Pubblicato da fabrizio centofanti su gennaio 28, 2012
da qui
- Mi chiamo Peter.
Ha qualcosa di strano, te ne accorgi adesso.
- Lo vediamo insieme?
- Non posso sedere accanto a una donna sconosciuta.
- Perché mai?
Potevi risparmiarti di bere quelle birre.
- Il mio credo non me lo permette.
- Quale credo?
Guardalo bene: come ti è saltato in mente di parlarci?
- Conosce Allah?
Allah? Dalia, in che guaio ti sei ficcata?
- Non lo conosco.
- Questo è il problema.
Problemi? La birra non è il criterio migliore per risolverli. Ne sentirà l’odore, se ti avvicini troppo. Ti porti una mano sulla bocca.
- Ecco, un altro problema.
- Quale?
- L’alcol.
Ti ha beccata.
- Lei non beve mai?
- No.
- Non le sembra esagerato?
Sono domande che si fanno?
- Non è affatto esagerato. Semmai la musica: ecco una cosa esagerata.
Ti allontani un po’, per evitare che ti senta l’alito.
- Allora perché è qui?
- Per dovere: sono un giornalista.
Vattene, Dalia. Pensi sia maleducato salutarlo?
- Non le piace la musica?
- C’è musica e musica.
Perché è così severo? Perché ti senti a disagio, all’improvviso? E’ l’unica cosa che riusciva a confortarti: venire qui, seguire le luci delle stelle, Pulcherrima, Denebola, Alkaid.
- A me piace: è l’unico posto in cui mi trovo bene.
Entrate nello stadio, dimentichi di stare a pochi centimetri da lui. I bagliori ti accecano, i fari ammiccanti di Alphecca, di Nekkar, lo sguardo stralunato di una stella che si chiama Arturo.