Magazine Diario personale
Per pochi giorni all’anno, Dennis poteva tornare al lavoro principale per il quale era stato pretestuosamente assunto: il correttore di bozze. Era di gran lunga l’incombenza che preferiva. Il buon Dennis non avrebbe mai pensato che correggere bozze potesse rivelarsi così spassoso.
Poteva capitare che, nello spazio pubblicitario di una ditta di autotrasporti, l’immagine di un autoarticolato, posizionata o sovrapposta in modo maldestro, andasse a occultare le cifre finali di un qualche numero telefonico, o di telex, o di fax. Allora la correzione consisteva nel disegnare un circolino rosso attorno all’automezzo, tracciare una freccia, e scrivere in stampatello nel margine bianco della pagina: SPOSTARE IL CAMION! Oppure : LEVARE DAI COGLIONI IL RIMORCHIO!
Era un lavoro impegnativo, e di responsabilità. L’addetto alla composizione delle immagini e dei testi era infatti un argentino autodidatta coi baffi da gaucho, un certo Aymar, che ne combinava di tutti i colori. Non fosse stato per l’occhio attento di Dennis, uno dei principali inserzionisti, che pagava uno spazio di svariati centimetri e svariati milioni, un certo Vattelapesca Fabiano operante nel campo dei profilati metallici, si sarebbe fatto pubblicità (teoricamente) in tutta Italia con la dicitura: Vattelapesca Faggiano – profilatici metallici. E c’era di che ringraziare l’esagerazione di quelle due “g”, senza le quali Dennis, pur attentissimo, avrebbe rischiato magari di non accorgersi, né del fagiano né dei profilattici!
Si sarebbe detto che il gaucho Aymar lo facesse apposta, ma il bello è che il gaucho Aymar non lo faceva per niente, apposta. Era scemotto, ma serio!
Poi, Dennis fotocopiava di nascosto dall’avaro Quartullo, e conservava per ricordo, gli strafalcioni più belli.
Oltre che attentissimo, Dennis era anche molto veloce. Per cui, quando se ne rese conto, pensò bene di rallentare. Per non tornare troppo presto alle mansioni di segretaria, di uomo delle pulizie, di galoppino per commissioni esterne, per non tornare troppo presto a quelle noiose telefonate di recupero crediti, cercava, le bozze, di gustarle, di farle durare.
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Sorgevano sempre dei casini con la contabilità separata degli agenti, fra l’altro tenuta su un file segreto non di calcolo ma di videoscrittura, che non calcolava un bel nulla, non addizionava un bel nulla.
Un casino pazzesco. Ogni agente aveva un trattamento diverso dagli altri all’insaputa degli altri. Spago prendeva di più perché era vecchio e conosceva gli altarini, Pietrone prendeva meno perché era giovane e teneva una capa un po’ di cazzo, Lospenachiato meno ancora perché era Lospenachiato, e anche per lo stesso agente cambiavano le percentuali, a seconda che si trattasse di un contratto nuovo, o del primo anno di rinnovo tacito, o dei successivi. Cambiava anche l’importo base della pubblicità truffaldina, che a ogni rinnovo tacito s’incrementava del cinque per cento.
E in più, ad aumentare la confusione, esistevano certe vecchissime scritture soltanto biennali su cui c’erano ancora da incassare degli insoluti, scritture regolate da un’ulteriore categoria provvigionale, e per le quali entrava in ballo un quarto agente, un certo Celestù, che non lavorava più per Quartullo ma veniva periodicamente a spulciare con pignoleria i suoi insoluti, sospettando che Quartullo lo volesse fregare (che figurarsi, per la testa pelata era un affronto solo il pensare che qualcuno potesse pensarlo, lui fregare un amico!), e s’installava lì, se ne stava lì davanti al computer di Dennis una giornata intera, non se ne andava mai, tutto il giorno a bloccare il lavoro per fare i conti con la matita e la calcolatrice, perché il file del programma di videoscrittura ormai conteneva miliardi di numeri ma non calcolava una minchia, non addizionava una minchia, era chiaro, e per giunta il suo trattamento, il trattamento di Celestù, era ancora diverso da quello degli altri, perché lui era un ragazzone a cui Quartullo aveva comprato un catorcio di macchina usata per spedirlo al sud, a infinocchiare le ditte del sud. Una follia. Un manicomio. Un incubo. C’era da farsi scoppiare la testa. Dennis se lo sognava di notte, il maledetto file di videoscrittura. E Quartullo e Celestù ci si accapigliavano giornate intere, gesticolando e discutendo sui quarti di centesimo di lira.
“Avevi detto che la Crinciopharma faceva fatica a pagare, e invece qui risulta che non ha fatto fatica”, s’incazzava Celestù.
“Sì, ma che cosa succede”, s’arrabattava Quartullo torturandosi un pelo di sopracciglio, “ha pagato solo mezza rata del cazzo”.
“E quanto fa di provvigioni mie, questa mezza cazzata?”
Quartullo, alla fine, si doveva arrendere: questo Celestù non lo potevi fregare, non ci riuscivi a fregarlo. Era uno troppo pignolo, troppo attaccato ai soldi.
Quartullo, a vedere che non poteva fregare Celestù, diventava nervoso, se la prendeva con Dennis, se la prendeva con se stesso, col mondo. Erano peli di sopracciglia che partivano.
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