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Beato Wojtyla protettore degli assassini

Creato il 29 aprile 2011 da Dragor

800px-papajcruz_brazil    La Chiesa cattolica ha ogni diritto di proclamare santo chi le pare, ma noi abbiamo ogni diritto di utilizzare la scelta per determinare la sua idea di virtù. In breve, se la Chiesa  proclama santo Jack lo Squartatore, possiamo legittimamente esprimere qualche riserva riguardo ai suoi principi morali. Ora, Wojtyla ha fatto più vittime di Jack lo Squartatore. Il buon Jack si è limitato a far fuori 5 puttane, Karol ha provocato la morte di milioni di persone. E’ complice di spietati assassini, li ha protetti e le prove sono schiaccianti. Ma per la Chiesa i crimini di Wojtyla sono virtù, perché sono stati compiuti per salvare la sua reputazione e consolidare il suo potere.

   Con Wojtyla, la Chiesa replica l’operazione mistificatoria che le è spesso riuscita nel corso dei secoli a partire dalla sua fondazione: prendere un personaggio e ricostruirlo di sana pianta per le sue necessità di facciata. La realtà del personaggio è secondaria, conta soltanto la sua ricostruzione. Una delle tante menzogne sulle quali è costruita la Chiesa. Beatificando il papa polacco la Chiesa ha inteso blindarlo come sta cercando di fare con Pacelli, situandolo al di sopra di ogni sospetto. Si è perfino trovato il miracolo necessario e tanti saluti all’intelligenza, l’importante era farlo santo prima che qualcuno scoprisse gli altarini.

   Nel 1994, con Wojtyla al potere, la Chiesa cattolica ha partecipato attivamente al genocidio dei Tutsi in Rwanda che secondo le ultime stime ha provocato come minimo un milione e mezzo di vittime. Nel 1959 i Tutsi avevano osato chiedere l’indipendenza del Rwanda e la partenza dei missionari, firmando così la loro condanna a morte. Da quell’anno in Rwanda è stato tutto un seguito di pogrom e massacri contro i Tutsi da parte degli Hutu aizzaati dai missionari. Non c’è da stupirsi che nei mesi di aprile e maggio del 1994 molti preti cattolici, non soltanto Hutu ma anche bianchi come il bresciano Carlo Bonomi in arte Berôme Carlisquia e il belga Guy Theunis abbiano partecipato attivamente al genocidio.  Finita la guerra con il rovesciamento del regime genocidario clerico-fascista di Juvénal Habyarimana  (grande amico di Wojtyla), il papa polacco ha aperto il suo ombrello protettore per aiutare i preti assassini a sfuggire alla giustizia, più o meno conme ha fatto con i preti pedofili. Approfittando dell’operazione Turquoise lanciata dalla Francia (che pure aveva i suoi peccati da nascondere), centinaia di preti assassini hanno lasciato il Rwanda per rifugiarsi in Zaire o in Kenya passando da una missione all’altra  per poi essere trasferiti in Europa dove Wojtyla li ha accolti a braccia aperte e nascosti in oscure parrocchie. Avevano le mani sporche di sangue, ma che cosa importava? La reputazione della Chiesa era molto più importante. E in ogni caso i morti erano neri, che evidentemente per Wojtyla contavano meno dei morti bianchi.

   Fra questi preti c’era un assassino diverso dagli altri, forse il più grande assassino della storia: si chiama Athanase Séromba e da solo ha fatto più vittime che i nazisti alle Fosse Ardeqtine e a Marabotto insieme.  Ha attirato 2000 persone nella sua chiesa, le ha chiuse dentro e le ha bruciate vive, poi  si è fatto prestare un bulldozer da una ditta italiana ed è passato personalmente sulle macerie ancora fumanti. Quando Séromba è arrivato a Roma attraverso la solita rete di missioni e conventi,  Wojtyla si è guardato bene dal consegnarlo alle autorità. Lo ha accolto a braccia aperte  e lo ha sistemato in una parrocchia a Montughi, vicino a Firenze, dove l’assassino ha potuto celebrare la messa, dare la comunione ai fedeli e insegnare il catechismo ai bambini. Natiuralmente a spese dei contribuenti italiani.

    I difensori del polacco diranno:  Wojtyla non sapeva. Certo, lo dicevano anche i difensori dei criminali nazisti.  In realtà Wojtyla sapeva tutto, perché sulla sua scrivania si erano accumulati i rapporti  di African Right, di Human Rights  Watch, del Tribunale Penale Internazionale e del governo rwandese che reclamava la sua estradizione. Rapporti imbottiti di prove schiaccianti sul colpevole di uno dei massacri più agghiaccianti della storia.   Sapeva quello che era successo in Rwanda perché era uno dei principali istigatori, avendo ordinato ai preti locali di criminalizzare i Tutsi. Così sapete che cos’ha fatto? Ha cestinato tutto. Séromba aveva ammazzato 2000 persone e allora? Il prestigio della Chiesa contava di più.   Poi,  come fanno di solito i papi, ha ricattato il governo italiano: se  estradate Séromba, vi togliamo l’appoggio elettorale. Così ha costretto il governo a fare quadrato intorno a Séromba. Un prete non deve rispondere a un tribunale secolare. Un riflesso da capomafia, certamente non da persona onesta. Solamente dopo la morte di Wojtyla, quando lo scandalo Séromba aveva assunto dimensioni internazionali e stava diventando controproducente per la Chiesa, il nuovo papa Ratzinger è crollato e ha ceduto alle pressioni di Carla del Ponte, permettendo al governo italiano di estradare Séromba perché fosse giudicato, non senza raccomandare di trattarlo bene.

