Magazine Diario personale
“AGONIA DI UNA FATA E ALTRI SFACELI” – tre altri maledetti giorni di quel maledetto 2003.
Creato il 14 dicembre 2011 da Zioscriba“Io sono come una rana in uno stagno asciutto”.
(MaitU I, 4)
2 giugno (lunedì)
Bellissima mattina.
In cucina, beviamo insieme un caffè, parliamo di libri (le faccio vedere una doppia recensione allettante) giochiamo una partita (la prima nostra) a cinquecentouno. Lo trova un gioco divertente.
Stanotte ho dimenticato il telefonino in sala, acceso. Fortuna che non ci sono stati squilli pubblicitari o di coglioni sbaglianumero. Sto andando un po’ via di testa.
La Lidia si sistema fuori, sul dondolo all’ombra, con una sedia per alzare le gambe, i cuscini, un bicchiere di tè, il suo libro.
Telefona col cellulare a T. per dire che ha giocato e vinto a quel nuovo gioco che ci ha insegnato lui: è tutto contento. Dopo le porto la felpa grigia perché c’è fin troppo venticello. Pagherei miliardi per altre mattine così tanto serene. La vedo leggere rilassata, tranquilla, seduta sul dondolo. Mi ricorda quando ascoltava il walkman, convalescente (lei, non il walkman) dal laser alla rétina. Soltanto due anni fa.
Arrivano Simona e frugoli. Invento un gioco con la palla da tirare dentro un portavasi di plastica, che tengo fra le mani trasformandomi in canestro vivente, una specie di babybasket molto baby, ci divertiamo.
Mangiamo, a pranzo, riso in insalata fatto in società, e delle ciliegie.
Si riparla di quanto è stata assurda sua madre – e assente suo padre (peggio della favola di Cenerentola) negandole perfino la possibilità (questa non la sapevo ancora) di frequentare le scuole serali quando faceva la baby schiava in sartoria!
Chiede del cotone con qualche goccia di acqua di rose perché dice, piangendo, che gli odori la torturano. In compenso, gustose ghignate per il libro che “è tornato dentro con le zampette” (suo marito Piermetapòst). Poi deve andare un po’ a letto.
Scrivo una lettera per conto di mio fratello. Adesso si mette a darmi problemi pure la stampante. Ma quanto le odio, le stampanti?
La lavanda è diventata stupenda. Era una minuscola piantina comprata al supermarket, di quelle che di solito durano due giorni, è diventata un cespuglio rigoglioso. Quell’angolo di guardino è il suo posto ideale.
Pomeriggio ancora fuori sul dondolo. Telefona il dottore per informarsi sulla prima visita oncologica, e resta interdetto per l’appuntamento del giorno 11. Insiste col consiglio di andare domani per averlo prima col dannato bollino verde. (Bisogna però sentire anche la L., che pasticcio!) Poi dice senza febbre alta sospendere il cortisonico, cosa che si rivelerà una colossale boiata. Il resto va bene.
Si parla un po’ lì alla rete coi P. Per la prima volta vedo lui sorridente appoggiarsi alla moglie. Ce l’ha ancora con le stramaledette lumache mangiatageti. Dice che se riescono a fiorire a quel punto sono salvi e si difendono da soli, perché il fiore puzza.
Stiamo tutti in giardino in attesa del temporale.
Farà solo due gocce.
Dopo cena scrivo un po’. Poi dovremmo vedere Uomini e topi. Sembra che l’idea di mettere il televisorino e il vhs in camera le vada.
Per stanotte, quando veglierò in gran segreto, terrò sulla scrivania vecchia solo un bicchier d’acqua, una candela, i testi Vedici, libri, appunti e l’articolo su Raimon Panikkar con la sua foto. Spero che per leggere, sussurrare le parole che ho scelto per Lei basti la luce della candela. Coprirò le cifre luminose dell’orologio.
Vengono Alberto e Marta. Chiama la L. Spiega che il giorno 11 era il primo buco per emergenze col dottor B. Cinque giorni prima c’era il dottor M., che sconsiglia sul piano umano avendolo avuto il suo defunto suocero: pare sia uno che ti tratta male, che non ti risponde se gli fai una domanda, che ti deprime. Il fattore umano è importante, decisivo, visto che quello sarà poi il medico che ti segue per tutto il tempo. La mamma è d’accordissimo. Comunque, domani prova a vedere se si può anticipare anche con B., poi ci telefona.
3 giugno
Apprendo di una notte di dolori e insonnia.
Le faccio bere la “pozione magica” senza dirle di cosa si tratta.
