Da quando tre anni venne uccisa Eluana Englaro tante verità sono emerse. Pochi giorni fa si è celebrata la II° Giornata nazionale degli stati vegetativi, istituita dalle associazioni delle famiglie con parenti in stato vegetativo e con disabilità gravissime, svoltasi proprio lo stesso giorno di morte di Eluana (dopo essere stata lasciata morire di fame e di sete, soffrendo, come ha spiegato il dott. Giuliano Dolce, Primario e direttore dell’Istituto Sant’Anna di Crotone, che la visitò e come descrisse dettagliatamente l’inviata del “Corriere della Sera” quel giorno). Vediamo qual’è il punto della situazione.
RICERCA SCIENTIFICA
Da quel giorno la ricerca scientifica pare avere accelerato fortemente il suo corso, al punto che la comunità internazionale dei neurologi è arrivata a proporre di annullare la definizione stessa di stati vegetativi, preferendo parlare invece di veglia a-relazionale, cioè malati svegli e coscienti che non riescono a relazionare con l’esterno (anche se oggi possono farlo con un caschetto apposito -chiamato “Elu1″ in memoria di Eluana- progettato al Centro don Orione di Bergamo e acquistabile con 90 euro, vedi anche qui), ma sono coscienti in larga parte, possono addirittura apprendere e imparare e hanno movimenti volontari. Si è anche arrivare a scoprire che il 40% delle diagnosi di stato vegetativo sono sbagliate. In questi giorni la dott.ssa Matilde Leonardi, direttore scientifico del “Coma Research Centre” dell’istituto Besta di Milano ha affermato che: «Non dobbiamo chiederci “Che cosa vorresti tu se capitasse a me”. La domanda vera è: “Che cosa dobbiamo fare noi, come società, quando ci troviamo davanti a persone in queste condizioni”. È sbagliato anche porre la questione in termini di “diritto alla vita” o “diritto alla morte” perché non stiamo parlando di malati terminali [...] Tra l’accanimento terapeutico, che riguarda tutti quei trattamenti sproporzionati alla situazione clinica del paziente che recano più danni che benefici alla persona, e l’abbandono – vogliamo chiamarlo con il vero nome, eutanasia? -, che non è previsto in Italia, che provoca direttamente e volontariamente la morte di un malato grave, si inserisce la posizione della “perseveranza terapeutica”. Una modalità con la quale ci si prende cura dei pazienti, anche gravi, in modo che possano godere di trattamenti adeguati alla loro situazione». Il dott. Louis Puybasset, invece – direttore da 12 anni il reparto di rianimazione dell’ospedale parigino Pitié-Salpêtrière-, nel suo libro “Eutanasia, il dibattito troncato” recentemente pubblicato in Francia sottolinea come i cittadini non abbiano gli strumenti adatti per affrontare certe tematiche nella giusta prospettiva a causa della «confusione che regna, nell’emotività che si accompagna ad ogni caso, alla non conoscenza della verità in gioco e, soprattutto alla non conoscenza della legge stessa». Sopratutto, anche a causa della militanza dei promotori della morte nei media, non si capisce che «non è l’eutanasia l’alternativa all’accanimento terapeutico, la vera alternativa sono le cure palliative, ma questo, chi lo sa?». La dignità, continua lo specialista, è «l’argomento più utilizzato dai sostenitori dell’eutanasia. Ma l’idea che un essere umano possa perdere la propria dignità perché è fragile, malato, vecchio e perché vive in una situazione di estrema dipendenza, è semplicemente un’idea intollerabile dal punto di vista medico. Non solo, ma è anche pericoloso: ci vuole poco a suscitare la sensazione che qualcuno non sia più “degno” in una società divorata dall’efficienza, dal giovanilismo, dalla spettacolarizzazione», come accade nei Paesi in cui è stata legalizzata, come in Olanda, dove anche chi soffre di solitudine può oggi chiedere l’eutanasia. Tutte conquiste mediche, comunque, puntualmente ignorate e respinte dai promotori della morte (quella “dolce”, come la chiamano loro), che hanno il loro guru in Beppino Englaro (il tizio che diceva “Quando Eluana sarà morta, tacerò”, e oggi va nelle scuole a promuovere l’eutanasia): Radicali, l’Associazione Coscioni, i bioetici del gruppo di Maurizio Mori ecc.
