di Giuseppe Dentice
L’Arabia Saudita sta portando avanti da alcuni anni progetti di diversificazione dell’economia e di sviluppo di fonti di approvvigionamento energetico alternative al solo sfruttamento degli idrocarburi, la principale risorsa nazionale. Gli immensi giacimenti di petrolio conferiscono al Paese un peso politico notevole, spesso usato per accrescere l’influenza della dottrina wahhabita nel mondo arabo e islamico. Oggi, però, la sfida allo sviluppo – e nell’ottica del contenimento di possibili proteste popolari – passa attraverso la costruzione di questi progetti infrastrutturali noti come “economic cities” che avranno il compito di espandere la competitività dell’economia saudita, concedendo al Paese del Golfo quel ruolo di primo piano che gli compete sulla scena politica regionale e internazionale.Quadro economico generale saudita
L’Arabia Saudita è individuata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) come una tra le più ricche economie del Golfo. Tale opulenza è derivata dall’abbondante sfruttamento del petrolio, la principale risorsa nazionale. Il Paese detiene, a livello mondiale, le più grandi riserve petrolifere – più di 250 miliardi di barili secondo le stime della British Petroleum – e oltre ad essere di importanza strategica per la quantità di petrolio che quotidianamente produce ed esporta, lo è ancor di più per il suo ruolo di stabilizzatore del prezzo del barile all’interno del cartello dell’OPEC. Gli analisti internazionali lo considerano un rentier state, uno Stato patrimoniale che si regge principalmente sul settore petrolifero, il quale contribuisce in media al 35% della formazione del PIL totale, al 75% delle entrate di governo e all’85% dei proventi delle esportazioni. L’intero settore industriale si snoda, quindi, attorno allo sfruttamento degli idrocarburi e al suo indotto. Sebbene la crisi finanziaria globale abbia colpito anche l’economia saudita, questa ha reagito meglio del previsto alle difficoltà, mantenendo nel 2010 un tasso di crescita positivo del PIL in termini reali del 3,7%, secondo le stime del FMI. Gli indicatori economici sono in generale tutti positivi, a parte il dato sulla disoccupazione giovanile – la percentuale è di circa il 60% come stilato dall’UNDP Arab Human Development Report –, dato tuttavia negativo in tutta l’area.
Pertanto, la relativa ricchezza della monarchia degli al-Saud sembrerebbe essere stata negli anni la principale garanzia di stabilità del Paese. Negli ultimi anni, però, l’economia saudita si è scontrata con due realtà: creare occupazione per la popolazione giovane e in continuo aumento (i dati dell’Economist Intelligence Unit stimano circa 10 milioni di cittadini sotto i 18 anni, circa il 50% della popolazione totale), e ridurre la dipendenza dal settore degli idrocarburi. Come molti Paesi della regione del Golfo, anche l’Arabia Saudita affronta un importante processo di diversificazione dell’economia, nel quale le autorità locali stanno promuovendo da anni l’attrazione di investimenti stranieri e l’incentivazione di imprenditoria privata. L’Arabia Saudita, in questo senso, sta aprendosi sempre più all’economia mondiale, favorendo gli investimenti privati e acquisendo un ruolo sempre più autorevole al tavolo della governance mondiale, essendo l’unico Paese arabo partecipante agli incontri del G20.
Le “economic cities”: opportunità e sviluppo
Per garantire occupazione e sviluppo, il governo saudita nell’ultimo piano quinquennale (2010-2014) ha improntato la propria agenda di politica economica sulla diversificazione delle entrate del Paese e sullo sfruttamento delle risorse minerarie e dei bassi costi interni dell’energia per la produzione di prodotti quali alluminio, fertilizzanti, componenti per l’industria automobilistica, etc.. Parallelamente, molte speranze sono state riposte nell’ambizioso programma governativo di sviluppo denominato “10×10”, che prevede la messa a punto di riforme e di investimenti mirati atti a promuovere e a rendere competitiva l’economia nazionale saudita con riferimento all’intero comparto regionale. All’interno di questo programma nazionale è prevista, inoltre, la realizzazione di un piano di sviluppo di quattro “economic cities”, le quali dovranno garantire al Paese una cospicua crescita economico-sociale. Tale progetto è stato portato avanti da SAGIA (Saudi Arabian General Investment Authority) – la principale authority nazionale che si occupa di garantire i processi di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia saudita – che ha sviluppato un piano di realizzazione delle strutture basato su una partnership mista, pubblica e privata, secondo la quale il settore privato “investe e gestisce”, mentre il settore pubblico “facilita e regolamenta”. Le “città economiche” non sono néFreeZones, né Special Economic Zones, né Free Trade Zones, ma un misto di tutte queste insieme. Le città saranno costruite con un basso impatto sull’ambiente e strutturate in modo tale da ottenere il massimo di sostenibilità ed efficienza energetica. Queste vere e proprie città tematiche, che costeranno oltre 60 miliardi di dollari, verranno costruite con l’utilizzo delle infrastrutture tecnologicamente più avanzate e posizionate strategicamente all’interno del territorio saudita.