“Perché mi dai quest’acqua?”.
Papà in farmacia-coop-farmacia (sembra tarantolato, poi vuole reinformarmi su tutto, So già, dico, Non mi angustiare.)
Compriamo il contramal.
Telefono al dottore per sapere tempi e modi di somministrazione, lunga telefonata, non chiede più dell’oncologo e io non gliene parlo.
Sfumano 380 euro per colpa del maledetto Helsingborg. Colpa mia. Avevo azzeccato due pareggi spagnoli, quello del Varese, il primo tempo dell’Atalanta, un paio di Finlandesi facili. Ero stato praticamente un genio. Che bisogno c’era di aggiungere questa merdina quotata 1.20? Perché sembrava una vittoria scontata, per arrotondare! E invece mi va a finire 0-4. Così assurdo che per tutto il giorno lo vado a ricontrollare, sperando in un errore del televideo.
Mentre telefono al dottore, la mamma trova un quadrifoglio sotto il dondolo. Buon segno, o ci si prende anche per il culo?! Io in compenso mi ritrovo, in camera, una vespa sul collo, meno male che non mi punge. Poi la mamma si mette a rompere di brutto per i pavimenti sporchi, e io non ci capisco più niente.
Contrordine: telefona la L., appuntamento domani alle 15, però con M. Non per fare la volpe e l’uva, ma mi sento sollevato. Una settimana poteva essere troppo decisiva! E poi il lato umano è così soggettivo… magari la mamma si sarebbe trovata peggio con l’altro. Oggi andrò dalla L. per riprendere il nostro materiale.
Incredibile: sarà la prima volta che andrò a casa di questa mia cugina, inseparabile compagna di giochi nei primi anni della mia vita (era quella da cui le suore volevano separarmi nel cortile dell’asilo, i maschi di qua, le femmine di là, schifose arpie).
Mentre sono fuori a fumarmi una sigaretta, telefona, per interessarsi alla mamma, la dottoressa Z.! È davvero un’ottima cosa, e la Lidia ne viene molto rincuorata. (Ha confessato sia a lei adesso che alla L. prima tutta la sua paura. Paura cui si aggiungeva l’ansia per l’attesa: è davvero molto meglio che si cominci subito, domani).
Chiamerà anche la parrucchiera per una messa in piega domattina. Vogliano gli Dèi che sia tutt’altro che l’ultima.
Oggi Marta e Alice (aspettando il pulmino parlo con C. dei miei progressi culinari). Giochiamo e merendiamo. Poi il marròfolo fa un bel disegno, due fiori, per la nonna, e li ritaglia. Quando la nonna si alza, l’aiuta a sbucciare i fagioli. Do alla Lidia il numero della S., ma non la trova (faccio un po’ da agente telefonico, sollecitandola a parlare con quelle persone che le farebbe bene sentire).
Poco dopo le sei vado dalla cugina L. Trovo quasi subito. La casa è in una posizione bellissima, le tre bambine adorabili (non le avrei mai riconosciute). Hanno un bel cane, un coniglio, un acquario con pesciolini piccolissimi, e due mini pesci rossi hanno fatto pure un piccolo, microscopico. Le dico di venirci a trovare con le bambine, qualche giorno.
Dopo aver cenato papà va a coprire un buco di qualche minuto con le nipotine. Io esco ad annaffiare, e nonno e bambine mi guardano dal finestrone lassù. Partono saluti e scariche di baci. L’Alice si sbraccia, la Marta manda più che altro i bacini.
Quest’anno il nostro giardino pare magico: oltre alla zucca spuntata da sola non si sa come, alla lavanda, e alla piccola felce, adesso vicino alla siepe abbiamo pure le fragoline matte.
Mi fumo un sigarillo alla vaniglia sul dondolo, poi entro a dare un’occhiata a Italia-Irlanda del Nord già cominciata (frega un cazzo).
4 giugno
La mattina presto piove a dirotto. Stanotte ha dormito benissimo. In compenso, ha appena vomitato. Teme di aver rigettato gli antidolorifici prima di assimilarli. Vomitare pochi giorni prima della prima chemio. Non è un buon segnale. Non è incoraggiante.
Dopo colazione, mio padre viene a informarmi. Con gentilezza gli rispiego che appena mi alzo chiedo sempre alla mamma, e che dirmi le cose due volte serve solo ad angosciarmi. Ma so già che domani sarà di nuovo così: sono uno che quando parla non viene ascoltato.