SONDAGGI E APPROVAZIONE
Tommaso Scandroglio ha mostrato su “La Bussola Quotidiana”, quanto “il popolo sia bue“, ovvero muti il suo giudizio a seconda della spinta che riceve dai media, e la vicenda di Eluana è stata creata apposta per essere mediatica. I recenti sondaggi mostrano che laddove tira il vento dell’attenzione massmediatica, lì ci sarà anche il favore dell’italiano medio. Il picco massimo di giudizi favorevoli al testamento biologico si è registrato esattamente tre anni fa, quando Eluana Englaro morì: 81,4% era la percentuale di italiani che consideravano Dat, testamento biologico e documenti simili come strumenti molto utili. Già dall’anno seguente la percentuale era in declino, perché parallelamente scivolava verso il basso anche la pressione massmediatica a senso unico su questo tema. Oggi siamo appunto al 65%, solo un anno fa eravamo al 77,25%. Stessa cosa dicasi per l’eutanasia: al momento attuale solo la metà del popolo italico parrebbe benedire la dolce morte, ma nel 2006 quando il caso Welby era rovente il giudizio favorevole era espresso ben dal 74% delle persone intervistate. Si è anche notato che le domande fatte agli intervistati contenevano appositi “addolcimenti” sui termini, adatti per influenzare le risposte. Infatti, la domanda sul “suicidio assistito“, che non può essere chiamato in modo più “leggero”, vede oggi il 72% dei contrari. I dati provengono tutti da Eurispes. Tutto pare dunque essere basato sull’emozione del momento, con il tempo e il calo dell’attenzione mediatica il giudizio si rasserena, diventa più freddo e dunque più ragionevole. La percentuale più alta di oppositori si riscontra, come per il caso dell’aborto, nella classe medica, ben poco influenzabile dai quotidiani. Nel Regno Unito, uno dei Paesi di continuo riferimento per il partito radicale, si parla oggi dell’80% di medici contrari a eutanasia e suicidio assistito, con picchi negli specialisti in medicina palliativa, proprio a conferma delle parole del dott. Puybasset riportate qui sopra.
FALSITA’ E MISTIFICAZIONI VARIE E “RADICALI”
Tuttavia, come ha notato Francesco Agnoli, la vita di Eluana (anzi, la sua eliminazione) è stato usata come grimaldello per l’apertura delle porte al diluvio di suicidi assistiti nel nostro paese. Fatta la breccia avrebbe seguito la rottura della diga. Eppure non è cambiato nulla, «i malati desiderano vivere e i loro cari vogliono dimostrare sino all’ultimo il loro amore». Alla faccia del numero incredibile di eutanasie “clandestine” (è lo stesso trucco, la stessa parola usata per legalizzare divorzio e aborto) che sarebbero emerse alla luce del sole, secondo i radicali, dopo Eluana. Giuliano Guzzo ha invece voluto rilevare alcune mistificazioni create attorno ad Eluana:
1) Non è vero che venne visitata da molti medici, ma venne fatta una sola perizia, quella del professor Carlo Alberto Defanti incaricato dal padre di Eluana. Tuttavia venne vista, come già detto, anche dal dott. Dolce, il quale registrò che, oltre ad aver ripreso, negli ultimi tempi, un regolare ciclo mestruale, Eluana era in grado di deglutire autonomamente, di variare il ritmo respiratorio a seconda degli argomenti trattati vicino a lei. Non soffriva in alcun modo e la sua salute non era in pericolo. Tutti elementi puntualmente trascurati dai pronunciamenti giudiziari, nei quali compare invece la sola (e datata) perizia di Defanti. Roberto Saviano, senza mai aver visto Eluana, arrivò a scrivere che Eluana aveva il «viso deformato, le orecchie divenute callose e la bava che cola, un corpo senza espressione e senza capelli». La giornalista Lucia Bellaspiga, che la vide due volte e fu l’ultima giornalista a farle visita, la descrisse così: «Eluana è invecchiata poco, è rimasta ragazza davvero, anche nella realtà, non solo in quella congelata dalle foto […] i lineamenti sono poco diversi da prima, non peggiori o migliori, diversi [...] dal suo sguardo capisci che è una disabile, a occhi chiusi potrebbe essere la persona più sana del mondo […] il volto è rilassato, pieno, normale, non abbruttito».
2) La Corte d’Appello di Milano che decise sulla sospensione del nutrimento di Eluana, dopo che per sei volte i magistrati negarono al tutore di Eluana il permesso di anticiparne la morte (guarda caso si disse di “si” proprio quando la vicenda comparì sui media) si basò sull’irreversibilità dello stato vegetativo, concetto oggi ampiamente superato dalla letteratura scientifica (ma anche allora venne riconosciuto dal presidente dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani) e sconfessato dall’esperienza di numerosi “risvegli”, e si basò su una ricostruzione “indiretta” della volontà terapeutiche di Eluana attraverso il suo «stile di vita», collocandosi in netto contrasto con altri pronunciamenti coevi della Suprema Corte, la quale sottolineò (qui e qui) la necessità di «una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa, dalla quale inequivocabilmente emerga detta volontà».
3) Da parte di Eluana non ci fu mai una dichiarazione precisa, tant’è che la stessa Corte d’Appello di Milano ha messo nero su bianco come sia stato il Beppino Englaro, e non Eluana, a richiedere la sua morte: «La. S.C. non ha ritenuto che fosse indispensabile la diretta ricostruzione di una sorta di testamento biologico effettuale di Eluana, contenente le sue precise dichiarazioni di trattamento […] ma che fosse necessario e sufficiente accertare che la richiesta di interruzione di trattamento formulata dal padre in veste di tutore riflettesse gli orientamenti di vita della figlia».
Beppino Englaro, ricorda ancora Agnoli, si è battuto quasi 17 anni, cioè sin dal principio della disgrazia, per ottenere di poter lasciar morire sua figlia; 17 anni in cui Eluana è stata servita e accudita con amore, non da lui, ma dalle suore misericordine; in quei 17 anni, Eluana non ha sofferto affatto, mentre è morta sola e sofferente «in una lenta agonia che ha devastato l’organismo», come scrissero 25 tra i neurologi italiani contrari all’esecuzione. Ma a nessuno interessa più, giustizia è fatta: Eluana doveva morire ed è morta.