Ieri, mentre a Roma stava ancora andando in scena l’ennesimo squallido spettacolo, che ha scippato anche il diritto ad indignarsi della società civile, qui e la già si leggevano i soliti commenti che parlavano di infiltrati, strategie della tensione orchestrate dal governo in carica. Poca roba che però la dice lunga sul perché noi in Italia facciamo una gran fatica a non cadere nella tentazione di applicare ad ogni fatto quelle retoriche del passato. Basta, guardiamo in faccia alla realtà senza trovare alibi. C’è un antagonismo deliquente, che gravita ai confini dell’emisfero di sinistra e fa danni. Non cerchiamo sempre dietrologie inutili, perché in questo caso non ci sono. Anche l’atteggiamento delle forze dell’ordine, seppur criticato questa volta (per paradosso) nella sua cautela interventista, ha probabilmente evitato un aggravarsi della spirale violenta e conseguenze che altrimenti ora staremmo qui a sventolare come una bandiera nel già difficile clima che investe il paese. Errori di valutazione delle forze dell’ordine probabilmente sono stati commessi, ma non mi pare il caso ora di fare le pulci. Non è la polizia a dover finire sul banco degli imputati. Oggi osserviamo le immagini, contiamo i feriti e a freddo nel post concitazione scopriamo la realtà di frammenti di storia che si sono consuamati ieri, come quella del signore che, cercando di allontanare un petardo che questi deliquenti incappucciati avevano lanciato contro la folla, ha perso due dita o come quella della chiesa profanata la cui immagine di quella statua della Madonna frantumata sull’asfalto è forse il simbolo più triste dell’ignoranza senza senso di questa orda di teppisti.
Calabresi sulla stampa scrive che “… state sicuri che tra tre giorni quando le forze dell’ordine avranno identificato alcuni di questi ragazzi e un magistrato li indagherà, allora si alzeranno voci pronte a difenderli, a giustificarli e a mettere sul banco degli imputati giudici e poliziotti colpevoli di non capire e di essere troppo severi.”
Ecco, questa è la cosa più dannosa che possa accadere. Il voler trovare quell’alibi che poi finisce per andare sempre e comunque contro le istituzioni e finendo per danneggiare anche chi ieri c’era manifestando pacificamente. Condivido la reazione, dura, forte, esemplare, senza buonismi ne simpatie di sorta. Perché c’è un limite a tutto.
Quando ieri per TV sono cominciate a passare le immagini degli scontri ho pensato subito ad una mia amica che a Roma ieri c’è andata, portando dei ragazzi, ragazzini di cui tutto sommato aveva la responsabilità. Erano andati per manifestare, erano la per partecipare ad un evento che probabilmente avrebbe contribuito a formare la loro coscienza critica e civile. Io non so in che punto del corteo fossero in quei momenti, ma sentendo le voci, in mezzo al parapiglia, tornando a casa e guardando quelle immagini di quella stessa giornata a cui hanno partecipato, io mi chiedo: cosa è che riportano indietro? Forse la sensazione che quel 99% pacifico conta meno di niente rispetto a quell’1% violento? Che tutta la fatica, l’impegno, la coerenza alla fine vengono smantellati in pochi secondi dalla follia retrograda di alcuni balordi? Come si può chiedere a loro un eroico tentativo di appigliarsi alla fiducia in un domani giusto? Perché al di là degli scontri, del velo inevitabilmente caduto sul corteo (quello vero) c’è anche la questione del senso di giustizia, di democrazia che questi ragazzi riportano a casa. Ecco perché penso che la condanna debba essere compatta e perseguita con tutti i mezzi, senza strumentalizzazioni (che già stanno arrivando) per non lasciare che l’ennesima macchia si secchi incrostando ulteriormente questo paese e chi un domani dovrà guidarlo. Ora, in primis le istituzioni e i mezzi di informazione, devono fare lo sforzo di tornare a puntare i riflettori e le attenzioni su quel 99% a viso scoperto, perché siamo ancora qui, con qualcosa da dire e che non c’entra nulla con la violenza, i cappucci e le spranghe.