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81. Quella cosa assurda

Creato il 11 gennaio 2011 da Fabry2010

81. Quella cosa assurda

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Leopoldo è riuscito a farsi dimettere dall’ospedale, convincendo il dottor Peltre che il suo romanzo prediletto non sarebbe stato snaturato. Comincia ad averne abbastanza del ruolo di personaggio in crisi; vuole tornare a casa, nella periferia anonima della sua borgata, per una birra e due chiacchiere con Calypso, la ragazza dello straccio. Cosa avrà pensato della sua lunga assenza? Ora le pare addirittura bella, per quanto un poco illetterata. Saranno la stanchezza e il logorio dei giorni scorsi, ma non vede l’ora di vederla, di sentirsi amato, considerato da qualcuno. L’esame letterario-esistenziale cui lo ha sottoposto il medico della clinica Geoffroy Saint Hilaire lo ha ridotto al lumicino: com’è possibile vivere dovendo dimostrare di esistere a ogni piè sospinto? Ha bisogno di dimenticare, o forse ricordare quello che lo ha fatto essere se stesso e lo ha reso riconoscibile tra mille, fosse anche davanti a un boccale di Ceres trangugiato al pub vicino casa. Il volo in aereo è una lunga anamnesi che cerca di far luce sul suo passato di lettere, virgole, incipit e finali. Pensa che le parole siano più reali del reale, perché fanno ridere e piangere, commuovere e irritare; lo scrittore è una specie di dio capace di dar vita a un mondo che non potrebbe esistere altrimenti, di risvegliare possibilità nascoste, guarire malati, risuscitare morti; Dio, se esiste, non ha fatto che dare avvio a un racconto, perso nei secoli dei secoli, e ha lasciato che lo proseguissimo noi, ci svegliassimo a ogni alba con la pagina nuova, la scena che cambierà la giornata in peggio o in meglio, troverà sfumature che nessuno avrebbe mai notato, farà nascere un sorriso, spremere una lacrima che aspettava di cadere da millenni, perché di cosa ha bisogno l’uomo se non di un orizzonte che si apra all’improvviso, certificandogli che non è morto, che puo’ ancora farcela a credere in qualcosa, che la sua vita è utile, che è lui, proprio lui, a poter cambiare il mondo? Leopoldo guarda fuori dell’oblò: vede la terra scorrere come un film muto che non si sa quali città sconosciute farà apparire tra un istante, quali mari o fiumi o monti porgerà come simboli dell’alternarsi dei sentimenti umani, così pronti a offrire la felicità eppure sempre ridotti a schemi astratti, ad abitudini ripetitive, a riti che non dicono più nulla, se non la paura che suggerisce di rinunciare alla speranza. Non ha mai amato tanto il suo essere fatto di parole come ora che vola sopra il mondo e sente una parola che lo attraversa tutto, una parola che lo scrittore cerca e cerca e non si dà pace finché non l’ha trovata, ma quando finalmente è lì, ecco che fa sbocciare il riso e il pianto e fa battere una volta ancora quella cosa assurda che si chiama cuore.



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