Quale sia ruolo di Al Horford all’interno degli Atlanta Hawks, quinti ad Est (38-28), non è facile da definire. Gioca da centro, pur essendo più piccolo della maggior parte dei pari ruolo. Anche all’Università di Florida, giocava centro all’interno del duo che con Joakim Noah (e possiamo immaginare chi fosse il più loquace dei due) ha vinto per due anni consecutivi il titolo NCAA. Al di là del ruolo tattico, quello emotivo è più definito: leader silenzioso che attraverso il lavoro si propone come esempio all’interno di una squadra di talento ma poco disciplinata. Probabilmente è vero che, come sostiene suo padre Tito (ex giocatore NBA), se giocasse da ala grande, sarebbe la migliore ala grande della Lega (cuore di papà) e ne beneficerebbe in termini statistici, ma una delle sue qualità indubbie è non lamentarsi e fare del suo meglio; tanto da essere stato chiamato per due anni consecutivi come riserva all’All-Star Game. Le sue cifre confermano la validità della sua chiamata: 15.9 punti, 9.8 rimbalzi e 3.6 assist a partita con il 56% dal campo (5° nell’NBA).
Il problema, secondo molti blogger e tifosi degli Hawks, che spiega in parte il momento negativo della squadra (quattro vinte delle ultime 10) è la tendenza a fermare la palla nelle mani dei soliti sospetti: Jamal Crawford, Joe Johnson (detto anche Iso-Joe, ‘isolamento Joe’) e Josh Smith.

Il problema di Horford è di trovarsi in squadra con compagni troppo preoccupati a ‘fare canestro’, per rendersi conto di ciò serve per vincere e di avere in squadra un ‘All-Star silenzioso’.





