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“Sono una pulsar, e oltre la coda c’è di più”

Creato il 06 agosto 2011 da Stukhtra

Una rotation powered radio-quieta

di Silvia Fracchia

ResearchBlogging.org
Un oggetto curioso sotto i più svariati punti di vista, che ha goduto delle attenzioni di due celebri osservatori astronomici della NASA: scoperta in banda gamma dal Large Area Telescope (LAT) della missione Fermi, la pulsar PSR J0357 ha poi rivelato, grazie allo strumento Chandra, una prominente coda in banda X, la cui natura non è ancora del tutto chiarita. A svelarci le caratteristiche e le peculiarità di questa singolare pulsar è Andrea De Luca, astronomo dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica (IASF) di Milano e della sezione pavese dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), nonché autore principale dell’articolo pubblicato di recente su “The Astrophysical Journal” e disponibile su arXiv, articolo nel quale sono riportate minuziosamente le osservazioni in banda X effettuate con Chandra.

“Sono una pulsar, e oltre la coda c’è di più”

“Sono una pulsar, e oltre la coda c’è di più”

Immagini della pulsar PSR J0357 ottenute dalla composizione delle osservazioni in banda X e nel visibile (in alto) e dalla sola banda X (in basso). (Cortesia: NASA/CXC/IUSS/A. De Luca et al/DSS)

“Bisogna anzitutto ricordare”, esordisce De Luca, “che questa pulsar è stata scoperta in gamma, il che costituisce una sorta di novità nel panorama dell’astronomia e dell’astrofisica. Infatti le pulsar di questo tipo, ossia quelle rotation powered, sono facilmente osservabili nella banda radio. Ed è proprio in questa banda che sono state scoperte alla fine degli Anni Sessanta, costituendo peraltro la prima evidenza osservativa delle stelle di neutroni, la cui esistenza era stata fino ad allora prevista soltanto teoricamente”. Le pulsar rotation powered sono stelle di neutroni isolate, risultanti dal collasso gravitazionale di una stella di grande massa in seguito a un’esplosione di supernova. Sono oggetti che ruotano vorticosamente sul proprio asse e sono dotate di un campo magnetico molto intenso che, in genere, non è allineato con l’asse di rotazione. “Queste pulsar”, spiega De Luca, “emettono radiazione elettromagnetica su tutto lo spettro, che va dalle onde radio ai raggi gamma di alta energia, a spese della loro energia rotazionale: è proprio la rotazione del campo magnetico il motore che sta alla base dell’emissione”.

Ma che cosa vuol dire esattamente “scoprire una pulsar”? “Significa intercettare un segnale periodico proveniente dalla direzione del cielo lungo la quale la pulsar si trova rispetto a noi che la osserviamo”, risponde l’astrofisico. E continua: “Per fare questo lavoro nella banda gamma è necessario avere uno strumento in grado di raccogliere un sufficiente numero di fotoni gamma e di determinarne con precisione il tempo di arrivo e l’energia e la direzione di provenienza, in modo tale da permetterci poi di cercare un segnale pulsato ed eventualmente di trovarlo. Tutto ciò è stato possibile, per la prima volta, con la missione Fermi, che finora ha permesso di scoprire circa una trentina di nuove pulsar, in precedenza sconosciute, semplicemente analizzando il segnale gamma proveniente da queste sorgenti”.

La scoperta di PSR J0357 nella banda gamma è già di per sé un fatto che la rende molto interessante. Ma le particolarità non si esauriscono qui: ci troviamo infatti di fronte, cosa piuttosto insolita, a una pulsar radio-quieta. “Ciò significa”, prosegue De Luca, “che osservando nella direzione della sorgente con un radiotelescopio non si rivela alcun segnale pulsato, al contrario di quello che accade con quasi tutte le altre pulsar rotation powered“. Il motivo della mancata emissione radio di queste stelle di neutroni non è del tutto chiaro. Una possibile spiegazione è legata all’orientazione del cono di emissione radio che, in questi casi, non intercetterebbe la nostra linea di vista. “E’ come un radiofaro che non punta mai verso la Terra”, precisa l’astrofisico, “mentre l’emissione gamma, che pure è una sorta di faro cosmico, avviene probabilmente su un pattern diverso, forse più ampio, che per questa sorgente intercetta la linea di vista, facendo sì che noi la vediamo pulsare in gamma ma non in radio”.

