da qui
Passeggiano sulla riva umida, dividendo l’attenzione fra l’acqua calma del lago, l’oasi alberata, circondata da un muretto in pietra, e la fuga di vigne, grano e cipressi arrampicati alla collina. L’emozione della pesca abbondante dura ancora: stentavano, in quattro, a tirare la rete sulla spiaggia; procedendo a strappi, ridevano e gridavano, neanche fossero bambini. I pesci tra le maglie erano come i sassi levigati sulla rena, un profumo di gratuito e immeritato si spandeva intorno, e l’acqua, la terra, il cielo, rivelavano la loro identità: darsi senza chiedere nulla, offrirsi senza mai riprendersi. Perché, allora, Yaacov, Yoh’anan e Andreas sono preoccupati mentre vedono Yehochoua mangiare fra la gente con le guance rosse, le ascelle sudate, i vuoti in mezzo ai denti, ex detenuti e prostitute, malati di aids? Perché si angosciano, se lo sorprendono accanto ai corpi di neonati morti, ancora col ciucciotto in bocca, o chiedere al soldato la ragione per cui punti il fucile contro la donna uscita per la spesa, o parlare attraverso il filo spinato che divide - cosa? c’è qualcosa che ci può dividere? -, o abbracciare il padre che solleva verso il cielo il cadavere del figlio carbonizzato da una bomba - grida, grida, sfoga il tuo dolore, a volte non è un peccato bestemmiare -, o aiutare gli uomini in camicia bianca a scavalcare il muro, col timore che si tingano di rosso, o asciugare il fiotto sulla fronte del giovane, insieme a una lacrima di rabbia e di dolore, o stringere la mano con la pietra da cui cola sangue misto a fango, o accarezzare i bambini che si affacciano curiosi da una breccia del muro – perché Yaacov, Yoh’anan e Andreas dovrebbero allarmarsi, pensando che Yehochoua si sia troppo sbilanciato, si sia ricoperto della polvere degli ultimi che non si stacca più, nemmeno nella tomba?