-Di Carmen Gueye
L’argomento ci sta a cuore e più volte ne trattammo in altre sedi. Il web però ci ispira irresistibilmente e ci torniamo, e ancora lo faremo se sarà necessario.
Non è difficile trovare, per esempio su Facebook, tanti bei links che esortano all’amore reciproco, corredati da bellissime foto di bambini, perlopiù africani, che sorridono e ci invitano ad abbracciarli, anzi ci tentano a prendere il primo volo e andare a trovarli.
Naturalmente la “ratio” degli autori di questi messaggi è bene ispirata e non ci sottraiamo talvolta dal condividerli; tuttavia, ci chiediamo: è vero antirazzismo, questo? Da parte di alcuni, sì, anche perchè la loro vita, le opere che mettono in atto, dimostrano che non si tratta solo di parole.
Nella vita di tutti i giorni, però, la musica cambia.
Vuoi che l’Africa ispiri un fascino particolare, vuoi, come sostiene qualcuno, che un certo senso di colpa verso il “black people” suggerisca un risarcimento morale; o magari, ancora, l’elemento estetico, il gradimento per popoli che non nascondono una potente fisicità oggi in occidente annullata dall’omologazione addirittura ci ecciti, insomma, “nero è bello”; ma, se si sposta lo sguardo verso altri popoli, le reazioni sono molto più tiepide. E allora, l’impegno contro il razzismo cosa diventa? Una mera esaltazione del diverso che ci piace?
Trattiamo alcuni esempi a caso.
Europa dell’est. Da lì arriva la maggior parte delle cosiddette “badanti”, donne spesso cariche di problemi e dispiaceri nel paese d’origine, dove lasciano figli e genitori, per venire a svolgere qui un compito che molti di noi hanno dimenticato da un pezzo, l’assistenza ai nostri “vecchi”.
Talora quesa mansione è svolta da donne sudamericane (in città come Genova, per esempio, la presenza ecuadoriana è soverchiante); e da quei paesi provengono altresì la maggior parte dei muratori e manovali presenti su piazza, pagati come sono pagati, con tutele legali a volte inesistenti.
Si obietta che a volte queste comunità producono fenomeni nocivi alla pubblica sicurezza e tale motivazione viene addotta anche per molti maghrebini, quando si prova a difenderne la presenza in Italia.
L’Albania rimanda regolarmente a immagini di carrette del mare, invadenza, disordine: etichetta che si stenta a cancellare (come l’associazione italiani=mafiosi).
Estremo Oriente.
I filippini sono l’etnia forse presente da più tempo in Italia, probabilmente per legami religiosi con la nostra chiesa, il che ne favorì all’inizio l’arrivo. Le famiglie abbienti, da decenni li adibiscono al governo della casa, con tanto di livrea, ed essi godono fama di soggetti tranquilli e non fastidiosi (benché la cronaca locale e gli eventi della madrepatria ci raccontino anche storie diverse).
In agricoltura (attività quanto mai sprezzata dai giovani italiani), oltre le tragiche realtà campane e calabresi, con lo sfruttamento intensivo di africani poco brillanti da vendere nei post antirazzisti, registriamo il massiccio utilizzo di pakistani e indiani nel campo connesso dell’allevamento e della pastorizia (in compagnia di alcune piccole comunità della ex Jugoslavia).
Persone quasi trasparenti nelle nostre vite, le definiremmo, di cui poco sappiamo e, pare, pochissimo interessano.
Dove però anche il liberal, di mente asseritamente aperta, in genere cade, è sui cinesi: fanno paura, sono troppi, non rispettano le regole, ci invadono. Possiamo far notare che fabbricano molto di quello che portiamo indosso (magari griffato) e che generalmente non portano disturbo all’ordine pubblico, cambia poco: viene calato l’asso dei diritti umani calpestati (che chissà perché intriga molto meno in altri luoghi del pianeta). In definitiva, ci ritroviamo dinanzi a un muro di gomma, l’ostracismo degli occhi a mandorla (che, per inciso, da una recente ricerca, pare i più ricchi di loro si facciano modificare chirurgicamente, proprio per far dimenticare un marchio di provenienza).
Sarà perchè ci hanno abituato a ragionare per moduli, convincendoci che le nostre idee valgono poco se non entrano in un classificatore globale stilato chissà dove; accadrà pure che riflettere stanca ed espone a rischi di fraintendimento, quando non a rappresaglie da parte dei meno tolleranti; finisce che ci vantiamo in molti di essere antirazzisti, ma un esame di coscienza non guasterebbe.
O finisce come sappiamo: salta su, tronfio, il razzista vero e ci mostra le nostre contraddizioni. Una sconfitta per tutti noi. Noi che guardiamo la realtà, sappiamo che l’umanità non è esente da difetti anche mostruosi, ma non ci rassegniamo a non cercare di migliorarci.