È sempre stato un padre ossessivo, maniacale, opprimente, pignolo, meticoloso, assente dal reparto “giochi e divertimenti” e presentissimo nel reparto “raccogli subito quella cosa che è andata per terra e mettila al suo posto”. Mai violento, però iracondo sì. Una volta, da piccolissimo, restai impressionato da una sua scenata bestemmiosa, ne chiesi il motivo alla mamma, e lei mi spiegò che papà aveva rotto una bottiglia di birra. La sera dopo, altra scenata per chissà quale altra sciocchezza, e io che collegandola al precedente della birra rotta chiedevo: “Oto bìa, papà?”.
Alle dieci vado a portare la mamma dalla parrucchiera. Appena sul rettilineo (sono già sui sessanta, non sto intralciando), arriva un’autobotte a duecento all’ora. Il prepotente che la guida mi alza i fari più volte. Suona. Allora io rallento apposta, tipo safety-car. Quello si sbraccia, si agita, si contorce, di continuo alza i fari e strombazza, impazzisce, m’insulta, mi spaventa la mamma. Rallento ancora di più, abbasso il finestrino e gli faccio tutti i gesti che merita, gridando “Schiavo di merda, spezza le catene!” (forse la spavento più io, la mamma…)
Poi, quando giro al rondò, accelero e gli faccio ciao ciao.
Se potesse, lui mi ammazzerebbe. Roba da matti. Peggio di Duel.
Meravigliose le rose davanti alla parrucchiera. Non piove più, ma quando la mamma scende le porgo l’ombrellino. Al mio ritorno a casa, all’incrocio qui sotto, l’Alberto e papà stanno giusto uscendo, stanno tentando con pazienza di uscire, verso Varese, per andare a comprare i materassi nuovi.
Vado a riprenderla. Ripiove. Dolcemente.
Coi capelli corti sembra quarantacinquenne. E sana.
Il ragazzo accoltellato l’altra notte a Varese per aver chiesto una sigaretta era un compagno di scuola del figlio della parrucchiera. Viviamo in una piccola giungla di merda.
In sala, lunga chiacchierata sulla vita e sulla morte, e sulle mentalità un po’ di cacca (papà che la riprendeva se ci baciava da piccoli, dicendo cattiverie sulla mamma dell’A., zimbello del parentame perché troppo affettuosa, lui che adesso si attacca alle nipotine per sbaciucchiarle come uno sturalavandino di gomma. Ma forse è solo coi maschi, che non andava bene?)
Le dico quel mio struggente pensiero dell’altro giorno in giardino, di come dopo la sua morte, sperando sia tra vent’anni, ogni volta che succederà qualcosa di bello, di strano, di curioso, mi verrà l’impulso di dirlo a lei (ad esempio, un’ormai inaspettata fioritura della tulipifera).
Lei mi risponde Me lo potrai dire lo stesso.
I materassi li consegneranno venerdì. L’Alberto riferisce un’idea della Simona: per quando farà più caldo e lei sarà a casa dal lavoro, cioè dalla prossima settimana, ci offrono la loro macchina che ha il climatizzatore, per andare a Varese. Pensiero davvero gentile.
Preparo zucchine con lo scalogno.
Varese. Ospedale di Circolo. Padiglione di oncologia.
Dopo la visita, la mamma è enormemente sollevata. L’impressione del dottore è ottima. Molto giovane, della mia statura, persona carina, gentile e rassicurante. Tornati a casa, lei ancora dubita che sia “quel” M. Proprio vero, mai fidarsi quando qualcuno ti parla male di qualcun altro. Sollevata anche per quello che lui dice: nuovo tipo di chemio che non fa vomitare e non fa perdere i capelli. Anche lui ha visionato i chili di scartoffie che mi son portato dietro, e che alla fine non riuscivo quasi più a rimettere in ordine, anche lui conferma le cose dette dalla Z., di cui ha letto attentamente la lettera (ripeto, gentilissimo, come la sua assistente che trascrive l’anamnesi al computer): obiettivo far regredire il tumore, o al peggio arrestarlo com’è [patetica bugia, questo devo aggiungerlo, ma allora me la bevvi: mi attaccai al fatto che in sala d’attesa si vedevano donne molto anziane che col tumore – evidentemente di tipo diverso – ci “convivevano” da anni e anni.]. La chemio sarà una volta alla settimana per tre settimane, poi una di riposo, poi di nuovo.
Ad agosto, rifare tac o eco ed esami del sangue per vedere l’evolversi della situazione. (Esami del sangue, per averli recenti, da rifare anche adesso, scrive la richiesta, andremo domani a Cittiglio).
