Dritte appunto. Poi ciascuno deve vedersela da sé con la pagina scritta.
La revisione (in realtà più di una), dei miei racconti ha portato a galla espressioni e parole che è bene mettere alla porta. Si tratta di zavorra, anche se noi spesso preferiamo considerare quel peso come parte essenziale del bagagliaio, e immaginare di farne a meno suscita l’orticaria.
Si piazzano sulla pagina scritta a volte per indolenza nostra. Altre volte, per distrazione, stanchezza, eccetera. Per questa ragione ho provato a farne un elenco e offrirlo a chi passerà da queste parti. Può essere utile darci un’occhiata.
C’è una legge che bisogna applicare: scrivere è alla portata di tutti, d’accordo. Cancellare è una prerogativa di quanti hanno almeno compreso che NON è facile scrivere.
- Gli aggettivi. Usarli sempre con parsimonia. Come ci ricorda la radice latina della parola “adicere”, il loro fine è aggiungere. Prima di scriverlo riflettiamo se non esista qualcosa di meglio che ci permetta di ottenere la medesima forza (se non addirittura di più), riuscendo però a farne a meno. Ritengo che sei volte su dieci sia possibile evitarli, e ottenere comunque un ottimo scritto.
- Avverbi. Lo dice Stephen King: quelli che terminano in “mente” sono da evitare. Lui li utilizza nei dialoghi, ma con moderazione.
- Nei dialoghi l’essenziale. Spesso nei dialoghi si decide di inserire informazioni del tutto superflue; è il pericolo che corre l’esordiente, senza nemmeno rendersene conto. Un altro rischio è quello di aggiungere espressioni per rendere più genuino il parlato. Che sia il risultato di un certo cinema, dove gli attori quando parlano ricorrono a modi di dire del tutto particolari? Può darsi. Lì funzionano, ma occorre ricordare che si tratta di un’altra cosa: cinema appunto. Pensare che si possa trapiantare anche sulla pagina… Temo che sia un errore. Se si sente il bisogno di aggiungere c’è qualcosa che forse merita di essere riletto con attenzione, e superato non però con l’aggiunta di ulteriori ingredienti. Bensì con l’eliminazione, o di quelli già presenti.
- Attenzione al gerundio. Forse è solo una mania del sottoscritto. Da un po’ di tempo ho sviluppato una forte antipatia per questo tempo verbale. Se una frase inizia con lui, mi mette di malumore. La sento pesante, goffa. Non è possibile farne sempre a meno, certo; però quando lo incontro penso sempre a come eliminarlo. Ci riesco otto volte su dieci e in genere la frase ci guadagna.
- I puntini di sospensione. Sì, devono essere tre… Però è bene che se ne vedano pochi. Quando il loro numero aumenta, nella testa di chi legge sorge il dubbio che forse l’autore vi ricorre perché non sa che dire. E nove volte su dieci è proprio così. Meglio chiudersi in una biblioteca pubblica e uscirne tra un paio d’anni.
- I punti esclamativi! Anche questi devono essere distribuiti singolarmente (! e non !!!!!!!) e con scrupolo. Se la pagina a un certo punto sembra gli Stati Generali del circolo ricreativo dei Punti Esclamativi, allora c’è qualcosa che non va.
- Molto. Ecco una parola che è bene guardare con sospetto. Come gli aggettivi, il consiglio è usarla solo quando è davvero indispensabile. Sette volte su dieci è solo superflua.
- Gli elenchi annoiano. Quando è necessario descrivere un ambiente, si ricorre a un “elenco” delle suppellettili presenti, dei mobili, eccetera. Nelle presentazioni con PowerPoint è un buon mezzo per concentrare l’attenzione del pubblico su ciò che ci sta a cuore. Inserito all’interno di un racconto c’è la possibilità che renda lo scritto solo pesante. Non stai compilando la pratica per un pignoramento. Cerca invece di individuare qualcosa che sveli un tratto del personaggio. O che sia curioso, interessante (attento a non precipitare nella macchietta però).
- Il vocabolario. Tutti abbagliati da reti sociali, opportunità,”Meglio Amazon o iBookstore?”, Amanda Hocking che sbarca in Italia e lei sì che ha capito il nuovo che avanza: come no. Però ricordiamoci i fondamentali: scrivere ha a che fare con le parole, e sono custodite nel vocabolario. Usarlo, sfogliarlo, averlo come prezioso compagno di viaggio è il primo passo verso la giusta direzione. Che poi si riesca anche ad approdare da qualche parte, non lo può garantire nessuno. Ma a questo mondo cosa c’è di sicuro?