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Ambizioni e incognite israeliane nel quadro geopolitico del Grande Medio Oriente

Creato il 17 aprile 2011 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe DenticeAmbizioni e incognite israeliane nel quadro geopolitico del Grande Medio OrienteIn un scenario mediorientale altamente turbato da avvenimentidi portata storica, un attore su tutti sembra defilato dagli eventi di questigiorni: Israele. Anche se non direttamente interessato dal fenomeno, Israelenutre grandi aspettative e grandi apprensioni dalle rivolte che stannorimodellando la geopolitica mediorientale. Infatti, le speranze israelianericadono su un duplice scenario: da un lato l'augurio che queste rivoluzioniportino una discontinuità e, conseguentemente, un ricambio democratico neivertici istituzionali di quei Paesi ritenuti nemici, come ad esempio la Siria oil Libano; dall'altro, la preoccupazione che nei Paesi una volta nemici, e oggiinvece solidi alleati, come Egitto e Giordania, i il grave disagio interno possafavorire il proliferare del terrorismo islamista anche all’interno di Israelestesso. Non a caso tutti questi Paesi sono confinanti e il rischioaccerchiamento è sempre stato lo spauracchio temuto da Israele. Pertanto,dinanzi a questi avvenimenti e a possibili scenari futuri ancora piùsconvolgenti, quale è l'approccio di Israele verso le rivolte in corso nelLevante arabo?
Israele non sembra particolarmentepreoccupato dagli eventi interni, quanto piuttosto da tutto quello che sta accadendolungo i suoi confini. Ad oggi si sente parlare degli attentati contro i coloni,o degli ampliamenti degli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Eppure perTel Aviv si prospettano scenari fino a pochi anni fa inimmaginabili: da un latoha la possibilità di affermarsi quale potenza regionale al pari di Iran e,leggermente in secondo piano, Arabia Saudita; dall'altro, al fine di assicurarela propria sopravvivenza, dovrà impegnarsi ad evitare, anche con azioni“nascoste” e orchestrate dai servizi segreti (Mossad e Shin Beitsu tutti), che le rivolte in Egitto, Siria, Giordania possano produrre pericoloconcreto verso il proprio territorio. Il rischio a cui Israele va incontro èduplice: il proliferare del terrorismo qaedista anche in casa “sua” – fenomenoche almeno fino ad oggi non ha mai particolarmente attecchito –  e l'instaurazione di regimi estremisti pocodisponibili al dialogo con Tel Aviv, che farebbero tornare la questionearabo-israelo-palestinese indietro nel tempo, più precisamente, ai tempi diNasser e della Guerra dei Sei Giorni. Il rischio è concreto e ancor di più sela piazza aizzata viene fomentata da movimenti oscuri, come la FratellanzaMusulmana, che ha diramazioni locali in quasi tutto il Vicino e Medio Oriente eche sfrutterebbe le attuali situazioni dei Paesi mediorientali per tornare allaribalta dopo anni di isolamento politico e sociale. Pertanto i pericoli perIsraele vengono tanto dall'interno del Paese quanto dall'esterno.
Negli ultimi tempi sono riprese leschermaglie tra esercito israeliano e i miliziani di Hamas nella Striscia diGaza. La ripresa degli scontri sono state segnate da due episodi atroci: unmassacro contro una famiglia di coloni a Itamar e l'attentato, dello scorso 23marzo, a Rehov Yafo, a Gerusalemme Est. Per quanto apparentemente sconnessi fraloro, questi avvenimenti sono indice di una sempre maggiore tensione nell'area.La Striscia di Gaza e il suo governo, Hamas, che sembravano pacificatidall'Operazione Cast Lead (Piombo Fuso) del 2009, sembrano aver