Un’altra peculiarità di PSR J0357 è il suo tasso di perdita di energia rotazionale. Le pulsar che emettono in gamma sono solite dissipare la propria energia rotazionale, il vero e proprio serbatoio di queste sorgenti, con un tasso molto elevato. “Tanto per fare un esempio”, specifica De Luca, “la pulsar che sta nella Nebulosa del Granchio, una delle sorgenti gamma più brillanti del cielo, perde energia rotazionale con un tasso pari a circa un milione di volte la potenza del nostro Sole. Quest’energia viene dissipata nell’accelerazione di particelle (ad opera del campo magnetico rotante) che danno poi luogo all’emissione di radiazione elettromagnetica, principalmente nella banda gamma. Nel caso di PSR J0357, la perdita di energia rotazionale, o in altre parole il serbatoio di potenza, è piccolissima”. Ma in che modo gli astronomi sono in grado di stimare questa perdita? “Semplicemente attraverso la misura del periodo di pulsazione e della sua derivata“, spiega De Luca, “una volta assunto un momento d’inerzia per questi oggetti. Noti il periodo e la derivata del periodo della pulsar, noi stimiamo la sua perdita di energia rotazionale che, in questo caso, è talmente piccola da permetterci di affermare che il suo motore è il meno potente tra tutte le pulsar gamma note”. E dalla possibilità di rivelare una sorgente così poco potente si deduce che essa è molto vicina. A partire dal flusso misurato in banda gamma, possiamo valutare una distanza di circa 500 parsec (1.630 anni-luce) o meno.

Riassumendo, abbiamo una pulsar radio quieta che emette in gamma ed è potenzialmente molto vicina. Quest’oggetto è senza dubbio incredibilmente interessante ed è proprio per questo motivo che De Luca e i suoi colleghi sono andati a cercarlo nella banda X. “Dalle osservazioni in banda X”, spiega l’astrofisico, “ci si aspetta di ottenere delle informazioni complementari rispetto a quelle date da osservazioni in altre bande, permettendoci di vedere dei fenomeni che altrimenti non sarebbero noti. In questa banda di energia, infatti, le pulsar non emettono solo per i fenomeni legati alla rotazione del campo magnetico, ossia l’emissione cosiddetta non termica, ma emettono anche, ad esempio, la radiazione termica dalla superficie. Ci saremmo aspettati di vedere un tale tipo di emissione per questa sorgente… e invece non ne abbiamo rivelata, il che rappresenta un’ulteriore stranezza di quest’oggetto”.

Un altro aspetto fondamentale di questo studio riguarda l’identificazione della sorgente: infatti l’informazione sulla posizione della pulsar data dall’osservazione in banda gamma non era estremamente precisa. De Luca e colleghi hanno allora escogitato un modo per trovare la controparte X della sorgente: “Ci siamo preoccupati di fare osservazioni ottiche collegate a quelle in banda X”, chiarisce lo studioso dello IASF, “per poter confrontare l’immagine X fatta con Chandra con le osservazioni nel visibile e riconoscere, se presente, una stella di neutroni isolata nella regione di errore data dall’osservazione gamma come sorgente X senza una controparte ottica”.

