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I giudici della Corte, a quel che si legge nei testi francese e inglese, hanno anche dato una risposta a chi li richiamava a considerare quali effetti avrebbe avuto nello scenario internazionale una loro risposta positiva alla questione posta dal segretario dell'Onu. Non è problema che possa riguardarci, hanno detto in sintesi. La sentenza, venuta dopo quasi due anni, è complessa come lo è la questione, densa di rimandi a precedenti storici, dalla questione ruandese a quella del Québec, e merita una grande attenzione che sicuramente avrà in tutte le cancellerie europee e non solo. Da quelle che hanno cavalcato il problema kosovaro, illudendosi che tutto finisse lì, a quelle che si sono opposte all'indipendenza del Kosovo giudicando, giustamente dal loro punto di vista, che nulla sarà più come prima se il nuovo Stato kosovaro sarà riconosciuto da tutti i governi del mondo, entrando a far parte della cosiddetta comunità internazionale.
La Corte di giustizia scioglie un nodo decisivo che, sintetizzando, può essere così descritto: il diritto internazionale (atto finale di Helsinki, 1975) riconosce a tutti i popoli la potestà di autodeterminarsi e, dunque, di autogovernarsi totalmente; unico ostacolo al pieno esercizio di questo diritto è quello degli stati alla loro integrità territoriale. Molti, e si parva licet anche io, hanno pensato che questo limite riguardasse anche gli stati al loro interno. Che, in poche parole, i popoli avessero la facoltà di esercitare il loro diritto alla autodeterminazione ma non a quello della secessione: la massima autonomia sì, l'indipendenza no. I giudici dell'Aja hanno sentenziato diversamente (caro amico Daniele Addis, sarai contento): “La portata del principio dell'integrità territoriale è … limitata alla sfera delle relazioni interstatuali”. Come dire che il diritto internazionale tutela uno stato dalle pretese aggressive e/o annessioniste di un altro stato, ma non lo tutela dalle decisioni di un popolo che voglia farsene indipendente.
E circa il non riconoscimento di liceità di altre dichiarazioni di indipendenza pronunciato dall'Onu, la Corte afferma che questo non riconoscimento “derivava non dal loro carattere unilaterale, ma dal fatto che esse andavano o potevano andare di pari passo con un ricorso illecito alla forza o con altre gravi violazioni gravi del diritto internazionale generale”. Dopo questa sentenza, sono da prevedere molti mal di capo nei governanti di stati alle prese con movimenti e partiti che si propongono di raggiungere l'indipendenza. Cito il caso della Catalogna, in cui una improvvida sentenza del Tribunale costituzione spagnolo di bocciatura dello Statuto. Un recente sondaggio da conto del fatto che la metà dei catalani è favorevole all'indipendenza.
PS – Ignorando, o forse solo fottendosene, del fatto che nella Serbia di Milosevic la “questione kosovara” nacque dalla decisione del despota di discriminare la lingua albanese, il ministro italiano delle Regioni Fitto ha lanciato ieri un ultimatum ai sudtirolesi: o tolgono dalle strade e dai sentieri montani le scritte monolingui in tedesco o ci penserà il governo italiano a farlo. Il moderato Dumwalder, presidente della Provincia autonoma, gli ha risposto: “Me ne frego” e, in maniera più riflessiva: se Fitto “medita di fare azioni di forza, prevedo reazioni altrettanto determinate. E allora potrebbe finire male”. La cosa singolare – segno certo di una confusione che fa poco bene al governo – è che nelle stesse ore, un altro ministro, Ronchi, lanciava fuoco e fiamme contro la decisione dell'Unione europea di discriminare l'italiano nei suoi rapporti interni. Saranno anche cattolici, questi ministri, ma non conoscono il “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Di sicuro non hanno uno spiccato senso di responsabilità.
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