ripresonuova forza. Infatti dalla Striscia sono partiti nuovamente lanci di razziQassam verso Be'er Sheva, in territorio israeliano, in pieno Negev (precedentementealle azioni di Hamas, il governo di Netanyahu aveva portato avanti un giro divite contro lo stesso Hamas, giustiziando due suoi capi). Ovviamente larisposta israeliana non è tardata e si è fatta sentire con tutta la sua forzaattraverso un raid aereo contro le città di Ashdod e Yavneh. Nonostante latensione resti alta, sembra che entrambe le parti non abbiano interesse adaumentare l'escalation del conflitto, anche a causa della debolezzapolitica, prima ancora che militare, di Hamas. Come è noto, da tempo vannoavanti dei regolamenti di conti fra i Palestinesi, in particolare fra milizianidi Hamas e Fatah, che stanno facendo il gioco israeliano indebolendosi avicenda, ma anche e soprattutto fra gruppuscoli della galassia jihadista legatiad Al Qaida, come la Brigata Mohammed Bin Moslama o l'Esercitoper l'Islam, coinvolti in tentativi di sollevazione contro Hamas, siaseguendo una linea oltranzista e ancora più estrema, sia professando lacreazione di un fantomatico califfato mondiale unito sotto la bandiera della Sharia(la legge islamica). Uno di questi tentativi venne represso nel sangue nel2009 nella moschea-bunker di Rafah da Hamas contro la Brigata Mohammed BinMoslama. Da parte israeliana si vuole evitare di attirare nuove critiche eindagini della Comunità Internazionale come avvenuto nell'ultima guerra a Gaza conla commissione Goldstone, incaricata di fare luce sulle violazioni di ambo leparti nel conflitto. Se a Gaza la situazione sembra confusa, di certo non vameglio in Cisgiordania, dove l'attenzione resta puntata sull'Autorità NazionalePalestinese del Presidente Mahmoud Abbas (meglio conosciuto col nome di AbuMazen) e del Primo Ministro Salam Fayyad. Si vocifera da tempo che, nell'arcodi pochi mesi, dovrebbe essere annunciata una dichiarazione unilaterale dinascita dello Stato Palestinese nella sola Cisgiordania, ma tale notizia èstata più volte smentita dalla stessa ANP. Il motivo di questi annunci esmentite rimane misterioso, ma certamente è difficile immaginare una Palestinaindipendente e autonoma in West Bank senza che Israele faccia nulla perimpedirlo. Gaza e Gerusalemme Est, che fine faranno? E' difficile fareprevisioni di lungo termine in terre che hanno cambiamenti talmente tantorepentini. Ma certamente i fatti dimostrano che Israele, attraverso l'aumentodegli insediamenti di coloni a Gerusalemme Est e la costruzione di una defensivefence lungo il tracciato della Green Line, sta portando avanti ilsuo progetto delle due Palestine, una a Gaza lasciata agli arabo-palestinesi eguidata da Hamas e l'altra, considerata da sempre parte integrante del EretzIsrael Hashlemah (Grande Israele), controllata dall'ANP, ma politicamentedebole e incapace di governare senza l'ausilio di Tel Aviv. Anche i PalestinePapers avevano mostrato un quadro alquanto simile, con una ANPcompletamente soffocata e sottoposta agli ordini Israeliani e un Hamas piùsimile ad un fuoco di paglia che ad un vero proprio rappresentante del popolopalestinese.
Allargando lo sguardo, oltre i confinidi Israele la situazione è nettamente pessima. Da un lato abbiamo un Iranapparentemente silente come Israele, ma che sta muovendo le pedine giuste perfarsi portavoce unico dell'intero mondo arabo e musulmano. Dall’altro latoabbiamo un insieme di regimi sicuramente indeboliti e delegittimati nel loropotere da una piazza sempre più inferocita e disperata, affamata di libertà edemocrazia.