Nelle previsioni degli analisti, le “economic cities” saranno il nuovo motore economico del regno, il cui contributo alla crescita del PIL è stimato, entro il 2020, attorno ai 150 miliardi di dollari. Ogni città avrà le sue specifiche caratteristiche e tutte vedranno la partecipazione del settore privato, nazionale e straniero, alla loro creazione e al loro sviluppo. La loro realizzazione dovrebbe produrre opportunità di investimento in numerosi settori (petrolchimico, acciaio, plastica, vetro e ceramica, trasporti e viabilità). Rilevante sarà altresì il settore dell’edilizia residenziale, con la previsione di un incremento della domanda di 1,5 milioni di nuove abitazioni entro il 2015. Queste città economiche, inoltre, prevedono al loro interno la formazione mirata del capitale umano attraverso scuole internazionali, la creazione di oltre un milione di nuovi posti di lavoro e la costruzione di abitazioni per circa 5 milioni di residenti. L’idea di costruire un’intera città gravitante attorno ad uno specifico settore industriale in Arabia Saudita ha avuto i precedenti fortunati dei due poli di Jubail e Yanbu, progetti pilota delle “economic cities”, che hanno permesso il rafforzamento e l’ampliamento di questi piani infrastrutturali. Infatti, queste “cities” si sono configurate fin da subito come degli hub commerciali alternativi a quelli già esistenti sul Golfo producendo delle ricadute positive sul mercato interno del lavoro – grazie alla creazione di nuovi posti e di forza lavoro specializzata – e dando, quindi, la possibilità all’economia saudita di espandersi al fine di proseguire quel processo di diversificazione già in atto.
La costruzione delle quattro “economic cities”, inoltre, offrirebbe la duplice opportunità di trovare una soluzione al boom demografico degli ultimi 15 anni (secondo i dati UNCTAD la popolazione saudita è cresciuta del 40%) e di variare la migrazione interna che attualmente si concentra principalmente nelle città di Riyadh e della Mecca e nella regione delle Eastern Province, le quali raggruppano il 64,5% dei cittadini del regno. Secondo il Ministero dell’Economia, circa il 74% del numero totale di aziende che operano in Arabia Saudita sono situate nelle suddette regioni, le quali si confermano essere le aree maggiormente popolate e industrializzate della nazione. Questi dati demografici fanno emergere il problema, non secondario, dell’immigrazione clandestina nel Paese. L’Arabia Saudita, infatti, è un Paese a forte incidenza di immigrazione, tanto da risultare lo Stato, dopo gli USA, con il più alto valore di rimesse di emigrati (stimato intorno ai 14 milioni di dollari, secondo l’UNCTAD). Pertanto, le economic cities avrebbero un positivo effetto di popolamento di ampie zone desertiche o poco abitate creando una distribuzione più efficiente e regolare.
In sintesi, le economic cities rappresenteranno nella politica economica saudita un nuovo modello distrategic partnership tra settore pubblico e privato, divenendo anche un modello da emulare ed esportare negli altri Paesi vicini. Anche grazie a questo mix tra investimenti pubblici e privati, queste città potrebbero contribuire a produrre sviluppo e stabilità anche nelle aree più arretrate del Paese.
Risvolti regionali
Tali progetti di ampliamento e ammodernamento dell’economia nazionale potrebbero rappresentare la più grande opportunità di sviluppo per la monarchia saudita. Al di là della differenziazione della ricchezza nazionale, il programma “10×10” e, nello specifico, le “economic cities” sarebbero un’opportunità unica per riaffermare la supremazia politica saudita in tutti i campi del mondo arabo e islamico. Molti Paesi dell’area Golfo hanno conosciuto negli anni uno straordinario sviluppo e progresso che nel tempo ha ridimensionato il ruolo geo-strategico dell’Arabia Saudita all’interno delle dinamiche mediorientali. Paesi come Qatar ed Emirati Arabi Uniti, ad esempio, hanno investito molte delle loro risorse per dotarsi dell’ossatura necessaria ad essere delle economie complete e ben più competitive di quella saudita. Riyadh ha fino adora stanziato risorse per investimenti in vari campi, dall’economia al sapere scientifico, pari a circa 90 miliardi di dollari. Accanto agli investimenti per l’ammodernamento degli impianti di estrazione del petrolio si apprestano a realizzare anche grandi infrastrutture come appunto le suddette città economiche. L’ulteriore sviluppo di questi progetti potrebbe comportare, dunque, anche un accrescimento del ruolo politico di Riyadh nella regione. Infatti, vista l’instabile situazione politica interna saudita e l’altrettanto instabile contesto regionale, la monarchia degli al-Saud sta trovando conveniente legare il proprio benessere interno con la promozione della sicurezza regionale, attraverso un uso strategico e politico dell’economia che sia imperniata su accordi bilaterali commerciali con i Paesi vicini, promossi con il duplice scopo di placare le proteste e, allo stesso tempo, garantire occupazione e sviluppo economico allo Stato.
Conclusioni
L’enorme ricchezza petrolifera del Paese ha portato la società saudita ad abbandonare gradualmente un’economia di rendita per aprirsi ad un modello di consumismo in cui le nuove leve sono divenute sempre più ambiziose. Nonostante le difficoltà interne, l’Arabia Saudita è senza dubbio un Paese coinvolto in un grande processo di cambiamento che viene alimentato dal boom del petrolio e degli investimenti stranieri nell’area. Queste nuove città fondate a pochi chilometri dal deserto saranno degli hub commerciali formidabili che doteranno il Paese delle competenze tecniche necessarie al suo sviluppo e, allo stesso tempo, potrebbero essere un fondamentale catalizzatore per il radicamento delle libertà civili e sociali. L’Arabia Saudita, quindi, potrebbe essere in grado, grazie alla forza politica della sua economia, di riacquisire quella influenza politica necessaria ad incidere e a determinare le future dinamiche regionali e, dunque, anche globali.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
Lo studio delle economic cities è stato condotto nell’ambito di una collaborazione con “Limes-Rivista italiana di Geopolitica”, e come tale potrebbe essere pubblicato sul relativo sito.