Secondo The Politico, se la Camera dei Rappresentanti statunitense votasse oggi la risoluzione per dare il via libera all’attacco in Siria, Barack Obama avrebbe già perso.
Non avrebbe sortito alcun effetto il sostegno, espresso dallo speaker John Bohner e dal leader della maggioranza repubblicana Eric Cantor, lo scorso 2 settembre, alla scelta del presidente di punire il regime di Bashar Al Assad per il presunto utilizzo di armi chimiche contro i ribelli che combattono il regime di Damasco.
Anzi, molti membri della Camera si dicono convinti che almeno l’80 % dei loro colleghi sarebbero contrari all’intervento americano in Siria.
Nemmeno il voto favorevole del successivo 3 settembre della commissione affari esteri del Senato alla risoluzione per un attacco limitato sembrerebbe aver inciso sulle posizioni dei deputati statunitensi.
Del resto, anche la decisione della commissione senatoriale non è stata il frutto di una maggioranza schiacciante e convinta a favore dell’attacco: appena 10 senatori hanno votato a favore, contro 7 che si sono detti contrari.
Tra i favorevoli John McCain, pronto ad una azione militare molto più ampia di quella votata dalla commissione, mentre tra i contrari ha destato sensazione il no di Marco Rubio, possibile candidato ispanico alle elezioni presidenziali del 2016 e con posizioni di politica estera spesso molto interventiste, vicine ai falchi neocon.
Anche il voto del Senato nel suo complesso, previsto per la prossima settimana, non si delinea come un plebiscito a favore della volontà di Obama di attaccare la Siria.
Tutt’altro. Anche i toni molto accesi con cui il segretario di Stato John Kerry ha sostenuto la scelta della Casa Bianca di punire Assad sia sugli schermi televisivi, sia al Congresso non sembra aver convinto i parlamentari a cui Obama ha chiesto di esprimersi sull’uso della forza contro Damasco.
L’ex senatore, parlando anche di fronte alla commissione esteri della Camera, ha sottolineato con forza la necessità di un attacco militare contro Assad per evitare che un dittatore che avrebbe usato il gas nervino contro il suo stesso popolo possa farla franca.
In quella occasione Kerry non ha esitato a paragonare il raiss di Damasco ad Hitler e a Saddam Hussein, concludendo il suo intervento con un riferimento alla “vergogna di Monaco”, quando le nazioni occidentali, nel 1938, non ostacolarono le ulteriori richieste di Adolf Hitler, portando poi allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.
Eppure, i parlamentari, soprattutto alla Camera, sembrano ben lungi dal votare con convinzione a favore dell’attacco alla Siria. Per molti, il dibattito sull’intervento contro Damasco, appare come un de ja vu, un passato che ritorna.
La volontà di Obama di punire Assad per il presunto uso di gas, in violazione di ogni Convenzione internazionale, e, allo stesso tempo, avvertire l’alleato della Siria, l’Iran, che Washington non permetterebbe una possibile atomica persiana è infatti ostacolata dall’ombra di George Bush e dalle scelte che portarono alla guerra in Iraq.
Le false prove sulle armi di distruzione di massa portate dalla Casa Bianca di Bush jr. per convincere il Congresso a scatenare la guerra contro Saddam Hussein sono ancora ben presenti nell’immaginario comune e pesano sulle scelte dei parlamentari.
Molti deputati liberal, di solito vicini ad Obama, vorrebbero evitare un altro intervento militare fondato su poche o scarse prove del reale coinvolgimento di Assad nell’uso delle armi chimiche.
Vi sono poi gli isolazionisti repubblicani, che fanno riferimento a due senatori di fresca nomina, il libertario Rand Paul del Kentucky, alfiere dello stato minimo, anche negli interventi all’estero, e Ted Cruz del Texas, vicino alle posizioni antistato e anti tasse del Tea Party.
Memori di George Washington, che, nel suo discorso di commiato dalla presidenza, raccomandava ai suoi successori di non contrarre alleanze con stati esteri, questi parlamentari vorrebbero evitare ogni coinvolgimento statunitense in avventure o interventi militari fuori dai propri confini.
Le chance di Obama di convincere un numero sufficiente di esponenti del Congresso a votare per l’intervento in Siria potrebbero essere ridotte anche dal notevole attivismo a favore della pace di cui si è fatto interprete in questi giorni Papa Francesco.
I parlamentari cattolici o ispanici, sempre più numerosi tra le fila del Senato e della Camera, potrebbero essere indotti a non dare il loro assenso all’attacco proprio in ossequio all’azione a favore della pace di Papa Francesco.
In parallelo alle pressioni cattoliche, anche quella della lobby ebraica, potrebbe incidere sulle scelte dei congressman, ma in questo caso, in direzione di un accordo all’attacco.
Nei giorni scorsi, l’AIPAC, l’espressione politica della lobby ebraica ha emesso un comunicato con cui si esprimeva a favore di un attacco americano alla Siria, sia per colpire Assad, sia per avvertire l’Iran che l’occidente non potrebbe tollerare una possibile presunta atomica iraniana.
Non solo, anche le autorità israeliane avrebbero manifestato il proprio sostegno ad un intervento limitato di Washington contro Assad.
Non è da escludere che la forza della lobby ebraica possa indurre un numero non ridotto di deputati e senatori a seguire Barack Obama e la sua rappresentante alle Nazioni Unite, Samantha Power, nota interventista umanitaria, nella scelta di colpire Damasco.
Insieme alla lobby ebraica, un sostegno non indifferente, anche se difficilmente risolutivo, potrebbe venire ad Obama da alcuni noti neocon, coloro che dettarono l’agenda a favore della diffusione della democrazia in Medio Oriente all’amministrazione di George W. Bush.
In una intervista al Daily Beast, Paul Wolfowitz, ex sottosegretario alla Difesa ha appoggiato con forza la determinazione di Obama per l’attacco.
La situazione resta però molto fluida e il presidente, proprio per esercitare un ultimo tentativo per convincere il Congresso e l’opinione pubblica americana della validità delle sue posizioni anti-Assad, ha deciso di parlare alla nazione in un discorso televisivo previsto per martedì prossimo.