Ambizioni e incognite israeliane nel quadro geopolitico del Grande Medio Oriente

Grande Medio Oriente. Fonte: Limes

Il timore di Tel Aviv è principalmente neiconfronti, però, di Teheran. Se guardiamo gli episodi degli ultimi mesi, comead esempio quello delle navi iraniane nel Canale di Suez, ufficialmente direttein Siria per una esercitazione militare, notiamo come le provocazioni sianoaccompagnate anche da un messaggio politico non indifferente: l'Iran è pronto atutto e non ha paura di Israele nel caso di una guerra tra i due arci-nemici.Da mesi vanno avanti numerosi episodi di tensione favoriti dalle dichiarazioniinfuocate di ambo le parti che ripetutamente hanno dichiarato la volontà di nonscendere a nessun tipo di compromesso con l'avversario. La tensione ha poiraggiunto il suo culmine non tanto con l'episodio di Suez, bensì con la visitadi Ahmadinejad a Beirut, lo scorso ottobre, salutata da una folla sciitafestante e bollata dagli Israeliani come una pericolosa deriva democratica delLibano e un possibile pericolo per Israele stesso. Altro episodio grave è statoil rallentamento del processo di produzione del nucleare iraniano a causa di unvirus cybernetico prodotto da Israele (Stuxnet) e che ha mandato in tiltle centrali di Natanz e Busheir. Tutte queste situazioni hanno elevatol'acredine tra le parti e, indirettamente, hanno creato un fronte comune dei Paesiarabi contro la politica intransigente di Israele nella Striscia di Gaza.Emblema di tale escalation è l'attacco alla Freedom Flotilla, unanave umanitaria turca attaccata dalle forze di sicurezza israeliane – unepisodio su cui la Comunità Internazionale sta ancora indagando per farecompleta chiarezza – che ha prodotto una divisione inimmaginabile fino aqualche anno fa: la rottura delle relazioni politiche tra Israele e Turchia eil successivo avvicinamento di quest'ultima all'Iran e alla Siria. La situazione, dunque, appare semprepiù polarizzata attorno allo scontro tra Israele ed Iran. A favorire talesituazione ci sono anche le apparenti incertezze statunitensi in politicaestera ed il progressivo disimpegno dell’Amministrazione Obama  dalla questione israelo-palestinese,testimoniate dal veto americano posto alla risoluzione del Consiglio diSicurezza ONU S/2011/24 sugli insediamenti ebraici a Gerusalemme Est qualeunico e significativo atto politico degli ultimi mesi. Ciò sembra dunqueisolare il governo di Tel Aviv nel contesto internazionale, a cui si aggiungel'isolamento regionale. Infatti, gli avvenimenti di questi tempi hannorimodellato non solo le istituzioni nazionali dei singoli Paesi, ma anche leloro posizioni di forza e la loro geopolitica nei confronti di Israele. Adesempio, l'Egitto da tempo era il miglior alleato di Tel Aviv nel VicinoOriente. Non è un caso che vari quotidiani israeliani, prima delle dimissionidi Mubarak, si auguravano la permanenza al potere del Presidente egizianoproprio per garantire quell’equilibrio raggiunto bilateralmente da Tel Aviv eIl Cairo. Il timore israeliano si basava sul fatto che la caduta di Mubarakpotesse produrre un rimescolamento delle forze in campo, rischiando disconvolgere l’intero assetto politico della regione. D’altra parte, a questitimori bisogna aggiungere il rischio che l’instabilità dei vicini arabi,Giordania, Siria e Libano in primis, causi uno sconvolgimento dell’area,scardinando equilibri di potere che hanno retto per decenni la stessa politicaestera israeliana. Il timore è quindi che a salire al potere siano frangeancora più estreme che producano una “palude politica” tanto nelle relazioniregionali tanto in quelle internazionali. Infatti la paura israeliana ditrovarsi invischiata suo malgrado in un caos che non era né previsto né voluto,paradossalmente potrebbe danneggiarla seriamente nella sua politica di potenza,perché la confusione non garantisce certamente nuovi punti di riferimento.Qualora dunque, nei prossimi mesil’Egitto assuma posizioni ostili favorite dall'assunzione del potere deiFratelli Musulmani, il Libano assista ad una ulteriore escalation diHezbollah, Giordania e Siria cadano sotto i colpi della rivoluzione sociale incorso portando al potere rispettivamente l'Islamic Action Front e l'Ikhwanfiliali locali del network transnazionale dei FratelliMusulmani), Hamas ed i radicali di Palestina troverebbero una congiunturainternazionale molto più favorevole e si presenterebbero alle elezioni disettembre rafforzati. A quel punto, la reazione di Israele potrebbe assumere solorisposte “muscolari” che di certo non placherebbero gli animi, bensì darebberoil benservito ad un terrorismo politico di varia natura difficilmentereprimibile. Pertanto, prendendo ad esempio il caos di Iraq e Afghanistan,Israele rischia suo malgrado di trovarsi in un conflitto regionale“balcanizzato” e di difficile soluzione. * Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)

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