Che cos’è, quest’abitudine generalizzata, e sempre più diffusa, di gridare sempre come pescivendoli ai mercati o politicanti ospiti a Ballarò?
Non so se sono io che, facendomi ogni giorno più vecchiotto e avendo sempre meno voglia di isolarmi dal mondo indossando gli auricolari dell’i-pod, sto diventando intollerante ai discorsi altrui nei luoghi pubblici o se, effettivamente, sopraffatti come siamo da un gran bailamme di urla a vuoto, alzare il volume del nostro chiacchiericcio è diventato l’unico modo che la gente ha per farsi ascoltare.
Sta di fatto che treni, autobus, aerei, marciapiedi e tutti quei luoghi non certo deputati al silenzio, ma neanche all’urlo, sono diventati una specie di Piazza Affari Propri in cui chiunque, parlando nei telefoni cellulari o alla persona a suo fianco (e, spesso, a entrambi contemporaneamente) sbraita a livello assordante sciorinando dettagli della sua vita privata.
Quand’ero al liceo, una professoressa particolarmente stimolante e valida mi aveva insegnato come, quasi sempre, le persone colte, mature, risolte o, più semplicemente “adulte” nel vero senso della parola, si riconoscano per la loro capacità di non agitarsi, di rimanere pacate, di mantenere un alto autocontrollo anche nelle situazioni più complesse, e di saper trasmettere forza e convinzione anche parlando come se ti stessero dettando la ricetta della torta di mele.
Sarà per questo che, ogni volta in cui, nel mio scompartimento dell’Intercity, sono seduto accanto a qualcuno che rigurgita parole a volume da concerto rock, non posso fare a meno di sentire una puzza di QI da gabbia dei rinoceronti, e un’insicurezza abissale celata dietro la maschera della prevaricazione dell’altro.
Insomma, se proprio volete comportarvi da arroganti con me, e dimostrarmi la vostra potenza, fatelo a voce bassa. Guadagnandovi la mia stima e la mia ammirazione, raggiungerete molto meglio il vostro scopo di farmi sentire quanto siete forti.