Utilissimo il foglietto che ho preparato con tutte le medicine che prende la mamma: per la trombosi fraxiparina due iniezioni, per la pressione combisartan una compressa, per il dolore tora-dol dieci gocce tre o quattro volte e contramal due capsule, per lo stomaco omeprazen due capsule e peridon una compressa, per la febbre soldesam sedici gocce (cortisonico), per la tosse levo tuss venti gocce due volte. Le danno già un cartoncino coi primi tre appuntamenti: venerdì 13 alle 12.15, venerdì 20 alle 8.30, venerdì 27 non ricordo a che ora.
Uscendo, lei mi aspetta su una panchina, perché entrando abbiamo dovuto camminare per l’impossibilità di parcheggiare vicino, e adesso è troppo stanca per rifarlo. Un vero manicomio, viabilità e parcheggi lì dentro. Oltretutto fa un caldo pazzesco.
L’unica cosa che mi ha lasciato perplesso è stata la povertà dell’anamnesi.
A parte le solite domande su ereditarietà e precedenti patologie, l’anamnesi di un malato di tumore al pancreas praticamente si limita a questo: Fuma? No. Ma in passato fumava? Sì.
Basterà per includere anche la mamma nella disonesta e facilona e superficiale statistica degli assassinati dalla sigaretta?
Nessuno le chiede se la sua vita è o è stata stressante, quanti gas di scarico di automobili respira, se ha sofferto di depressione, se vive vicino a cementifici o fabbricacce inquinanti, non le chiedono le abitudini alimentari, se faceva uso di dolcificanti chimici, quali carni mangiava, se esagerava con patatine o dolciumi o grassi animali, non le chiedono quanti rifiuti radioattivi siano stoccati nella vicina Ispra, all’azione di quali campi magnetici sia stata sottoposta, o quante decine di aerei le caghino in testa ogni giorno nell’avvicinarsi alla fottuta Malpensa.
Al parcheggio, trovo sotto il tergilunotto un altro opuscolo di finanziaria. Era già successo a Cittiglio, ma si trattava di un’organizzazione diversa. Sanno bene, i maiali, che in un ospedale si può trovare un sacco di gente disperata, che ha bisogno di soldi subito per pagare interventi o medicine o ricoveri in cliniche private. Sottouomini spregevoli, gli usurai, anche se legalizzati.
Strozza lo strozzino pare un giusto e sacrosanto slogan anche a un non violento come me.
E se esistesse un Inferno di tipo dantesco, mi dico, gli strozzini starebbero giù in fondo, con la testa conficcata nella roccia ghiacciata e le gambe all’insù, e Satana che gli infila nel culo miliardi e miliardi di dobloni roventi, come nella fessura di una stronza slot machine.
In macchina al ritorno faccio una sauna. Appena a casa, doccia salvavita. Prima mando baci alla mamma come faccio sempre con le bambine, e lei ricambia. Poi Alberto e Marta portano un po’ di felicità. La mamma sta sulla poltrona. Esco e parlo con l’Alberto, gli dico anche della mia idea del lettore dvd, lui dice che non saranno necessarie nuove casse, e se il nostro vecchio stereo ha una presa esterna useremo quello, come amplificatore. Andremo da B. appena incasserò la piccola vincita dell’altra settimana.
Propongo di andare io e lui a Gavirate a prendere granite e gelato. (Mi cambio, calzoni blu corti multitasca e maglietta color senape, lui scendendo le scale della cantina mi dice Ti sei vestito da spiaggia, mi volto ed è uguale, anzi, io almeno ho i mocassini, e lui dei sandalacci aperti. Ridiamo).
Alice sempre più triste per via della malattia della sua dolcissima nonna, il cui protrarsi non riesce a capire. Andiamo dove c’è la loro sabbia, bagnata per la pioggia, e facciamo un bel castello con torri, finestre, bandiere, fossato, coccodrilli (fatti con aghi di pino) e ponte levatoio. Poi arriva l’Enrica. Foto con tutti loro e papà. Dico alla zia quanto la mia Fujica sia un carissimo ricordo, perché comprata vent’anni fa coi soldi che mi diede la nonna.
A cena mangiamo pasta e fagioli. Buona ma non ottima come al solito. Dice Con lo stato d’animo in cui l’ho preparata ieri, alla brutto cane… Idea di mettere proprio sul menu “fagioli alla bruttocane”. Stasera la febbre è a 38, prende anche il cortisonico, che comunque il dottor M. ha consigliato di assumere in ogni caso.
Io e papà guardiamo in tv un poliziesco abbastanza deludente.
Il nome della speranza è (trascrivo dalla lettera della dottoressa Z.): GEMCITABINA.
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