La grande fama guadagnata nell’ultimo periodo da questa pulsar è però dovuta senza ombra di dubbio alla presenza di una coda, messa in evidenza dalle immagini di Chandra. Una coda davvero molto lunga: se la pulsar si trova davvero a 1.630 anni-luce, allora la struttura dovrebbe estendersi per circa 4 anni-luce. La sua interpretazione non è banale e gli astrofisici non hanno ancora trovato una spiegazione soddisfacente. “Questa coda ha dato origine, in effetti, a diversi problemi interpretativi”, dice a questo proposito De Luca. Che prosegue: “Esempi di code associate a pulsar rotation powered erano già state osservate in passato ed erano state tutte interpretate in un unico scenario, che è quello delle cosiddette bow shock nebulae. Si tratta di interpretare il fenomeno in questo modo: la pulsar accelera le particelle cariche, tipicamente elettroni, che formano un vero e proprio vento che si espande, per così dire, tutto assieme verso l’esterno. La pulsar, di per sé, si muove nel mezzo interstellare e, per effetto di un’asimmetria nel processo di supernova in cui è nata, si trova ad avere una velocità spaziale dell’ordine di diverse centinaia di chilometri al secondo, il che la rende un oggetto supersonico nel mezzo interstellare. L’interazione del vento della pulsar con quest’ultimo avviene con la formazione di un’onda d’urto a causa della sua velocità supersonica, e ciò dà origine a una serie di fenomeni che portano, alla fine, all’emissione di radiazione di sincrotrone tipicamente visibile nelle bande X e radio. La radiazione emessa assume una forma che potremmo definire a proiettile, con una coda molto lunga nella direzione opposta al moto della sorgente: ciò è dovuto al fatto che le particelle accelerate dall’interazione di shock con il mezzo interstellare restano intrappolate nella cavità che la pulsar stessa ha scavato nel mezzo con il proprio moto. In un simile scenario, di solito, queste code sono molto brillanti alla punta, dove si trova la pulsar e dove sono più intensi il vento di particelle e il campo magnetico nella regione shockata del mezzo interstellare, mentre diventano più tenui alla coda, dove le particelle perdono energia e l’emissione X diventa sempre meno intensa a mano a mano che ci si allontana. In questo caso però il comportamento è esattamente opposto, ossia la coda in apparenza aumenta la propria luminosità più ci si allontana dalla pulsar, e ciò non è semplice da spiegare”.

Un altro problema con l’interpretazione della coda come bow shock è legato alla bassa perdita di energia rotazionale. Le teorie standard prevedono, a detta di De Luca, un’energia massima delle particelle che la pulsar può accelerare, e quest’energia non dovrebbe essere neppure sufficiente a spiegare l’emissione X della coda. “Bisogna quindi postulare qualche meccanismo strano”, spiega l’astrofisico, “che acceleri le particelle a energie sufficienti per emettere luce di sincrotrone nella banda X. Un simile meccanismo non è presente nelle teorie attuali, sufficienti per spiegare situazioni analoghe in altre stelle di neutroni, e dovrà essere in qualche modo inventato”.

Conclude De Luca: “Potremo capire qualcosa di più se riusciremo a misurare, sempre con Chandra, il moto proprio di questa sorgente, ovvero la velocità angolare con la quale si sposta in cielo. Se verificassimo che lo spostamento della pulsar avviene in direzione opposta alla coda, lo scenario bow shock nebula verrebbe in qualche modo confermato. Sarebbe un punto fermo da cui partire per spiegare la stranezza di quest’enorme struttura. Abbiamo chiesto e ottenuto le osservazioni necessarie per tentare questa misura, ma dobbiamo avere pazienza: per dare tempo alla sorgente di spostarsi apprezzabilmente sul piano del cielo, i nuovi dati verranno raccolti nel 2012 e nel 2014″.

A. De Luca, M. Marelli, R. P. Mignani, P. A. Caraveo, W. Hummel, S. Collins, A. Shearer, P. M. Saz Parkinson, A. Belfiore, & G. F. Bignami (2011). Discovery of a faint X-ray counterpart and of a parsec-long X-ray tail
for the middle-aged, gamma-ray only pulsar PSR J0357+3205 The Astrophysical Journal arXiv: 1102.3278v1


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