri che volano via
lontano
libri di miele e di fiele
libri di male e di fiale
libri di fole
libri che sono sòle
per adescare donne sole
e cantare loro un blues,
baby baby,
baby baby baby
baby baby baby baby
baby,
baby,
baby
ti canto il mio blues,
oh baby
baby baby
baby baby baby
baby baby boom
boom! boom!

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