Giusto ieri parlavo di resistenza, quella nelle strade, contro la mafia e una certa classe politica ormai in putrefazione. Della rivoluzione che un po’ tutti si sarebbero aspettati dopo i fatti del 1992 – rivoluzione sia politica che civile- abbiamo visto pochino, ma quel poco, da cui la politica si è comunque quasi totalmente autoesclusa soprattutto a partire dalla sua evoluzione nel 94, si è trascinato con orgoglio fino ad oggi. E’ uno dei punti da cui bisognerebbe partire, o ripartire. Rivoluzione è un termine che negli ultimi anni è comparso spesso sulla bocca di politici e intellettuali, da Bossi a Monicelli, ogni volta con una diversa accezione.
Ma la rivoluzione cui molti aspirano dovrebbe oggi essere culturale e profonda, tale da rendere impermeabile e autonomo il pensiero da quelle influenze che ogni giorno cercano con la loro pervasività di omologare e di controllare. Girando e leggendo mi sono imbattuto in due passaggi presenti su altrettanti articoli che in un certo senso rispondevano a questa considerazione.
Nel primo, David Hockney, parla del potere delle immagini, strumento spesso utilizzato per il controllo sociale e politico, e spiega come la Chiesa ad esempio in epoca rinascimentale avesse questo potere, che esercitava ingaggiando grandi pittori che esaltassero la sua potenza e la gloria di Cristo. Poi è cominciato il declino, che dice, non ha avuto a che fare tanto con la rivoluzione della scienza ma con quella delle immagini, e fa l’esempio di Hollywood che definisce in un certo senso uno strumento del potere americano. Ma continua e verso la fine dice che
We are in a confusing time. The decline of religion in Europe is seen as part of the “scientific” revolution. I have begun to doubt this now; it is quite likely that it’s to do with images. The decline of the church parallels the mass manufacture of cameras. They are deeply connected. I noticed on a recent tour of Italy that not many Italians went in the churches to see pictures. They see them at home, not made by Botticelli but by Berlusconi. Think about it.
Nel secondo articolo, letto su internazionale questa settimana (e pubblicato su Intelligent life) che trattava il potere dello sport sulla gente, e la sua capacità in pochi decenni nell’essere diventato anche una macchina da soldi, l’autore Tim de Lisle, parlando questa volta del capitalismo (non la politica) cita Gramsci:
Andrew Jennings, scourge of FIFA, has a theory about this. “When we’re enjoying sport, we’re all open, we’re vulnerable, we’re small children again. And that’s how big capitalism likes us to be. Antonio Gramsci said: ‘How can you have a revolution when the enemy has an outpost in your head?’ Well, sport gives the corporations that outpost in our heads.”
Queste tuttavia non sono novità, ma meccanismi ben consolidati cui volenti o nolenti sottostiamo anche in maniera consapevole e stanca: manca in parte la forza di reagire. Chi ha questo controllo, ad esempio della tv, può permettersi oltre che di incensarsi anche di utilizzarle (oppure ometterle) facilmente contro i propri nemici, o comunque contro entità scomode. Un esempio? La delegittimazione di Saviano, ad opera di Emilio Fede direttore del TG4, oppure il quasi silenzio sulle proteste dei Terremotati Aquilani e la loro delegittimazione nella recente manifestazione a Roma. Il trattamento del primo Tg nazionale su quest’ultimo caso ne è un esempio più che lampante. Ma sarebbero decine gli esempi non solo politici e non solo televisivi, perché se andiamo a ben guardare anche il web ormai è più che permeabile a queste dinamiche che magari sono per meccanismi leggermente diverse ma che perpetrano i medesimi fini, ecco poi perché la battaglia sul tentativo di controllo del mezzo o quantomeno su alcune limitazioni che vorrebbero essere imposte è così sentita e spinta.
Gli avamposti e le casematte culturali dello stato (e non solo dello stato oggi) per il controllo della società, descritte all’epoca da Gramsci sono ancora oggi e più di ieri strumento e campo di battaglia, quello da dove e contro cui in teoria dovrebbe cominciare o ricominciare quella rivoluzione culturale che sia anche in grado di raccogliere quel testimone portato con grande fatica fino a noi da quella resistenza che non sta nei palazzi ma sulle strade.