Jamestown, Virginia, giugno 1663 Il mese precedente aveva accompagnato il nonno a Jamestown e, fingendosi interessato ai cani da caccia del signor Briggs, Jeremy Hudson aveva ascoltato le chiacchiere di quegli uomini che oziavano davanti al liquore. Dicevano che Sua Maestà Charles II aveva concesso, a un gruppo di otto proprietari terrieri, un'estesa zona di territorio più a sud, denominata Carolina. La lista di nomi comprendeva i personaggi più importanti e potenti della Virginia, e anche se gli Ashton non vi figuravano, Jerry era molto incuriosito dalla novità. Il nonno assentiva, forse disinteressato, ma a lui piaceva tutto quel chiacchierare attorno all’espansione dei territori. Ovviamente a Greenville e nelle piantagioni limitrofe non c’era quel trambusto, ma il signor Merrit, che era l’ultimo arrivato ma sembrava sapere il fatto suo, diceva che per chi restava c’era la possibilità di espandere le proprietà e quadruplicare i guadagni. Qualcuno dissentiva, alzando la voce, forse invidiando quei fortunati che stavano armando navi per spostare la loro vita nei territori ricevuti dal re e colonizzare la nuova terra. Jeremy aveva altri progetti in testa, ma la notizia non fece che confermargli che era il tempo giusto per partire. Il ragazzo immaginava che suo padre avesse motivi più che ragionevoli per non tornare a casa e, siccome viaggiava sul mar dei Caraibi come tutti i mercanti, Jerry aveva pensato che, imbarcandosi anche lui su un mercantile, avrebbe finito col ritrovarlo! La settimana seguente aveva nuovamente accompagnato il nonno in città e, con una scusa, aveva trovato il modo per avventurarsi sui moli, in cerca dell’occasione giusta. La Fortune era stata verniciata di fresco e accanto alla passerella stava un ufficiale in divisa, che registrava tutto ciò che i marinai stavano caricando: -Che vuoi ragazzo?-, lo aveva apostrofato l’uomo. Senza pensarci sopra, Jeremy aveva dichiarato d’aver sedici anni (in realtà erano tredici ma lui era alto) e d’esser pronto a imbarcarsi, perché desiderava diventare marinaio. Per nulla impressionato, l’ufficiale lo aveva mandato alla Taverna del Calderone, dove il capitano Holden beveva assieme alle guardie. Con sicurezza Jerry aveva ripetuto la sua richiesta d’ingaggio. Quelli lo presero in giro, ma lui era ormai convinto a partire, e insistette nonostante lo scherno. Alla fine fu cacciato in malo modo: -Tornatene alla tua chiatta, terraiolo! Manco l’ultimo mozzo è pivello come te!- Un giovane marinaio fuori dalla taverna, però, lo aveva preso in disparte: - Tu te ne vuoi andare da casa, non è vero?-, gli aveva chiesto a bruciapelo. In verità Jerry stava benone a Greenville, ma ormai era una questione di puntiglio, così aveva annuito con decisione. -Il capitano Beckwell parte tra una settimana, non appena lo scarcereranno. Ha bisogno di uomini per un viaggio fino all’Inghilterra, ma non ha soldi in contanti, quindi deve passare prima dalle isole, portare un carico alla Martinica e poi seguire la sua rotta. Se sei disposto a una paga da fame e il saldo una volta in Europa, sono certo che non ti dirà di no. -, gli spiegò il ragazzo, mostrandogli una carta sulla quale appuntava i nomi di tutti i marinai assoldati. Per convincerlo gli indicò persino la Quicksilver, ormeggiata poco distante, un bel mercantile a tre alberi, curato e dall’aspetto solido. Jerry considerò la proposta e, quando un ragazzetto cencioso e più sveglio di lui mise la croce sulla carta che il marinaio gli porgeva, Hudson non si tirò indietro e, afferrata la penna d’oca, firmò in fretta, timoroso di perdere il posto. Quando tornò alla piantagione, confidò a Joshua ciò che aveva fatto, e l’amico gli diede dello sciocco, dicendogli che a quelle condizioni avrebbe finito col pagare lui, il capitano che lo ingaggiava, ma Jerry non volle sentir ragioni e lo convinse ad accompagnarlo in città, il giorno della partenza. Il giovedì, molto prima dell’alba, Jeremy Hudson si alzò. Aveva con sé del denaro, una borsa con un cambio d’abiti, un coltello a serramanico e poco altro. Doveva sbrigarsi, prima che a Greenville si svegliassero i domestici e la cuoca, che una qualsiasi scusa lo trattenesse dal partire, prima che la paura lo immobilizzasse. Lui doveva andare, la nave del capitano Beckwell partiva a mezzogiorno e lui doveva essere su quel mercantile! Prima di uscire, avvolto nel buio, si era soffermato davanti alla porta della mamma, che ancora dormiva. Le aveva mandato un bacio, facendo poi scivolare sotto l’uscio, la lettera di spiegazioni che le aveva scritto il giorno prima. Dal corridoio, udì il russare profondo di nonno Jeremy e lo sbuffare paziente della nonna, e per un attimo il ragazzo accusò un dolore nel petto: era il senso di colpa e il timore di non rivederli più, ma il pensiero di ritrovare il papà era più forte. Senza altri indugi uscì da casa e si diresse alle scuderie, dove Joshua lo aspettava con il cavallo già sellato. Si fronteggiarono quasi con astio. Jerry sapeva che l’amico era contrario a quella fuga e lui ne era infastidito, perché avrebbe voluto da Joshua tutto l’appoggio. I due ragazzi cavalcarono senza scambiarsi parola, entrambi persi nei propri pensieri e raggiunsero Jamestown senza accorgersene, ed era già giorno. Una volta al porto, trovata la Quicksilver ormeggiata, Joshua non riuscì a trattenersi e scoppiò in lacrime come un bambino, stringendo le redini del cavallo come se potessero soffiarglielo da sotto il naso. I marinai in attesa di imbarcarsi ridevano dei due bambocci e Jerry si sentì davvero imbarazzato. A fatica staccò l'amico dal braccio: -Vattene! Torna a casa!- gli intimò sistemando la borsa sulla spalla. Joshua tirò su col naso, asciugando il viso nella manica della camicia, poi riluttante eseguì l’ordine. Jerry finse di sospirare con sollievo, a beneficio dei presenti che li osservavano con scherno, ma dentro di sé aveva un nodo che dallo stomaco gli era salito fino in gola. Un nodo doloroso che gli impediva di deglutire. Fingendo di annodare i legacci della borsa, si volse indietro, facendo in tempo a vedere Joshua svanire fra la folla, solo la lucida groppa al cavallo s’intravedeva sopra le figure in movimento, poi girarono l’angolo e sparirono dalla sua visuale. Jerry si concentrò sul nodo, sperando che le lacrime non scivolassero dalle ciglia: “Arrivederci, amico mio…”, pensò, mentre il cuore gli batteva forte nel petto. "Jamestown at 1650 " copyright by Keith Rocco -1997
Pubblicato da blanca.mackenzie | Commenti Tag: jerry hudson 1649 - 1663Magazine Libri
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