    Qualcuno dirà: tutti possono sbagliare. Forse in seguito  Wojtyla si è pentito dei suoi crimini. Niente di più sbagliato. Dopo il genocidio, Wojtyla ha sempre mantenuto la stessa linea: difesa a oltranza degli assassini. Dopo il processo in Belgio di suor Gertrude e suor Maria Kisito, accusate e condannate per avere attirato 7000 persone nel loro convento (pensate, 3 volte le vittime delle Torri Gemelle) e averle bruciate vive, sentite come si esprime il polacco al loro riguardo per bocca del suo portavoce Joaquin Navarro-Valls: “Le imputate hanno potuto far valere la loro versione dei fatti in un paese straniero così lontano dal Rwanda? Nell’attesa di una sentenza definitiva, il Santo Padre esprime una certa sorpresa per il loro processo” (Le Soir, Bruxelles, 11 giugno 2001, “Il Santo Padre si stupisce del processo di Bruxelles”). Ma quale attesa di una sentenza definitiva? Il processo era finito! Mai vista una malafede più colossale.

   Dopo avere contribuito a provocare il genocidio, nascosto gli assassini e averli difesi a spada tratta quando sono stati scoperti,  Wojtyla ha praticato attivamente  il negazionismo. Sentite come si esprime il 19 maggio 1999 sull’Osservatore Romano  in un articolo firmato con 3 asterischi (segno di un articolo scritto o ispirato dal papa): “In Rwanda è in corso un’autentica campagna di diffamazione contro la Chiesa Cattolica, che si cerca di far passare come responsabile del massacro dell’etnia Tutsi. L’arresto di monsignor Misago cinque anni dopo i massacri deve essere considerato come l’ultimo atto di una strategia del governo rwandese per ridurre o eliminare il ruolo conciliante della Chiesa nella storia dfel Rwanda passata e presente, cercando con ogni mezzo d’infangare la sua immagine (…) Attualmente l’attenzione della popolazione è concentrata sul genocidio del 1994. In realtà c’è stato un doppio genocidio: quello contro i Tutsi e certi Hutu moderati, effettuato a partire dal 6 aprile 1994, e quello contro gli Hutu a partire dal mese di ottobre del 1990 fino alla presa del potere da parte del Fronte Patriottico Rwandese (FPRì tutsi nel luglio 1994. Questo genocidio degli Hutu è proseguito nella foresta zairese dove gli Hutu in fuga sono stati inseguiti e massacrati per sei mesi senza nessuna protezione da parte della comunità internazionale. Il numero di vittime Hutu ammonta a circa un milione. I due genocidi sono entrambi orribili e vanno ricordati entrambi, se si vuole evitare una propaganda unilaterale.”

   Va detto che gli “Hutu in fuga” erano in realtà gli assassini che si stavano riorganizzando sotto la guida della Francia e la protezione della Chiesa per cercar di riprendere il potere in Rwanda, terrorizzando con stupri, saccheggi e massacri tanto le popolazioni locali che quelle frontaliere del Rwanda, e il cosiddetto “secondo genocidio” era la reazione rwandese per mettere fine alle loro violenze. Reagendo a questo articolo, la rivista “Billets d’Afrique” (agosto 1999) scrive giustamente: “L’ultimo paragrafo è esso stesso una tragedia, tenendo conto dell’influenza della Chiesa in Rwanda. Si può discutere sulla qualificazione dei massacri dei rifugiati Hutu. Le cifre ufficiali danno un massimo di 200.000 dispersi. Ma non è questo che rende intollerabile il testo. E’ l’affermazione che un secondo genocidio degli Hutu sarebbe stato compiuto dai Tutsi dall’ottobre del 1990 al luglio del 1994. Questa affermazione sottolineata, ripetuta, con l’evocazione di un milione di vittime hutu, non ha nessuna base storica. Peggio ancora, questi propositi del Vaticano riprendono esattamente la tesi dei pianificatori hutu del genocidio dei Tutsi: questo sarebbe una reazione al genocidio  degli Hutu da parte dei Tutsi, un’autodifesa. Così le più alte sfere della Chiesa si allineano con l’ideologia genocidaria e la rialimentano. Questa presa di posizione insensata si avvicina alla complicità…”

   Da tutto questo emerge la vera immagine di Wojtyla: un individuo cinico, razzista, privo di ogni senso morale, al quale interessava una sola cosa: il potere della Chiesa. Più di tutto, anche della vita umana, specialmente della vita di umani neri. E’ comprensibile che sia stato beatificato, visto che anche alla Chiesa di Roma il potere interessa più di tutto, e questo la dice lunga sulla sua idea di virtù. Poi, naturalmente,Wojtyla ha difeso anche i pedofili, ma di questa storia parleremo domani.

 Dragor


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